<<E alle sei di sera uscimmo tutti al grido “Garibaldi combatte”>> (Nerio Cocchi)
Nell’estate 1944, in previsione dell’arrivo delle truppe alleate, le brigate partigiane bolognesi allestirono numerose basi in città.
La 7a brigata GAP Gianni Garibaldi acquartierò 75 uomini negli stabili, parzialmente demoliti dai bombardamenti, del Macello comunale in via Azzo Gardino e 230 nei locali dell’ex Ospedale Maggiore in via Riva di Reno (nell’area dove oggi sorge il Palazzo dello sport). I reparti della 7a GAP erano stati rafforzati da partigiani della 62a brigata Camicie rosse Garibaldi e della 66a brigata Jacchia Garibaldi scesi dall’Appennino.
Il reparto del macello era guidato da Bruno Gualandi “Aldo” con Lino Michelini “William” commissario politico. Quello dell’ospedale era guidato da Giovanni Martini “Paolo” con Ferruccio Magnani “Giacomo” commissario politico.
Secondo alcune ricostruzioni storiche, alla data del 7 novembre 1944 gli alleati non avevano ancora anticipato il contenuto del proclama Alexander. Secondo altre avevano già fatto sapere quanto avrebbero detto ufficialmente il 13 novembre con l’annuncio radiofonico e cioè che l’avanzata alleata era in fase d’esaurimento.
Alle ore 5,30 del 7 novembre reparti delle Brigate nere, della Feldendarmeria tedesca ed agenti del Reparto d’assalto della polizia nel corso di un rastrellamento scoprirono – pare casualmente – la base del Macello comunale. I partigiani, che si trovavano in due stabili, cominciarono a sparare con armi leggere. Le partigiane Rina Pezzoli “Nadia” e Diana Sabbi, fatte uscire dalla base per raccogliere informazioni sullo schieramento attaccante, furono catturate e non poterono rientrare. I fascisti tentarono più volte di occupare gli stabili con assalti tanto furiosi, quanto infruttuosi. Il primo partigiano a cedere fu Nello Casali “Romagnino”, mentre i feriti erano curati dal medico Luigi Lincei “Sganapino”.
Verso le 10 i tedeschi misero in postazione in via Carlo Alberto (oggi via don Minzoni) un cannone da 88 e una mitragliera pesante a due canne. L’88 demolì uno dei due stabili, per cui i partigiani dovettero rifugiarsi – meno 4 che caddero nella sortita – nell’altro che era seminterrato e quindi meno esposto alle cannonate.
Alle 15,30 dal fronte giunse un carro armato Tigre, il cui cannone cominciò a demolire il secondo stabile. A questo punto Michelini – che aveva assunto il comando del gruppo, essendo rimasto gravemente ferito Gualandi – decise di abbandonare la base. Furono fatti tre gruppi: il primo e il terzo di partigiani armati, il secondo di partigiani che sorreggevano i feriti. Dopo avere gettato fumogeni, scesero nel canale Cavaticcio – oggi interamente coperto – e cominciarono a risalire la corrente verso via Roma (oggi via Marconi). Sulle due rive, molto alte, si trovavano i fascisti i quali, grazie ai fumogeni e all’oscurità, non li videro. Una volta giunti in piazza Umberto I (oggi piazza dei Martiri), – dopo avere percorso via Marghera (oggi via Fratelli Rosselli) – i partigiani eliminarono un posto di blocco fascista e quindi si divisero in quattro gruppi. I feriti furono portati in alcune abitazioni private e quindi nell’infermeria partigiana di via Duca d’Aosta 77 (oggi via Andrea Costa). Gli altri tornarono alle vecchie basi di partenza. Quasi alla stessa ora, i partigiani della base dell’ex Ospedale Maggiore uscirono allo scoperto e attaccarono da retro lo schieramento nazi-fascista per consentire ai compagni, che ritenevano ancora accerchiati nell’ex macello, di mettersi in salvo.
I nazi-fascisti si sbandarono e quando i partigiani penetrarono nei locali semidemoliti li trovarono vuoti. Senza attendere il ritorno in forze dei nemici, i partigiani abbandonarono la zona e rientrarono nelle vecchie basi, occupate prima di essere acquartierati nell’ex ospedale.
Quella di Porta Lame fu una delle più grandi battaglie campali combattute in Europa dai partigiani nel cuore di una città. I partigiani ebbero 12 morti e 15 feriti. I caduti sono: Oddone Baiesi, Oliano Bosi, Nello Casali, Enzo Cesari, Ercole Dalla Valle, Guido Guernelli, John Klemlen, Ettore Magli, Rodolfo Mori, Alfonso Ricchi, Alfonso Tosarelli e Antonio Zucchi.
Nel rapporto, in data 8 novembre, inviato al capo della polizia dal questore Fabiani, si legge che «in seguito a relazione fiduciaria» – leggi: delazione – il 6 aveva disposto un attacco con 50 uomini della polizia, 150 brigate nere e 50 militi della gendarmeria tedesca, mentre «La Guardia Nazionale non si è presentata all’adunata perché impegnata in un funerale». (Di solito la GNR, che all’epoca disponeva di oltre mille militi tra Bologna e Imola, non partecipava ad operazione unitamente alle brigate nere). Alle 11 – prosegue il questore – giunsero sul posto un reparto di SS e una compagnia della GNR. Erano presenti – ma non si sa chi avesse la direzione delle operazioni – il responsabile tedesco della piazza di Bologna e Pagliani e Torri comandanti delle brigate nere. Secondo il questore i partigiani acquartierati nell’ex Ospedale Maggiore attaccarono alle ore 23 ed erano un centinaio, mentre i fascisti avrebbero avuto 11 caduti e 2 i tedeschi (ACS, MI, RSI, DGPS, b.9).
Da un rapporto del commissariato di polizia della zona Galliera, in data 8 novembre, risulta che i caduti fascisti sarebbero stati 18: 10 brigate nere: Otello Carnevali, Virgilio Caviali, Luigi Danesi,Fernando Orlandi, Giuseppe Rossi, Adriano Solieri, Silvio Tosi, Achille Venturi, Fernando Villani e Antonio Zucchi; 5 militi della GNR: Vittorio Avanzi, Werter Busi, Francesco Gisoti, Giancarlo Mazzetti, Ettore Veronesi ; 2 arditi della GNR: Ilario Flavio Gibellato e Duilio Prati; un agente di polizia: Eliseo Zanasi (“Acta”, n.2, maggio-luglio 2004). Secondo l’Albo caduti e dispersi della Repubblica sociale italiana a Porta Lame sarebbe morto, a seguito di ferite, anche il milite Sergio Bettella, per un totale di 19. Non si conosce il numero dei feriti. I tedeschi avrebbero avuto 15 morti e una ventina di feriti.
I giornali clandestini della Resistenza – per motivi propagandistici – scrissero che erano stati oltre 200 i nazifascisti uccisi. [Nazario Sauro Onofri]
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