L'articolo 1 della Costituzione nell'era delle macchine
Questo inizio di XXI secolo si sta caratterizzando per una evoluzione tecnologica le cui conseguenze a lungo termine per le società umane non sono ancora afferrate appieno. Parliamo dell’avvento di macchine sempre più capaci di autonomia e di comportamenti “intelligenti”. Questa tendenza affonda le sue radici nella diffusione capillare della microelettronica, che ha portato alla disponibilità di sensori a basso costo unita alla capacità di elaborare le informazioni da essi in modo veloce e complesso, e nello sviluppo di Internet e delle tecnologie collegate, che offre alle macchine la possibilità di essere connesse in tempo reale con apparati ausiliari, centri di controllo, e più in generale con un amplissimo e sempre crescente corpus di conoscenze e di dati, nonché fra di loro.
Anche se nel mondo di tutti i giorni le macchine autonome non sono ancora molto visibili, chi segue gli sviluppi della tecnologia sa che in questo campo si stanno facendo passi da gigante. Come sempre succede, la tecnologia militare è quella probabilmente più avanzata, ed è riuscita a sviluppare robot autonomi dalle prestazioni stupefacenti (si veda un esempio qui). E in effetti c’è chi inizia a preoccuparsi di una possibile corsa agli armamenti autonomi, ossia verso la costituzione di forze armate robotiche.
Anche in ambito civile, tuttavia, ci sono sviluppi notevolissimi, che potrebbero portare in tempi brevi a spazzare via intere categorie di lavoratori, sostituendoli in modo più economico ed efficiente. Un classico esempio è quello dei veicoli autonomi, di cui il più noto è la Google Car, che hanno già percorso decine di migliaia di chilometri su strada. Se da un lato la loro introduzione sul mercato dovrà superare vari ostacoli, non ultimo quello della definizione di una nuova giurisprudenza che chiarisca le responsabilità in caso di incidenti, è però vero che categorie come tassisti, autisti, e camionisti potrebbero in un futuro non troppo lontano essere condannate all’obsolescenza. Del resto, già la figura dell’operaio è stata ridimensionata dalla massiccia introduzione dell’automazione in fabbrica, ed è destinata ad esserlo sempre di più, con l’introduzione di opzioni flessibili e a basso costo come Baxter. Secondo un recente studio, i robot oggi eseguono il 10% dei compiti automatizzabili in fabbrica, ad un costo che è oggi solo un decimo di quanto non fosse dieci anni fa, ma questa frazione potrebbe rapidamente salire al 25% fra dieci anni, in quanto siamo arrivati al punto in cui il costo del lavoro robotico sta diventando inferiore a quello umano.
Ma anche i lavori intellettualmente più elevati sono a rischio. L’intelligenza artificiale, per decenni rimasta un miraggio, ha ricevuto nuovo impulso dall’aumentata capacità di calcolo, e le tecniche di “deep learning” promettono di creare computer e automi sempre più capaci di compiti intellettualmente complessi. Un altro recente studio suggerisce che negli USA quasi la metà di tutti i lavori potrebbe essere perso nei prossimi vent’anni a causa dell’automazione.
Le potenziali conseguenze sociali di queste tendenze sono poderose (si veda ad esempio questo testo, in italiano, e i link ivi contenuti). Da un lato, lo sviluppo tecnologico offre la possibilità di produrre a costi sempre minori (ma attenzione al problema della disponibilità di materie prime ed energia, su cui torneremo in un altro articolo, che potrebbe vanificare questa prospettiva). Dall’altro, però, si manifesta la prospettiva di un dissolvimento della classe media, in favore della formazione di un gigantesco esercito industriale di riserva sempre più a caccia di lavori precari e malpagati, ai margini di un sistema produttivo dominato dalle macchine, dai pochi ricchi che ne sono proprietari, e da un limitato numero di “lavoratori della conoscenza” dediti alla perpetuazione del progresso tecnologico. Uno scenario ben diverso da quello auspicato dall’incipit della nostra Costituzione.
Come tutelarsi da questo futuro distopico? Certamente, non sarà facile immaginare nuovi ordinamenti sociali compatibili con i progressi della tecnica in materia di produzione. Risulta però evidente che tali processi debbano essere governati: lasciare tutto in mano al mercato, e alla perenne ansia del capitale di massimizzare il profitto non può che condurre alla situazione delineata sopra. Occorrerà invece gestire la transizione, e fare in modo che i profitti generati da una produzione automatizzata sempre meno costosa non siano appannaggio esclusivo dei proprietari delle macchine, ma vengano almeno in parte socializzati per assicurare il mantenimento di un benessere diffuso tra la popolazione. Diventa quindi fondamentale rivalutare il ruolo dello Stato di garante del contratto sociale e di redistributore della ricchezza prodotta, e dunque risulta chiara la necessità di un recupero della sovranità rispetto ad entità sovranazionali che risultano di fatto sottomesse al capitale ed auspicano per tutti un futuro fatto di precarietà.
Se si avrà la forza di seguire questa strada, potrebbe essere possibile pensare ad un futuro in cui la prima parte dell’art.1 venga declinata nella forma di un “lavorare meno, lavorare tutti”. Questo avrà molti benefici effetti, come la disponibilità di più tempo da dedicare all’istruzione, alla socialità o a compiti quali le cure parentali, con effetti di miglioramento della qualità della vita, senza però ledere il diritto alla dignità data dal lavoro. Inoltre, in un mondo robotizzato sarà più che mai importante non perdere il passo con il progresso tecnologico, se si vorrà evitare di diventare completamente dipendenti dal capitale sovranazionale per la produzione di beni. In questo senso, è auspicabile che a un pieno recupero della sovranità corrisponda anche una rivalutazione dell’importanza a lungo termine degli investimenti in ricerca e sviluppo. Incrementando tali investimenti, si potrà dotare la capacità creativa che il nostro paese ha sempre saputo manifestare di risorse adeguate a garantirne la piena realizzazione all’interno dei confini nazionali, arginando e invertendo quella “fuga di cervelli” che sta depauperando l’Italia delle sue migliori risorse intellettuali.
Per un approfondimento sul tema, si veda anche questo contributo (in italiano).
Emilio Martines
ARS Veneto
Sul tema sollevato da questo articolo faccio 2 considerazioni:
1) Il progresso tecnologico non deve spaventare nessuno.
2) Il lavoro, così come inteso dalla Costituzione, rimarrà sempre d’attualità, a prescindere dallo scenario tecnologico in cui si va a collocare nel corso del tempo.
L’attenzione va posta, invece, su chi detiene i mezzi di produzione e quindi chi beneficia degli sviluppi tecnologici.
Sembra un discorso da fine ‘800, ma la realtà dei fatti ci dice che sta diventando sempre più d’attualità, soprattutto se pensiamo che negli ultimi anni la liberalizzazione della circolazione dei capitali ha concentrato in poche mani la potenza finanziaria e industriale mondiale.
Questo fenomeno si è affermato di pari passo con le privatizzazioni dell’industria pubblica, o più in generale, con il processo di svincolo del capitale pubblico dall’intervento attivo nell’economia.
La tecnologia deve tornare ad essere in mano pubblica, quindi dello Stato, che dovrà nei prossimi anni tornare a fare l’imprenditore.
Solo così gli effetti del progresso saranno beneficio della collettività e non di pochi individui.