L'inflazione, questa amica misconosciuta
Si parla da tempo della sodomizzazione da parte dell’economia finanziaria ai danni dell’economia reale.
In questo grande calderone di mancanza di sovranità ed impotenza assoluta nella ricerca della giustizia sociale, è presente anche un termine, “inflazione”, un sostantivo che sta a significare aumento dei prezzi, menzionatissimo, importantissimo ma il più delle volte usato in modo improprio.
E’ talmente importante nella percezione delle persone che è stato uno, o meglio “lo specchietto per le allodole” usato dalla finanza nella sodomizzazione sopra menzionata, è talmente importante come variabile per la finanza che la stessa non poteva non far apparire l’inflazione per quello che non era, diffamandola, rendendola un mostro, rendendola uno dei parametri di Maastricht che tanta spinta e foga diede alla colonizzazione subita nelle nostre terre, rendendola agli occhi della gente ciò che non era per non far emergere il fatto che l’inflazione, se mai era un male, lo era soprattutto, se non solo, per il capitale finanziario.
Addirittura, come se le acque non fossero già abbastanza confuse, si sono create sacche di lotta al sistema bancario totalmente inverosimili e anacronistiche, ma che adducono l’inflazione come grande ruberia ai danni del popolo, al grido del signoraggio bancario. In realtà, dall’abbandono del sistema del gold standard e con la riserva frazionaria all’un per cento da decenni, vengono a mancare i presupposti fondamentali della loro teoria. In realtà, nell’andare contro le banche che guadagnerebbero dall’inflazione derivante da aumento di base monetaria, oltre a dire una falsità, fanno il gioco delle stesse banche, ergo non far capire il problema, distogliendo e canalizzando l’attenzione su qualcosa che non esiste più da tempo e che, soprattutto, non è il problema. I signoraggisti hanno capito chi è il burattinaio, ma non hanno capito come muove i fili. Insomma, più in generale, possiamo affermare che c’è una tale confusione da risultare tutt’altro che semplice districare la realtà per rendere fruibile la verità.
Ma tornando al burattinaio, per rendere palese il terrore della finanza nei confronti dell’inflazione, leggiamo come ne parla il sito ufficiale della BCE, in un cartone animato creato ad hoc per evangelizzare le masse all’odio del loro peggior nemico. Così recita il sito:
“Stabilità dei prezzi: cartone animato per le scuole
Insegnare l’economia alle prime classi delle scuole secondarie? Questo pacchetto sulla stabilità dei prezzi può essere di aiuto. Contiene un cartone animato della durata di 8 minuti, un opuscolo informativo per gli studenti che spiega la stabilità dei prezzi in parole semplici e una guida più dettagliata per l’insegnante. Il materiale è stato predisposto dalla BCE in collaborazione con le banche centrali nazionali dei paesi dell’area dell’euro”.
Questo è il video: https://www.youtube.com/watch?v=2r-FGIowHUo
In questo cartone l’inflazione è rappresentata da un mostro. Un mostro. L’inflazione è un mostro. Va insegnato nelle scuole. La stabilità dei prezzi è il cavaliere buono che salva il mondo e tutte le persone che lo abitano dal mostro dell’inflazione. L’inflazione è un mostro. Va insegnato nelle scuole.
Una prima baggianata è il fatto che l’inflazione sia collegata ad una maggiore moneta in circolazione data l’offerta costante di beni. Il cartone non prende in considerazione che, con più domanda, potrebbe aumentare l’offerta e non i prezzi. Per esempio, con un maggior salario reale, potranno aumentare i dipendenti che si avventureranno nell’attività imprenditoriale, magari quel tipo di attività imprenditoriale di micro o piccola impresa tanto cara alle nostre basi economiche. Ciò che il cartone ipotizza poteva essere vero, in parte, fintanto che la produzione mondiale era limitata per oggettivi limiti tecnologici. Oggi, da molto tempo, da molto prima dell’anno del cartone animato, la capacità produttiva mondiale ha superato abbondantemente il limite posto dinanzi ai suoi occhi dalla tecnologia. La produzione ha una capacità tale di adeguamento alla domanda che il problema sono trovare le opportunità di business, non creare l’offerta per il business.
Una seconda baggianata è la metafora della Germania e dell’iperinflazione dettata da stampaggio di moneta incontrollato perché base monetaria ed inflazione non sono più in connessione da tanto tempo. Non esiste più il gold standard, cioè le banche centrali, nel momento in cui emettono nuova moneta, non devono più accantonare riserve auree a copertura della nuova emissione. In parole semplici ciò vuol dire che la moneta non è più collegata ad un qualche valore reale, è smaterializzata. La conseguenza pratica è poter emettere moneta a profusione, come successe con i quantitative easing americani degli anni 80 post crisi petrolifere, in cui si cercava inflazione stampando moneta ben oltre le necessità del sistema economico. Ma, guarda caso, non si è avuta inflazione. Si è avuto solo l’effetto di allontanare ancor di più la relazione tra base monetaria e inflazione, e di avvicinare sempre di più l’inflazione ad una mera variabile di riequilibrio tra gli aggregati economici di domanda e offerta. Se infatti la moneta in circolazione copre già abbondantemente la richiesta nell’economia reale, va da se che può essere difficile reperirla per mancanza di “fiducia” del sistema creditizio nei confronti dell’economia reale, ma non per mancanza oggettiva di banconote. Non è più un bene finito, esula dalle leggi di domanda e offerta. Semplice.
Una terza baginata è che la deflazione porterà la domanda ad aspettare prezzi ancora più bassi annullando le possibilità di ripresa dei prezzi stessi. Tale affermazione può essere ascritta al peggior bar dello sport e non si arriva in deflazione per sport. Oggi lo sappiamo bene. Nel momento in cui sei in deflazione hai ben altri problemi che convincere i consumatori a non attendere prezzi ancor più bassi. Prendiamo la nostra situazione. Siamo in deflazione perché hanno distrutto la domanda interna erodendola fino quasi a far diventare il salario obolo dei cittadini. Si è supplito a ciò per un paio di decenni facendo esplodere il debito, prima pubblico e poi privato, ma quando anche questa leva è venuta immancabilmente a mancare, divenendo anzi un pericoloso boomerang, siamo entrati in deflazione, deflazione da mancanza di domanda. Non c’è domanda. Il grafico della formazione dei prezzi è il seguente
L’equilibrio si sposta a sinistra del grafico e i prezzi calano. Certo, dipende poi dal tipo di bene e non vale tout court, ci sono altre variabili in gioco, ma la variabile che ha contato di più nella deflazione attuale è stata sicuramente la suddetta. Quindi, la consecutio non è che il consumatore vede che i prezzi calano e aspetta che calino ancor di più. Forse è vero per qualche magnate, ma non per il normale cittadino. Per il normale cittadino vale la banale consecutio che non ha più salario per spendere e il produttore, pur di rendere appetibili i propri beni e vendere, scende anche fino a sotto il proprio costo di produzione, producendo deflazione.
Una quarta baggianata è la struggente storia della vecchietta a cui l’inflazione ha eroso la propria pensione. Non che oggi non sia vera, ma ripeto, oggi, anzi, per la precisione, in Italia, dal 1992, perché prima questa questione aveva una soluzione tanto semplice da essere disarmante. I salari, pensioni comprese, venivano adeguate al costo della vita automaticamente. Niente di più semplice. Non si risolvono tutti i problemi, perché se ho un salario reale basso la scala mobile mi proteggerà dall’inflazione, ma il mio salario reale rimarrà comunque basso, però risolve almeno la parte nominale della faccenda. La scala mobile fu eliminata da Amato, ma più in generale da tutta quella classe politica che ci ha portato all’euro passando per i famigerati trattati. Quindi, nel cartone, un problema creato dal volere della finanza, è propedeutico al presentarsi come soluzione. La soluzione è combattere il più grande nemico della finanza al grido della sua pericolosità per i cittadini più indifesi come la povera signora pensionata. Un capolavoro illusionista.
Però il cartone una cosa giusta la dice. La BCE combatte l’inflazione e decide i tassi di interessi. I tassi di interesse. Ecco, l’equilibrio fondamentale di cui nessuno parla è proprio quello che si instaura tra inflazione e tassi di interesse. Non sono tanto i valori assoluti di inflazione e tassi ad indirizzare l’economia, ma i loro valori relativi. C’è stato un momento nella storia in cui questo equilibrio è cambiato. Fino ad un certo tempo l’inflazione è stata sempre più alta dei tassi. Da qualche decennio, i tassi sono costantemente più alti dell’inflazione. E se i tassi sono più alti dell’inflazione, guarda caso, viene a crearsi l’habitat naturale della finanza. Il cartone pone il limite inflazionistico al 2%, mentre lo spread che le banche applicano è di solito il 3%. Fate i vostri conti. Badate, il 3% è aggiunto ai tassi interbancari (ed è il ricavo del sistema finanziario), quindi anche se il tasso interbancario, come oggi, è 0, con l’inflazione sotto il 3% comunque son più che coperti. Come fino agli anni 70, grazie al rapporto inverso tra inflazione e tassi, i debiti pubblici si svalutavano, oggi si rivalutano, a prescindere da tutto il resto. Capolavoro della relatività.
Ma ora, dopo tante specificazioni, è ora di semplificare il concetto, per quello che veramente è: l’inflazione è questione di equilibrio.
I prezzi si formano dal banale equilibrio tra domanda e offerta. Il prezzo è il riequilibrio del mercato delle merci, come il cambio valutario lo è per le valute. Il mondo è oggi sbagliato soprattutto per questa moda di fissare le variabili di riequilibrio dei mercati come costanti, quando fissandole perdono proprio la variabilità indispensabile per poter essere elementi di riequilibrio. Nelle valute si è creati l’euro, anche se bisognerebbe partire dallo SME del 1979. Nelle merci si è posto il limite al 3% al tasso di inflazione, medesimo errore, medesima caprina fine.
E l’equilibrio deve risiedere anche in un’altra importantissima equazione.
P = C + W
dove P sono i prezzi, W i salari e C gli altri elementi aziendali che concorrono alla formazione del prezzo, profitto compreso.
Dopo le crisi petrolifere degli anni 70, è stato messo addirittura in discussione Keynes perché non si capiva come le sue idee sull’inflazione non si stessero verificando. Si arrivò dunque a Regan, alla Sig.ra Thatcher e agli altri personaggi a cui possiamo tranquillamente addebitare la perdita di sovranità dei popoli, ma la soluzione risiedeva anche in tale circostanza nell’ottica relativa, nel considerare i rapporti di forza e non solo il risultato.
Per una sana crescita di P è fondamentale concentrarsi su W, la vera e unica spinta per P. Una volta che P è spinto in alto da W, per non far aumentare P, va creata più offerta, magari migliore offerta, ma che dovrà sempre tornare in buona parte a W per dar linfa al circolo virtuoso.
Stesso principio dovrebbe valere nei casi di aumento di base monetaria. Aumentare la base monetaria senza indirizzarla, come è stato negli anni 80 e come è stato, per portare un esempio attuale, il QE di Draghi, non farà aumentare la domanda perché non si aumenta la percentuale di W nella formazione di P, ma al più si lasciano costanti i rapporti tra C e W, lasciando il salario, a livello relativo rispetto al prezzo, troppo basso per sospingere i prezzi a salire.
Una maggiore base monetaria deve portare ad un maggior reddito reale, perché se un aumento del reddito nazionale lo creo usando in modo tanto sadico quanto spregiudicato stagisti, voucher vari e un paio di reinters che aumenteranno il reddito ma non la domanda, soprattutto non aumentano la domanda di beni reali comuni, quelli in crisi di domanda, bhé, non succederà nulla di apprezzabile.
Il problema è dunque indirizzare questa nuova base monetaria verso maggiore domanda, che porta una maggiore produzione e non viceversa, perché ad un certo punto la spinta data artificiosamente alla domanda, per sostenere la maggior offerta, dal maggior debito privato viene immancabilmente a mancare, e succede quello che è successo nel 2007/2008 con i mutui subprime americani, di cui ancora portiamo i postumi.
E qui si potrebbe arrivare a parlare della deregolamentazione dei mercati finanziari, anch’essa posta in atto nei primi anni novanta, almeno in Italia, funzionale a non far avvertire la perdita di W facendo aumentare il debito privato, oltre che diminuire il risparmio.
Così come si potrebbe parlare della soluzione posta in essere dai produttori di cercare altri mercati, avendo distrutto le domande interne, e si finirebbe per parlare di TTIP o altro in giro per il mondo, ma arriveremo in lidi troppo lontani dall’oggetto dell’articolo.
Quindi, tornando nei binari dello scritto, in estrema sintesi, non fatevi troppi problemi esistenziali in merito all’inflazione. L’economia va bene con inflazione derivante da domanda, perché è naturale che l’offerta si adeguerà ed aumenterà. Il tutto deve essere condito da un tasso di interesse più basso del tasso di inflazione, di modo che il capitale abbia convenienza ad investire nell’economia reale e spinga l’offerta ad aumentare calmierando l’inflazione, in attesa di un nuovo aumento della domanda derivante da una redistribuzione del salario che faccia aumentare la domanda di beni reali, e così via. Per farvi capire, posso esplicarvi un concetto forte ma esaustivo: è meglio l’inflazione al 18% e i tassi al 15% che l’inflazione al 3% ed i tassi al 6%. E’ questione di equilibrio, non è questione di valori assoluti assunti dalle variabili. Una grande verità in tal senso è la seguente: “la prima Repubblica “rubava” alla rendita, oggi si ruba al lavoro”.
Durante la prima Repubblica, lo Stato (NOI) pagava interessi negativi sul debito, oggi, con mancanza di sovranità e tassi maggiori dell’inflazione, la spirale porterà ben presto all’estinzione del nostro Stato. E anche quando l’inflazione era al 15%, sebbene non auspicabile e sebbene era senz’altro presente un indesiderato trasferimento di denaro dai possessori di beni finanziari a possessori di beni reali, qualche pensiero è d’obbligo:
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il debito dello Stato si svalutava talmente tanto (se batti moneta puoi permetterti tassi all’1% a prescindere, pensa un po’), che lo stesso poteva permettersi degli aumenti di welfare che sono reddito, W, per il cittadino, oltre a dargli quella tranquillità ormai sconosciuta ai più. Tranquillità per un’istruzione, una sanità, una sicurezza e tutto ciò che entra nella vita di tutti indistintamente;
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Non è poi così negativo che i possessori di beni finanziari siano spinti ad investire nell’economia reale, combattendo in modo duro e puntuale speculazioni e bolle varie ed eventuali;
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Nessuno vieta una redistribuzione per particolari situazioni (un singolo individuo può possedere determinati tipi di beni e avere un vantaggio spropositato rispetto al maggior costo derivante a lui dall’inflazione subita nelle sue spese) attraverso la leva fiscale.
Concludendo, io sogno un mondo in cui l’inflazione sia solo un numero, un numero che per essere valutato ha bisogno di essere affiancato ad altri numeri. Un numero che può anche avere un’accezione positiva, se i prezzi crescono perché aumenta la domanda derivante da un maggior salario. La domanda, è lì che si gioca la partita. Il salario reale deve essere continuamente alimentato da scatti salariali tali da adeguarlo all’inflazione ed anche più, perché il salario reale deve crescere lentamente ma costantemente in uno Stato civile conforme alla nostra carta costituzionale. Tale crescita è meno meccanica, più difficile e strutturale da metter in atto rispetto al semplice adeguamento del salario nominale stile scala mobile, ma è l’unico modo per tenere l’offerta sotto pressione in attesa della sua crescita. Tale crescita dell’offerta, ergo del tanto inflazionato indicatore chiamato PIL, dovrà essere in primo luogo sostenuta dal privato, ove presente, mentre se ci saranno mercati in cui al privato non converrà investire nel periodo di nascita e sviluppo del mercato stesso – per economie di scala o costi di ricerca e sviluppo necessari o altro – sogno uno Stato che sia uno Stato, ovviamente sovrano, che dia l’incipit al successivo investimento privato, per poi decidere in che misura defilarsi e sotto quali forme.
Questo non è utopia, è già successo, ed è successo fintanto che la nostra carta costituzionale è stata coltivata e vissuta. La globalizzazione colonialista che stiamo vivendo non è al pari del sole che sorge, non è qualcosa a cui non si può scampare perché già scritta nel nostro futuro. Il futuro è quello che ci costruiamo, e la storia è scritta da ogni uomo che ne prende parte, che lui ne sia consapevole o meno.
Scegliamo i cartoni animati giusti.
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