Cari italiani, l’inculata è servita; è appena uscito l’ultimo rapporto Istat sui consumi dei privati, ed è un bagno di sangue: “-11% i consumi reali dal 2019”, “31,1% la quota delle famiglie che anche nel 2024 ha limitato in quantità e/o qualità la spesa per il cibo“, “le famiglie più povere destinano ormai il 55% delle loro spese ai beni primari – cibo e casa, media il 55% delle spese – non potendosi permettere praticamente nient’altro”. Come ogni anno, il rapporto dell’Istat sui consumi dei privati in Italia è un doccia marmata sulla propaganda del tuttaposter del governo, il quale è chiaramente molto più impegnato a supportare genocidi in giro per il mondo e a introdurre misure sempre più autoritarie per reprimere il dissenso piuttosto che pensare al portafoglio dei lavoratori italiani: prima gli israeliani sembra diventato il nuovo motto dei presunti sovranisti. Ma, scherzi a parte, in un video di qualche mese fa avevamo lanciato l’allarme: nel silenzio generale, è come se ci avessero fregato a tutti la tredicesima. Bene: in realtà, certifica oggi l’Istat, non si sono limitati a quella. Vediamo insieme alcuni dei dati più importanti:
“Tra il 2019 e il 2024″ scrive l’istituto statistico, “la spesa per consumi delle famiglie è aumentata del 7,6%, a fronte di un’inflazione del 18,5%”; c’è quindi un divario che sfiora l’11%, che rende l’aumento dei consumi una vera e propria illusione ottica. Insomma: rispetto al 2019, la spesa reale delle famiglie risulta in media pari a 3.400 euro in meno l’anno per nucleo familiare; oltre agli italiani che hanno dovuto rinunciare a parte delle spese alimentari, c’è un buon Il 47,5% che ha dovuto tagliare abbigliamento e calzature e un 40% abbondante che ha sforbiciato sui viaggi. E, ovviamente, la batosta non è distribuita in modo omogeneo: la classe media ha subito una contrazione doppia rispetto al 20% delle famiglie più ricche; “Il più elevato livello della disuguaglianza, raggiunto a partire dal 2022” ci dice l’Istat.
E sono anche numeri ottimistici, perché se a questi dati Istat aggiungiamo anche solo la privatizzazione dei servizi pubblici, l’aumento del costo degli affitti e delle prestazioni sanitarie, le condizioni di vita reali di un comune lavoratore italiano si fanno molto più concrete e allarmanti; e se si paragonano ai profitti delle banche e dei milionari e miliardari italiani nello stesso periodo di tempo, ecco che anche il quadro politico si fa molto più chiaro, così come le ragioni per il quale il governo, che esprime gli interessi di queste persone, non interverrà mai per cambiare le cose. Come dice la nostra Nadia Garbellini, che sentirete tra pochissimo, siamo di fronte ad un trend epocale: è come se stessimo passando dalla società dei consumi di massa alla società dei consumi del 20, 10, 1 per cento più ricco della popolazione.
Sicuro come la morte – o come la retrocessione del Pisa – c’è poi il secolare divario tra Nord e Sud del Paese: nel 2024, le famiglie del Nord-est spendono in media 834 euro in più rispetto al Sud (il 37,9% in più) e il 30,6% in più rispetto alle isole; non sorprendentemente, dividendo il dato per regioni, si scopre che quelle con “la spesa media mensile più elevata sono Trentino-Alto Adige (3.584 euro) e Lombardia (3.162 euro), mentre Calabria e Puglia sono quelle con la spesa più contenuta, rispettivamente 2.075 e 2.000 euro mensili”. Anche a non voler tener conto del calo reale dei consumi delle famiglie, infatti, la stagnazione della spesa nominale è un bel problema per Meloni e soci: come scrive oggi anche Il Fatto Quotidiano commentando questi numeri, il Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp) appena approvato non solo prevede una crescita reale anemica per quest’anno e per il prossimo triennio (roba da zero virgola), ma affida ai consumi interni un ruolo di traino. Auguri…
Per comprendere meglio le ragioni profonde di questi dati, abbiamo intervistato per voi due straordinarie economiste che vi aiuteranno a leggerli nel loro contesto politico e macroeconomico: Nadia Garbellini, economista dell’Università di Pavia e Bergamo, si è soffermata sulle cause profonde di questo declino –
dalle suicide politiche energetiche di questi anni, ai meccanismi di finanziarizzazione dei prezzi, alle sciagurate liberalizzazioni messe in campo negli anni 90 che, al contrario delle promesse, hanno invece favorito la creazione di oligopoli che oggi impongono sul consumatore finale i prezzi che vogliono.
C’è poi un circolo vizioso, ha sottolineato giustamente Garbellini: se cala la nostra domanda interna, ci diranno come sempre che bisognerà puntare tutto sulle esportazioni e, quindi, sulla competitività delle aziende, che, tradotto, ha sempre significato concorrenza feroce in termini di deflazione salariale; e maggior ragione oggi, con la batosta dei dazi, farà sì che mentre continua a persistere l’inflazione, ci saranno salari ancora più bassi e, quindi, un ulteriore calo dei consumi.
E l’inculata, cari lavoratori, è servita.
Monica De Sisto insegna Modelli di sviluppo economico alla Pontificia Università Gregoriana di Roma ed è vicepresidente dell’Associazione Fairwatch, che si occupa di commercio internazionale e di clima da oltre 10 anni. Discutendo delle possibili ricette per fermare il declino, per citare il nostro idolo indiscusso Oscar Giannino, ci ha parlato della necessità di fare un po’ di serio keynesismo economico, ripartendo da un mix di sano protezionismo, investimenti pubblici e piani industriali, e impedendo ai nostro capitalisti prenditori in stile Stellantis di scappare con i nostri soldi e aprire filiere produttive in giro per il mondo.





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