Le aziende "furbe"
In queste ultime settimane ho avuto modo di parlare con qualche direttore commerciale in visita ai punti vendita in occasione dei loro giri periodici.
Approfittando della loro loquacità li ho interrogati a fondo per capire un po’ di più di come le nostre aziende mobiliere (ma non solo) cercano di sopravvivere alla crisi.
Il mio settore è l’arredamento per interni da due generazioni. Le aziende che mi forniscono merce sono italiane, di dimensioni medio-piccole, con personale locale e si rivolgono esclusivamente al disastrato mercato interno.
Il polso del commercio al dettaglio è debolissimo ed ho scritto in proposito tantissime volte. Qualsiasi attività tradizionale, di qualsiasi settore NON monopolista (esclusa la grande distribuzione multinazionale di alimentari) accusa forti perdite. A partire dal 2008 i fatturati sono scesi dal 50% e anche molto di più. Potrei farvi esempi infiniti. A partire dalla mia piccola attività o dai negozi che ogni giorno troviamo chiusi.
Quella che cerco di fare oggi è un’analisi sulle aziende che vendono ai commercianti i cosiddetti beni durevoli.
Primo caso: Fabbrica di materassi di primaria importanza nazionale con un centinaio di dipendenti.
domanda: il mio negozio ha avuto un calo del 65% dal 2006 ad oggi. Voi che calo accusate dal 2008 ad oggi?
risposta: Circa il 20%
d. Solo?
r. Si, poiché abbiamo aumentato lo standard qualitativo, spingendo soprattutto prodotti di fascia medio-alta. Se dovessimo ragionare in termini di pezzi prodotti siamo oltre il -60%. I prodotti di fascia bassa non conviene più produrli. Il margine è troppo basso.
d. Avete licenziato?
r. Al momento sono stati licenziati solo pochi personaggi “scomodi”. Abbiamo utilizzato la cassa integrazione straordinaria, quella a lunga durata. Siamo coperti sino al 2018. Facciamo meno della metà delle ore che lavoravamo prima del 2008. In pratica, abbiamo diluito il monte ore lavorative, appoggiando allo Stato parte dei costi. Lavoriamo 3 giorni pieni per settimana.
d. Quindi state lavorando quasi esclusivamente su prodotti a maggior margine aggiunto (costano di più), producendo un numero di pezzi inferiore al 60% e che di conseguenza richiedono meno della metà delle maestranze. Lavorate 20/22 ore a settimana e il resto lo paga il governo, limitando in questo modo le perdite di fatturato ad un modesto 20%. Ho capito bene?
r. Si, è così. E c’è di più. Le perdite reali sono molto inferiori, forse, a ben guardare, potrebbero essere addirittura un attivo.
d. Non capisco. Si spieghi meglio.
r. È come se avessimo tutti i dipendenti a part-time. Sia come compenso che come contributi. Stiamo risparmiando notevolmente sui costi di gestione, poiché le linee di produzione restano chiuse lunedì, venerdì e sabato. Gli straordinari, da sempre sconvenienti per l’azienda, che una volta eravamo costretti a fare, non si fanno più. Anche il commerciale, con una turnazione particolare che non lo lascia mai chiuso in ore d’ufficio, ha dovuto adeguarsi. Le sole tasse, purtroppo, restano uguali.
d. il nero lo fate ancora?
r. Lo si fa, pochissimo, solo a clienti di una certa importanza strategica che rompono per averlo. Non vi è più alcuna necessità di fare un 30% di nero quando dopo non hai spese da scaricare. Con la tassazione che abbiamo non ha senso. Rischieresti di pagare molto di più per l’adeguamento, in pratica obbligatorio, agli studi di settore. Quello che risparmi, peraltro rischiando, lo pagheresti comunque. Oggi siamo scesi al 8/10%.
d. Pensa che all’Italia convenga l’euro?
r. A queste condizioni meglio avere l’euro. A noi il mercato estero non interessa.
d. Appunto! Non interessandovi l’export a voi non cambierebbe nulla.
r. Bhe, non è proprio così … noi compriamo parecchia materia prima fuori nazione. Una moneta stabile e forte ci fa comodo. Basta sapersi adattare e sfruttare al meglio le leggi.
d. Se le cose continuassero a peggiorare e se lo Stato decidesse di fermare la cassa integrazione a lungo termine cosa fareste?
r. Dovremmo licenziare il 50/60% dei dipendenti ma poi non riusciremmo a far funzionare l’azienda. Da qui la decisione di lavorare taluni giorni della settimana. Diversamente saremmo costretti a delocalizzare o a chiudere, facendo la fine di molte altre fabbriche italiane.
d. Quindi, sareste incapaci di produrre con il 50% dei dipendenti in meno?
r. ESATTO!
Secondo caso: fabbrica di sedie e tavoli di importanza relativa con 35/40 dipendenti.
Più o meno le stesse cose di sopra:
calo fatturato -25%
da 1000 sedie a settimana a 300 (-70% di pezzi prodotti)
produzione spostata verso i prodotti di costo maggiore e contraffazione commerciale, importando direttamente prodotti (metallo e vetro) dalla Cina e cambiando gli imballaggi. (questo, chiaramente non me l’ha detto, ma lo so da me per certo).
Nero solo su quanto prodotto direttamente (circa 10% del totale)
Fabbrica aperta martedì, mercoledì e giovedì mattina.
Sull’euro non mi ha risposto: non ne sapeva abbastanza.
Potrei andare avanti con un’azienda di cucine da 400 dipendenti e con altre ancora.
Il panorama è pressoché identico. Quasi tutti i miei fornitori abituali stanno lavorando 3 gg la settimana.
Adesso voglio parlarvi della Indesit di Fabriano, dove si producono forni e piani di cottura (freddo e lavaggio sono stati spostati quasi completamente in Polonia).
Numeri del tg1 economia del 10/03/2014.
Pezzi prodotti oggi: circa 3 milioni/anno; pezzi prodotti ante-crisi: 4,2 milioni (-29%);
l’azienda ha attuato la cassa straordinaria a lunga durata (scadenza 2019), ha fatto contratti di solidarietà accettati dalle parti (meno ore lavorative per tutti), puntando sull’innovazione tecnologica e su prodotti di gamma medio-alta per compensare tramite maggior margine aggiunto il milione di pezzi in meno prodotti l’anno.
Per concludere: se gli ammortizzatori sul lavoro finissero dall’oggi al domani i 3/4 delle aziende che ancora producono chiuderebbero entro 6 mesi, poiché se LICENZIASSERO la metà dei dipendenti NON POTREBBERO PIU’ PRODURRE NULLA. Se hai bisogno di 50 persone su 50 macchine diverse NON puoi averne solo 25!!!!!
Il desiderio di CONFINDUSTRIA è quello di abbassare il cuneo fiscale ma SOPRATTUTTO pagare di meno i LAVORATORI. A loro, come ai renditieri, ai boiardi di stato, ai manager e all'alta finanza, della sovranità perduta, di uscire dalla UE e dall’euro NON frega ASSOLUTAMENTE nulla. Anzi, ci andrebbero a perdere nettamente. Per loro, questo è il MIGLIOR mondo possibile.
Tanto, alla fine, gli ammortizzatori sociali li paga Pantalone.
La perdita reale di guadagni degli industriali che sono riusciti a paracularsi, nei modi descritti e per legge consentiti, resta marginale. Ed è per questo motivo che NON vogliono uscire dall’euro. A loro, l’euro CONVIENE.
E a noi, CONVIENE?
Una Nazione come l'Italia, QUINTA potenza industriale negli anni '80, governata negli ultimi 35 anni da politici che hanno curato i loro personalissimi interessi, spinti ed assecondati da decine di potenti lobby che hanno inseguito ognuno il proprio "particulare" si è completamente disgregata e sta naufragando miseramente.
Roberto Nardella, ARS Puglia
Una risposta
[…] della fame per spingere Zaia a convocare il referendum indipendentista.) Poi ho letto questo post (Le aziende “furbe”) di Roberto Nardella. Guardate il video e leggete il post di Nardella. Poi mi sono lanciato in un […]