Via libera ai chip di NVIDIA: tra USA e Cina è tregua. A Doha gli arabi esprimono dubbi sul processo di Gaza, mentre si riaccende il conflitto tra Thailandia e Cambogia
DA OTTOLINA TV

Forrest Trump ha dato il via libera alla vendita di chip NVIDIA H200 in Cina.

Tanto i consumatori USA, sottolinea Forrest, “si stanno già spostando verso gli INCREDIBILI chip Blackwell e, fra poco, Rubin, che non fanno parte di questo accordo”. Un chiaro tentativo di arrestare la gigantesca spinta cinese verso l’indipendenza tecnologica, incentivata proprio dall’embargo USA; “Too little, too late”, rispondono in coro gli analisti minimamente razionali. Si tratta comunque di una mossa decisamente significativa: ricordiamo che, ad aprile, Forrest stesso aveva addirittura vietato l’esportazione dei chip H20, che sono una versione sfigata degli H100; gli H200 sono due volte più potenti degli stessi H100. Ma, come sottolinea Asia Nikkei, “non è chiaro se l’H200 sia sufficiente a riconquistare il mercato cinese, poiché le soluzioni nazionali, tra cui i chip Ascend AI di Huawei e le offerte di Cambricon Technologies, stanno diventando sempre più in grado di competere con NVIDIA”; più che altro, sembra un aiutino a NVIDIA per dare un messaggio di speranza agli investitori, e anche una ulteriore piccola entrata per le casse del Governo Federale USA.
Intanto, negli USA si infiamma la discussione sul consumo energetico dei Data Center (Financial Times gli dedica questo ottimo approfondimento). Un pezzo della soluzione sta nella nuova luna di miele con le petromonarchie: Il calcolo è il nuovo Petrolio, titola la sua analisi su Foreign Affairs un ex pezzo grosso dell’amministrazione Biden: L’America e il Golfo devono collaborare sull’intelligenza artificiale.

Intanto, nel week end, si è tenuto il Doha Forum; secondo Responsible Statecraft, è emerso che gli Stati arabi sarebbero frustrati “dal blocco del piano per Gaza” e avrebbero espresso l’”urgenza di una forza di pace e pessimismo sui progressi”. ”Abbiamo già visto questo film”, ha detto Manal Radwan, ministro plenipotenziario del Ministero degli Esteri saudita, intervenendo sabato, avvertendo che le discussioni sui dettagli stavano costringendo i partner a perdere di vista gli obiettivi finali: ”C’è una guerra a Gaza, poi c’è un impegno da parte della comunità internazionale, poi c’è la ricerca di assistenza umanitaria, poi la stanchezza politica, e poi ce ne dimentichiamo, solo per vedere scoppiare un altro ciclo di violenza ancora più violento”.
Bloomberg coglie l’occasione per fare un bell’approfondimento sui mille volti dei trilioni di Abu Dhabi:

“Le grandi riserve di ricchezza hanno conferito ad Abu Dhabi un’influenza senza precedenti sulla finanza, l’energia e l’intelligenza artificiale a livello mondiale” sottolinea l’articolo.
Comunque, tra le fantomatiche 8 guerre risolte da Forrest Trump, quella a Gaza non è l’unica che continua a porre qualche piccolo problemino:

La tregua mediata da Trump è minacciata, mentre si riaccendono i combattimenti tra Thailandia a Cambogia, titola Reuters. La Thailandia ha dichiarato che i suoi aerei da combattimento hanno colpito la Cambogia lunedì nel tentativo di paralizzarne la capacità militare, mentre una ripresa delle ostilità al confine ha fatto deragliare un fragile cessate il fuoco mediato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Secondo le autorità, ciascuna parte si è accusata a vicenda di aver scatenato scontri scoppiati durante la notte, intensificatisi prima dell’alba e diffusisi in diverse località, con la morte di un soldato thailandese e di quattro civili cambogiani; i combattimenti sono stati i più feroci dai tempi dello scambio di razzi e artiglieria pesante durato cinque giorni a luglio, che ha segnato gli scontri più pesanti della storia recente , quando almeno 48 persone sono state uccise e 300.000 sfollate prima che Trump intervenisse per mediare un cessate il fuoco. “Thailandia e Cambogia sono di nuovo in guerra”, commenta Guancha: “Lo stesso identico procedimento, la stessa ricetta, lo stesso copione che non cambia mai”, ma “questa volta la domanda che tutti si pongono è: se i due Paesi sono già stati costretti dagli Stati Uniti a cessare le ostilità, perché possono ancora iniziare a combattere? I fatti sono chiari: gli sforzi di mediazione degli Stati Uniti nel Sud-est asiatico si sono conclusi con un fallimento. Trump non solo non è riuscito a proteggerli, ma è persino diventato parte della malsana farsa tra Thailandia e Cambogia”.
Nel frattempo, la Cina sembra reggere botta di fronte alla guerra commerciale di Forrest, e nel week end ha annunciato che nel 2025, Per la prima volta il surplus commerciale supererà i mille miliardi:

Nonostante il calo delle importazioni dalla Cina – titola Asia Times – gli Stati Uniti non vincono la guerra commerciale.

“Le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono diminuite del 26% su base annua negli otto mesi successivi all’imposizione di dazi aggiuntivi sulle importazioni dalla Cina da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump ad aprile”, “Ma per Trump non è ancora arrivato il momento di esultare, poiché il surplus commerciale globale della Cina ha continuato a crescere fino a raggiungere livelli record”.
Nonostante i dazi di Trump – rilancia il Wall Street Journal – il settore manifatturiero cinese è in forte espansione.

“La pressione degli Stati Uniti”, sottolinea il Journal, “ha solo consolidato lo status del suo rivale di fabbrica indispensabile del mondo, spingendo il surplus commerciale oltre quota mille miliardi”. Nel frattempo, però, come sottolinea Bloomberg, Il Politburo cinese pone come obiettivo principale per il 2026 la crescita della domanda interna:






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