Münchau: nel referendum in Italia la chiave del futuro dell’euro
Secondo Münchau l’eventuale sconfitta di Renzi al referendum sarebbe l’effetto non tanto di una sottile preoccupazione costituzionale degli Italiani ma del loro intimo sdegno per la fallimentare politica economica che la UE ha dettato, Renzi ha eseguito con fedeltà canina ed essi hanno sofferto. Svelando l’insostenibilità delle politiche neoliberali, la vittoria del ‘no’ renderebbe una grandezza trascurabile il fatto che il Movimento 5 Stelle, più di un partito, è un gruppo amatoriale, che Berlusconi è sempre ricattabile, che la Lega non è un partito italiano: i mercati capirebbero che l’euro è finito – e se non lo capissero ora sarebbe la signora Le Pen a impartire in futuro una spiegazione ancora più incisiva. Ai globalisti resta un’ultima speranza, che i governanti tedeschi, di fronte ai fallimenti delle banche infarcite di titoli di Stato italiano e francesi, accordino – dopo le elezioni, certo – quell’unione di trasferimenti a cui hanno sempre risposto ‘nein’. Noi populisti abbiamo altre speranze.
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Traduzione di Paolo Di Remigio
Nel referendum in Italia la chiave del futuro dell’euro
di Wolfgang Münchau
Dopo il Brexit e Donald Trump, preparatevi al ritorno della crisi dell’eurozona. Se Matteo Renzi, primo ministro italiano, perdesse il suo referendum costituzionale il 4 dicembre, mi aspetterei una sequenza di eventi che metterebbe in forse la partecipazione italiana all’eurozona.
Le cause sottostanti a questa possibilità estremamente perturbante non hanno nulla a che fare con il referendum stesso. La più importante era l’andamento economico dell’Italia da quando ha adottato l’euro nel 1999. Da allora la produttività totale dei fattori, la parte di output economico non spiegata dal lavoro e dal capitale, è caduta in Italia di circa il 5%, mentre in Germania e in Francia è salita di circa il 10%.
La seconda causa era che la UE non è riuscita a costruire una vera unione economica e bancaria dopo la crisi dell’eurozona del 2010-2012 e ha imposto l’austerità al suo posto. Se volete sapere perché Angela Merkel non possa essere la guida del mondo libero, non guardate altrove. Il cancelliere tedesco non potrebbe guidare l’Europa neanche se fosse necessario.
La combinazione di questi due fattori è la causa maggiore dell’aumento incrementale del populismo in Europa. L’Italia ha tre partiti di opposizione, tutti favorevoli all’uscita dall’euro. Il maggiore e più importante è il Movimento Cinque Stelle, un partito che sfida la tradizionale classificazione sinistra-destra. Il secondo è Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi, che è diventato rabbiosamente anti-euro dopo che l’ex primo ministro è stato costretto a sloggiare dall’ufficio nel 2011. E il terzo è la separatista Lega Nord. Nei paesi democratici è normale che i partiti di opposizione vadano infine al potere. aspettatevi che accada anche in Italia.
Il referendum potrebbe accelerare il percorso verso l’uscita dall’euro. Renzi ha detto che se perdesse si dimetterebbe, e ciò condurrebbe al caos politico. Gli investitori potrebbero concludere che il gioco sia finito. Il 5 dicembre l’Europa potrebbe svegliarsi con una minaccia immediata di disintegrazione.
In Francia la probabilità di una vittoria di Marine Le Pen alle elezioni presidenziali è un rischio non più remoto. Tra tutti quelli che si sono candidati, è la più preparata. Ci sono alcuni che potrebbero batterla, come Emmanuel Macron, l’ex ministro riformista dell’economia che ha dichiarato la sua candidatura mercoledì. Ma non può farcela al ballottaggio perché gli manca un apparato di partito. La sig.ra Le Pen ha promesso che se diventasse presidente, indirebbe un referendum sul futuro della Francia nella UE. Se il referendum portasse al Frexit, la Ue finirebbe il mattino dopo. Così finirebbe l’euro.
Un’uscita francese o italiana dall’euro porterebbe al più grande default della storia. I detentori stranieri di debito italiano o francese denominato in euro sarebbero pagati negli equivalenti in lire o in franchi francesi. Sarebbero entrambi svalutati. Poiché le banche non devono detenere riserve a garanzia delle loro obbligazioni governative, le perdite costringerebbero molte banche continentali alla bancarotta immediata. La Germania capirebbe allora che una massiccia eccedenza delle partite correnti ha anche il suo rovescio. C’è molta ricchezza tedesca che va incontro al default.
Lo si può prevenire? In teoria si può, ma richiederebbe una serie di decisioni prese in tempo e nella sequenza giusta. Per iniziare, la sig.ra Merkel dovrebbe accettare ciò che rifiutò nel 2012 – un piano per la piena unione fiscale e monetaria. La Ue avrebbe anche bisogno di rafforzare il Meccanismo Europeo di Stabilità, la ciambella di salvataggio, che non è disegnato per gestire paesi della taglia della Francia o dell’Italia.
È mai lontanamente probabile? Pensatela così: se chiedeste al cancelliere tedesco se per l’eurozona voglia obbligazioni garantite in comune, vi direbbe no. Ma se dovesse scegliere tra eurobond e un’uscita italiana dall’euro, la sua risposta potrebbe essere ben differente. La risposta dipenderà anche dal momento in cui domandate, se prima o dopo le elezioni del prossimo autunno in Germania.
La mia aspettativa centrale resta, tuttavia, non un collasso della UE e dell’euro, ma una separazione di uno o più paesi, forse l’Italia, ma non la Francia. Alla luce dei recenti eventi, il mio scenario base è ora fermo sulla scala ottimista delle aspettative razionali.
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