Il Regno Unito e la guerra in Ucraina: da “alleato” a co-protagonista occulto
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Patrizio Ricci)

Secondo la narrativa prevalente in Europa, il Regno Unito viene presentato come uno dei tanti alleati che “sostengono Kiev” di fronte all’aggressione russa. Una formula rassicurante, che suggerisce un ruolo solidale ma esterno, quasi tecnico. Eppure, se si osservano con attenzione i documenti strategici britannici, i programmi di addestramento militare, le operazioni coperte emerse nel tempo e il coinvolgimento dell’intelligence, questa rappresentazione si incrina profondamente.
Londra non è un comprimario. È uno dei principali architetti della dimensione militare, informativa e clandestina del conflitto ucraino. Non reagisce semplicemente a un evento del 2022, ma agisce lungo una traiettoria coerente che precede l’invasione russa e che prosegue con l’obiettivo dichiarato di logorare strutturalmente la Federazione Russa.
In questo senso, l’Ucraina non appare più solo come una nazione da difendere, ma come il teatro operativo privilegiato di una strategia di contenimento, nella quale convergono interessi geopolitici, dottrina militare, apparati di intelligence e un complesso industriale-finanziario che trae beneficio dalla guerra prolungata.
Il quadro strategico: perché Londra ha bisogno di una Russia indebolita
Per comprendere il ruolo britannico occorre partire da ciò che Londra dice apertamente di sé stessa. Nella Strategia di Sicurezza Nazionale e nella Revisione Strategica della Difesa, la Russia è definita senza ambiguità come la principale minaccia alla sicurezza europea e britannica. Non si tratta di una valutazione contingente, ma di una scelta strutturale.
Questo linguaggio non è neutro. Come ricorda Jeffrey Sachs, «le guerre moderne non iniziano con il primo colpo, ma con decisioni politiche che chiudono sistematicamente ogni spazio di sicurezza reciproca». Definire una potenza nucleare come “minaccia permanente” significa rendere la pace un’eccezione e la pressione una normalità.
Nel caso britannico, questa impostazione si traduce in una politica coerente: aumento stabile della spesa militare, rafforzamento della postura NATO sul fianco orientale, sostegno militare massiccio all’Ucraina, integrazione tra diplomazia, intelligence e industria bellica. Non siamo di fronte a una risposta emergenziale, ma a una strategia di lungo periodo.
Il discorso del dicembre 2025 della direttrice dell’MI6, Blaise Metreweli, ha reso esplicita questa impostazione: la Russia è descritta come potenza espansionista da contenere nel tempo, e l’impegno britannico in Ucraina viene presentato come strutturale, non temporaneo. È, di fatto, l’ammissione che Londra considera il conflitto ucraino come uno strumento per ridimensionare Mosca, non come una tragedia da chiudere il prima possibile.
Prima del 2022: la guerra che non “inizia” con l’invasione
Uno dei punti centrali dell’analisi di Jeffrey Sachs — condiviso da altri realisti come John Mearsheimer — è il rifiuto della narrazione secondo cui la guerra inizierebbe nel febbraio 2022. Le ostilità, in senso politico e strategico, cominciano molto prima: con l’espansione NATO verso est, con il rifiuto sistematico di garanzie di sicurezza alla Russia, con il colpo di Stato del 2014 a Kiev e con otto anni di guerra nel Donbass, che hanno colpito in modo sproporzionato la popolazione russofona.
In questo contesto si colloca l’azione britannica.
Operation Orbital: la trasformazione silenziosa dell’esercito ucraino
Dal 2015, con Operation Orbital, il Regno Unito avvia un programma di addestramento profondo delle forze armate ucraine. Non si tratta di assistenza simbolica, ma di una riconfigurazione dottrinale: comando e controllo, logistica, artiglieria, guerra anticarro, medicina da combattimento. In sette anni vengono addestrati oltre 22.000 militari, riallineando l’esercito ucraino agli standard NATO.
Questo dato è cruciale: l’Ucraina viene progressivamente integrata nel sistema militare occidentale, pur restando formalmente fuori dall’Alleanza. Esattamente ciò che Mosca indicava come linea rossa, e che — come ricorda Sachs — costituiva una minaccia percepita e dichiarata.
In questo processo entrano in gioco anche le forze speciali britanniche. La presenza di unità SAS nell’addestramento, sebbene non ufficialmente confermata nei dettagli, è coerente con la natura del programma. Non si forma un esercito “difensivo”, ma una forza capace di operazioni complesse, asimmetriche, offensive.
Dopo il 2022: dalla preparazione alla co-gestione del conflitto
Con l’inizio dell’operazione militare russa, l’impegno britannico non diminuisce: si espande e si approfondisce. Dopo la crisi del 2014, Londra avvia un programma di lungo periodo per ristrutturare e rafforzare le forze armate ucraine.
Con Operation Interflex, l’addestramento viene trasferito sul suolo britannico. Decine di migliaia di soldati ucraini vengono formati direttamente nel Regno Unito. Entro il 2025 si supera quota 60.000 militari addestrati.
Qui emerge un dato raramente esplicitato: una parte rilevante dell’esercito ucraino è stata letteralmente “fabbricata” in Gran Bretagna. Non solo armata, ma formata, selezionata, istruita secondo una logica operativa occidentale.
Londra non fornisce semplicemente strumenti: contribuisce a creare il soggetto umano della guerra.
Forze speciali e operazioni ad alto rischio
L’ammissione del generale Rob Magowan — circa la presenza di Royal Marines e il coinvolgimento in “operazioni segrete ad alto rischio” — segna un punto di non ritorno sul piano politico. Anche senza una dichiarazione formale di guerra, la Gran Bretagna agisce nella zona grigia della cobelligeranza.
Le forze speciali non sono consulenti neutrali. Sono strumenti di proiezione di potenza che consentono a uno Stato di incidere sul campo senza assumersi formalmente la responsabilità di una guerra dichiarata.
Mar Nero, sabotaggi e guerra asimmetrica
Nel teatro marittimo, il ruolo britannico diventa ancora più sensibile. L’addestramento fornito dallo Special Boat Service alle unità ucraine spiega molte delle capacità emerse negli attacchi a infrastrutture, navi, piattaforme energetiche e nodi logistici russi.
Le fonti specialistiche indicano che lo Special Boat Service (SBS), l’unità navale d’élite britannica, ha addestrato unità ucraine specializzate in:
– operazioni subacquee clandestine;
-sabotaggio di infrastrutture offshore (piattaforme, terminali);
– incursioni navali con piccoli mezzi e droni;
– infiltrazione e recupero in aree costiere controllate dal nemico.
Alcuni reparti, come l’801° distaccamento sommozzatori e il 73° Centro per le operazioni speciali navali, avrebbero beneficiato di questa formazione. Si tratta esattamente delle competenze che ritroviamo negli attacchi a:
– navi e strutture della Flotta del Mar Nero;
– il ponte di Crimea;
– piattaforme energetiche e nodi logistici russi.
L’SBS opera quindi come “maestro di guerra asimmetrica” in un contesto in cui il mare diventa il luogo privilegiato del logoramento tecnologico della Russia.
Qui la guerra assume una forma che Sachs definirebbe “irresponsabile”: azioni ad alto rischio di escalation, condotte sotto la soglia diplomatica, che colpiscono infrastrutture critiche e terzi paesi (come il Kazakistan nel caso CPC).
Non è necessario dimostrare un “ordine diretto” britannico per cogliere la sostanza: Londra ha fornito capacità, dottrina e copertura politica a una guerra di sabotaggio che allontana ogni prospettiva di negoziato.
Project Alchemy: la pianificazione della guerra lunga
I documenti su Project Alchemy confermano ciò che emergeva già implicitamente: l’impegno britannico non è episodico, ma strategico e clandestino. Colpire il ponte di Kerch, sviluppare reti partigiane, coordinare operazioni nel Mar Nero, insegnare il sabotaggio a bassa visibilità diplomatica: tutto questo indica una scelta precisa.
La rivelazione di documenti su Project Alchemy, pubblicati da The Grayzone e rilanciati da altre fonti, mostra che l’impegno britannico non è solo fatto di addestramento occasionale, ma di pianificazione strutturata.
Alchemy nasce nei primi giorni dell’invasione russa, sotto la guida del Lieutenant General Charles Stickland, Chief of Joint Operations. Gli obiettivi includono:
– colpire il Ponte di Kerch, “degradando in modo spettacolare” la connettività con la Crimea;
– sviluppare cellule partigiane in stile Gladio, capaci di azioni dietro le linee;
– coordinare operazioni nel Mar Nero, compreso l’uso di droni navali e l’occupazione temporanea di punti strategici;
– fornire agli ucraini strumenti e know–how per condurre sabotaggi a bassa visibilità diplomatica.
Nel progetto compaiono militari e civili di alto livello.
Alchemy conferma che Londra ragiona non in termini di “aiuti episodici”, ma di campagna clandestina di lungo periodo.
Non vincere una pace, ma rendere la guerra permanente e gestibile.
È esattamente ciò che Sachs denuncia da anni: una guerra usata come strumento di politica estera, senza una reale strategia di uscita.
Guerra, denaro e responsabilità morale
Il legame tra politica, industria bellica e grandi finanziatori — come nel caso Harborne-QinetiQ — non dimostra automaticamente corruzione, ma rivela un ecosistema in cui la guerra diventa occasione di profitto e di rafforzamento di potere.
Da una prospettiva cristiana e realista, attenta ai fatti e non alle narrazioni consolatorie, il ruolo del Regno Unito nel conflitto ucraino pone alcune questioni cruciali.
1) Strumentalizzazione dell’Ucraina
L’Ucraina ha diritto alla difesa. Ma quando la sua guerra diventa il principale strumento con cui una potenza esterna cerca di indebolire una potenza rivale, il rischio è che il popolo ucraino non sia più soggetto, ma oggetto: campo di battaglia su cui si gioca una partita di equilibrio di potenza che lo trascende. La sofferenza dei civili, la distruzione delle infrastrutture, l’esodo di milioni di persone vengono assorbiti, quasi normalizzati, come “costo operativo”.
2) Logica della sconfitta “strategica”
Se l’obiettivo dichiarato è la “sconfitta strategica della Russia”, come indicato da molti documenti e dichiarazioni occidentali, la pace diventa quasi impossibile da concepire come compromesso giusto. Una pace giusta richiede il riconoscimento di un nemico come interlocutore; definire l’altro come minaccia permanente spinge verso una logica di guerra prolungata, frammentata, magari congelata, ma difficilmente risolta.
3) Responsabilità morale dei decisori
Il coinvolgimento di servizi segreti, forze speciali, apparati diplomatici e complessi industriali non annulla la responsabilità politica. Anzi, la accentua. È legittimo chiedersi se i leader britannici — come quelli di altri paesi occidentali — abbiano davvero fatto tutto il possibile per aprire spazi di negoziato (si pensi a Istanbul 2022), o se abbiano visto nel prolungamento del conflitto un’occasione per ridisegnare i rapporti di forza, accettando implicitamente che a pagare siano altri popoli.
In definitiva, il ruolo del Regno Unito nel conflitto ucraino non può più essere descritto come quello di un generoso “donatore di armi”. Londra è uno degli ingegneri principali della dimensione militare e clandestina di questa guerra. Riconoscerlo non significa assolvere o condannare in blocco nessuno, ma è condizione necessaria per qualsiasi discorso serio su responsabilità, uscite di sicurezza e possibilità di pace.
Quindi, se il conflitto continuerà ad essere gestito come strumento per “infliggere una sconfitta strategica a Mosca”, le prospettive di una soluzione stabile sono deboli. Se invece si inizierà a guardare all’Ucraina non solo come campo di battaglia, ma come realtà concreta fatta di persone, storia, legami, allora forse tornerà possibile pensare la politica internazionale non solo come gioco di potenza, ma come ricerca faticosa di ordine giusto, in cui la forza è contenuta dal diritto e orientata alla pace, non alla vendetta o alla supremazia.
La pace come scelta politica
Jeffrey Sachs lo ripete con chiarezza: «Questa guerra avrebbe potuto essere evitata e può ancora essere fermata, se si riconoscono le cause reali del conflitto». Garanzie di sicurezza negate, espansione NATO, Maidan, guerra nel Donbass: ignorare tutto questo significa condannare l’Ucraina a essere campo di battaglia permanente.
Il Regno Unito ha scelto la strada della potenza, non quella della mediazione. Ha contribuito a trasformare una guerra regionale in un laboratorio di logoramento strategico.
Riconoscerlo non è propaganda filo-russa. È il primo passo per tornare a pensare la politica internazionale come responsabilità verso la pace, non come gestione cinica della violenza.
Finché l’obiettivo resterà la “sconfitta strategica della Russia”, la pace resterà impronunciabile.
Quando invece si accetterà che nessuna sicurezza può nascere dall’umiliazione dell’altro, allora forse l’Europa potrà smettere di essere il teatro di una guerra combattuta per interessi che non sono i suoi.
#TGP #Ucraina #UK
Fonte: https://www.vietatoparlare.it/il-regno-unito-e-la-guerra-in-ucraina-da-alleato-a-co-protagonista-occulto/
Fonte: https://www.facebook.com/share/p/179gwKRBbJ/





Commenti recenti