Un potere senza legalità
Non voto o voto scheda nulla da quasi dieci anni. Perciò la questione dell'esclusione delle liste del PDL dalle elezioni che si svolgeranno nel lazio e in lombardia non dovrebbe interessarmi. Ciò è vero sul terreno pratico-politico; sul piano teorico le cose stanno diversamente. Tutti gli elementi che possano porre in evidenza che la democrazia – almeno nella forma maggioritaria, mediatica e con sbarramento a partiti nuovi – è oggi ridotta ad una farsa, ad un rito vuoto di significato, caratterizzato dall'eterogenesi dei fini e dagli esiti paradossali devono essere posti in risalto, perché sul tema si deve cominciare a parlare con sincerità, profondità e libertà. L'analisi di Michele Prospero è profonda – anche se si limita a sollevare con acutezza il problema, senza offrire soluzioni e senza trarne corollari – e pertanto ne raccomando la lettura (SD'A).
di Michele Prospero
fonte Ilmanifesto
È davvero un grattacapo questa imbarazzante vicenda della (inevitabile) bocciatura delle liste della destra alle elezioni regionali. Una politica ormai esangue, di puro potere e senza alcun pathos, è riuscita a infilarsi in un dilemma paralizzante tra il principio di legalità (anche le burocratiche e vetuste regole elettorali, dal momento che sono vigenti, vanno rispettate) e il momento della rappresentatività (un cavillo procedurale, posto peraltro a garanzia della effettiva consistenza numerica delle liste sottoposte al vaglio dell'elettore, inibisce proprio la misurazione del consenso di una forza data per maggioritaria).
Il conflitto, spesso sordo, tra il politico e il giuridico è un momento costitutivo dell'agire collettivo. E scegliere da che parte stare, in certi frangenti, non è affatto scontato. Il crudo realista Machiavelli scriveva che anche il principe, che fa la legge, è poi tenuto a rispettarla. Egli quindi dava, a suo modo, ascolto, entro un pensiero politico che pure postula la realtà del conflitto irriducibile, al principio di legalità. Montesquieu, teorico del controllo predisposto da autorità che si incastrano a vicenda per limare le asperità del comando arbitrario, trovava invece «assolutamente ridicola» quella politica che, per prevenire dispute e discordie, «aggiungeva articolo su articolo» e non si avvedeva che «quanto più moltiplicava le convenzioni, tanto più moltiplicava i motivi di disputa».
La questione della relazione tra la regole e la politica è dunque molto spinosa se il demoniaco Machiavelli riconosceva le ragioni della legalità come sovraordinata rispetto alla politica (che opera entro ordini e istituti solidi) e il candido moderato Montesquieu si inginocchiava dinanzi alle esigenze della politica di evocare uno spazio oltre il puro dettato normativo. È chiaro che la politica, in quanto tale, abita strutturalmente in una zona ambigua in cui cioè la coppia legale/illegale non esaurisce per intero il ventaglio delle possibilità in campo. E tuttavia, se muovendosi in questa zona grigia, il politico per presentarsi al voto incappa in vizi di forma, palesa nella sua condotta delle pacchiane forzature delle regole date non può sottrarsi alle conseguenze sanzionatorie del suo maldestro operato. La politica, come scontro effettuale di forze, può anche valicare il confine tra lecito e illecito ma se la fisiologica opera di sorveglianza prestata dai poteri costituiti rileva violazioni delle norme nessuno può schivare la sanzione prevista dall'ordinamento.
Come conciliare l'esigenza secondo cui nessun potere pubblico o privato può oltrepassare la norma valida e il contestuale interesse pubblico di celebrare elezioni davvero competitive, aperte cioè anche alle forze oggi azzoppate da cavilli e arcaismi che tuttavia vincolano le autorità giudiziarie? Ogni soluzione appare paradossale. Il governo, abituato a stravolgimenti a getto continuo della non retroattività della norma e a industriali emissioni di leggi ad personam, potrebbe appellarsi alla sostanza dei rapporti di forza e, con un atto di potenza, decretare di sciogliere d'imperio l'impaccio in cui versano i candidati governatori. Il costo per il già debole principio di legalità sarebbe però assai elevato. Il governo spera forse che la castagna dal fuoco la tolgano i talebani, ovvero le toghe rosse invocate a compiere scelte politiche con sentenze a loro modo creative di nuovo diritto. L'alternativa è chiara. O un reiterato abuso di potere perpetrato dall'esecutivo o una delega ai talebani di creare diritto, e di non limitarsi ad interpretarlo. Comunque vada, non si esce in maniera pulita da questo assurdo dilemma di un potere senza legalità e di un governatore trionfante ma senza rappresentanza.
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