Imperialismo, colonialismo e immigrazione (1a parte)
di MANUEL COSTANZI (ARS Umbria)
Che cos’è l’imperialismo?
‘’In senso storico, la volontà di uno stato di estendere il proprio dominio su territori sempre più vasti. Nell’accezione più moderna è l’indirizzo di politica mondiale, tipico delle grandi potenze e sollecitato dal loro sempre crescente sviluppo tecnologico-industriale, rivolto al conseguimento di un egemonico predominio politico-economico sulle nazioni industrialmente meno sviluppate e specialmente su quelle sottosviluppate.’’ [1]
Ma se in passato tale volontà era chiara, oggi questo dominio lo si applica con ‘’l’esportazione di democrazia’’, con l’imposizione, sotto mentite spoglie, di un modello economico, politico e sociale portatore dei valori occidentali.
Ma da dove nasce questo ‘’Occidente imperiale’’? Tutto nasce dal colonialismo europeo, dalla ‘’direttiva di politica estera mirante all’accaparramento di territori oltremare ricchi di materie prime e manodopera.’’ [2]
Dopo la ‘’scoperta del nuovo mondo’’ i primi tentativi europei di fondare colonie in nord America fallirono ma, dopo il 1565, spagnoli, francesi, inglesi e olandesi presero progressivamente piede nel continente, durante i due secoli successivi la forza delle colonie aumentò via via che gli europei popolavano le aree colonizzate e stabilivano avamposti nell’interno, spingendo verso ovest le popolazioni native.
La Russia colonizzò l’Alaska durante il Settecento e vi rimase fino al 1867, quando gli Usa acquistarono la regione, mentre alla colonizzazione dell’America centromeridionale parteciparono principalmente la Spagna e il Portogallo, ma in minor misura anche la Francia, l’Inghilterra e l’Olanda.
L’impatto che questa colonizzazione ebbe sulle popolazioni native fu drammatico e cambiò per sempre le loro storie (sempre sul piano sociale, politico ed economico), la stessa cosa vale per l’Africa che vede impegnati in una grande impresa coloniale soprattutto Francia e Gran Bretagna, ed in misura minore Germania, Portogallo, Belgio, Spagna e Italia.
Possiamo determinare due fasi:
- Una prima fase corrispondente all’arrivo degli esploratori, dal XVI sec. che cercarono e riportarono ai futuri imperatori tutte le informazioni sulla geografia, le ricchezze minerarie, le armi, la fertilità delle terre, ecc.
- Una seconda fase dove i colonizzatori arrivarono per una presunta missione civilizzatrice, dando inizio a guerre di resistenza che dureranno per lungo tempo.
‘’La forza lavoro degli schiavi africani è stato un fattore chiave dell’accumulazione di capitale alla base della rivoluzione industriale europea e nordamericana. Si calcola che fra il XVI e il XIX sec. siano state vittime della tratta degli schiavi dai dodici ai quindici milioni di Africani. La presenza della tratta in Africa tuttavia precede l’arrivo degli europei: era già praticata dagli Arabi nel IX sec. d.C., che rivendevano gli schiavi in Africa del nord e a Zanzibar, e dalle stesse popolazioni africane che facevano schiavi i prigionieri di guerra.’’ [3]
Nel XVIII sec. la colonizzazione fu quasi completata; strutture commerciali furono costruite su tutte le coste e lo sfruttamento cominciò su tutti i livelli, a partire dall’Ottocento, dopo il declino di Napoleone, la corsa verso il Continente Nero divenne sempre più spietata.
In meno di un secolo tutta l’Africa divenne l’appendice dell’Europa, l’avventura coloniale fu uno degli elementi più importanti nello sviluppo del capitalismo europeo e nella difficoltà economica dell’Africa. Ma se la colonizzazione è cominciata con rapporti di forze, raggiungerà la sua completezza grazie all’influenza culturale.
Nell’Africa francese la scuola era il mezzo più efficace per mandare avanti una politica fondamentale dell’amministrazione coloniale, cioè l’assimilazione della cultura francese, da parte degli indigeni, come strumento per far allontanare gli intellettuali dai loro popoli, dalle loro culture e dalle loro lingue.
Con la Conferenza di Berlino del 1885 le potenze colonizzatrici decidevano i confini dei rispettivi domini, senza tenere conto della storia e dell’organizzazione sociale delle diverse componenti culturali, numerosi conflitti etnici e guerre tra nazioni trovarono la loro causa in questa ripartizione; per le divisioni interne che il colonizzatore creava in continuazione, secondo i propri interessi e scegliendo spesso capi locali corruttibili, ai quali si opponeva la grande massa sovrasfruttata.
Durante questi tre secoli tutte le risorse economiche sono state nelle mani dei dominatori; milioni di tonnellate di oro e altri minerali, di pietre preziose e prodotti naturali come la gomma arabica vennero esportati verso l’Europa.
Sul piano agricolo, la monocoltura (caffè, cacao, cotone, havea, palma da olio, ecc.) venne privilegiata nonostante il suo effetto di impoverimento delle terre e di diminuzione delle colture di sostentamento, facendo così sparire velocemente l’autosufficenza alimentare.
La crescita della produzione industriale, con cui ancora oggi identifichiamo il progresso e il benessere, richiede un incremento costante dei produttori e dei consumatori.
Improntare l’economia sulla crescita continua della produzione di merci finisce per distruggere le economie tradizionali di sussistenza e spinge ad incrementare i flussi migratori dalle campagne alle città, prima in ambito regionale (come è avvenuto in Italia nella prima metà del ‘900), poi a livello internazionale.
L’Africa è uno dei continenti più ricchi del mondo, non possiamo far passare la tesi della povertà atavica, quasi fosse una volontà divina a mantenere il paese nella miseria e non una volontà umana, esterna, una ‘’direttiva di politica estera, la volontà degli stati imperiali ad estendere il loro dominio’’, anzi a mantenerlo dopo aver reso ‘’indipendenti’’ le ex-colonie di un tempo.
Note
[1],[2] Dizionario della lingua italiana, Devoto-Oli, 1979
[3] Dizionario delle civiltà, Mondadori Electa, 2007
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