Hampl: la vita fuori dall’eurozona
di VOCI DALL’ESTERO (Mojimir Hampl)
Traduciamo la relazione di Mojmír Hampl, vicegovernatore della Banca Centrale Ceca, al “Goofy 5”, il convegno annuale Euro, mercati, democrazia organizzato dalla associazione a/simmetrie in collaborazione col Dipartimento di Economia dell’Università di Chieti-Pescara. Hampl esordisce manifestando stupore e soddisfazione per le centinaia di persone così attente e dedite ai temi dell’economia, quindi spiega alla attenta platea come si vive “fuori dall’euro”, la buona performance economica del suo paese e la diffidenza della popolazione verso la moneta unica, nonostante gli ammiccamenti dell’élite. La lezione da trarre è che si può cambiare, e che la prossima volta che ci presentano un progetto come ineludibile, dovremo essere tutti molto più prudenti e meno creduloni.
La relazione è stata pubblicata in inglese sul sito della Banca Centrale Ceca.
Signore e signori,
Buongiorno. Ringrazio molto Alberto Bagnai per avermi gentilmente invitato a parlare in questo evento di oggi. Ringrazio molto anche tutti voi che mi ascoltate. È la prima volta che vengo qui, e devo dire che sono davvero colpito dal fatto che così tante persone siano disposte a investire energia, denaro e tempo (due giorni interi) per ascoltare attivamente dei dibattiti su vari temi macroeconomici, alcuni anche piuttosto astratti. Questo è davvero sorprendente e al tempo stesso incoraggiante.
Credetemi, molte persone che conosco non sono in grado di concentrarsi su questo tipo di presentazioni nemmeno durante le loro ore di lavoro in ufficio, nonostante vengano pagate dai loro datori di lavoro per farlo.
Per questo mi compiaccio con voi, e con Alberto Bagnai per avervi mobilitato. Ottimo lavoro.
Signore e signori,
L’aspetto negativo della mia presentazione di oggi è che io sono parte dell’establishment monetario – dello sgradito club dei banchieri centrali. Questo significa un pollice verso nei miei confronti da parte vostra. L’aspetto positivo – quello che oggi mi salva – è che sono un responsabile delle politiche che si attuano non nella vostra zona valutaria, nell’eurozona, ma nella zona monetaria ceca, dove usiamo la nostra valuta per i pagamenti, la corona ceca.
Vale la solita avvertenza: le mie opinioni non sono necessariamente condivise dalla Banca Nazionale Ceca, ma di questo non mi preoccupo troppo, perché io stesso sono comunque parte integrante del gruppo che definisce le politiche della banca centrale, per cui non voglio prendere le distanze da me stesso. Voglio solo dire che mi prendo la piena responsabilità di quello che dico.
L’argomento è la vita fuori dall’euro, e come potete vedere io sono vivo e vegeto. Dopo tutto ciò che ho sentito ieri sui paesi dell’eurozona, sono ancora più felice di non appartenere a questo club.
Ho sentito molti commenti sulla de-industrializzazione nell’eurozona. Be’, non è il nostro caso. Con una produzione industriale pari a oltre il 30 percento del PIL, la Repubblica Ceca ha il più alto rapporto tra produzione industriale e Pil dell’intera Unione Europea. E questo rapporto, anziché diminuire, è andato crescendo nel corso degli ultimi 10 anni.
Questo è rivelato dal fatto che la Repubblica Ceca è il secondo più maggior produttore di automobili pro-capite al mondo. Inoltre, la Repubblica Ceca e la Slovacchia (dell’eurozona) – due paesi che formavano un unico stato fino al 1993 – messe insieme sono di gran lunga i paesi a maggior produzione di automobili pro-capite al mondo. Con 150 automobili prodotte ogni 1.000 abitanti, questi paesi precedono di molto la Corea del Sud e la Germania come dato pro-capite. Molti dei miei amici impegnati nell’economia reale dicono che la Repubblica Ceca è un paese dove si produce qualsiasi cosa, dagli aeroplani alle turbine, passando per automobili, autobus, locomotive, pistole, cartelloni e spazzole. Di qualsiasi cosa abbiate bisogno, troverete sempre almeno una fabbrica che la può produrre, come molti dati concreti sembrano confermare. Il problema di fronte al quale ci troviamo è piuttosto se non siamo un paese sovra-industrializzato, date le nostre dimensioni.
Oltretutto, ieri ho sentito molti commenti sul deficit commerciale di diversi paesi dell’eurozona verso la Germania. Anche questo non è il nostro caso. Se guardate la mappa geografica dell’Europa, non vi sorprenderà sapere che la Germania è di gran lunga il nostro maggior partner commerciale, verso cui sono indirizzate oltre il 30 percento delle nostre esportazioni e dal quale proviene la maggiore quota di investimenti esteri nella Repubblica Ceca. Vi potrebbe invece sorprendere sapere che la Repubblica Ceca è uno dei pochi paesi che hanno un surplus commerciale, non un deficit, verso la Germania. Noi esportiamo in Germania più di quello che importiamo. E questo surplus commerciale è andato crescendo nel tempo.
Con un tasso di disoccupazione che è attualmente il più basso dell’Unione europea, un debito pubblico in diminuzione, un tasso di rendimento dei titoli pubblici inferiore a quello tedesco (il che è principalmente dovuto all’attuale politica monetaria della mia banca), e un bilancio dello Stato che quest’anno si avvia verso un surplus, potreste pensare che il mio paese sia quasi un paradiso economico.
Le persone sono dunque felici? Non esattamente. Hanno altri motivi per sentirsi frustrate, come ad esempio il fatto che i salari medi sono tuttora da due a tre volte più bassi che in Germania e in molti altri paesi, dopo 25 anni di transizione, e che allo stesso tempo molti dei prodotti che portano l’etichetta “Made in Germany” sono in realtà assemblati nel nostro territorio. O il fatto che molte imprese pagano grossi dividendi a proprietari all’estero, e contemporaneamente che non siamo abbastanza “attraenti” perché i capitali esteri vengano reinvestiti sul nostro territorio.
E questi siamo noi – noi abbiamo la tendenza a non accettare che ci debbano sempre essere dei compromessi, che non ci siano pasti gratis, che ci siano i pro e i contro. Vogliamo tutto allo stesso tempo, a volte anche delle cose reciprocamente incompatibili. Ma questo è un altro discorso.
C’è una questione, comunque, sulla quale la popolazione ceca è stata molto conservatrice per un lungo periodo di tempo, e si tratta dell’adozione dell’euro. Secondo l’Eurobarometro – un sondaggio che conoscete tutti – tra tutti i paesi fuori dall’eurozona la Repubblica Ceca rimane il paese con la maggior percentuale di popolazione contraria all’adozione dell’euro. Circa due terzi dei cechi sono contro l’euro. Il dato è più alto che in Svezia, paese che nel 2003 ha rifiutato l’euro con un referendum.
Certo, l’opinione pubblica non è così fortemente anti-euro come nel Regno Unito, dove ad un certo punto l’euro risultava “appena più popolare dell’ebola”, come ho potuto leggere in un giornale britannico. Tuttavia, essere a favore dell’euro, nella Repubblica Ceca, è una posizione che assolutamente non paga dal punto di vista politico.
Se dovessi riassumere gli argomenti contro l’adozione dell’euro, sia dal punto di vista dell’opinione pubblica generale che degli addetti ai lavori, ne troverei più o meno tre:
1. Il primo è un motivo più sentimentale che economico. Abbiamo vissuto per molto tempo con la nostra corona ceca, e il nostro paese ha una lunga storia di stabilità monetaria e stabilizzazione. Tra l’altro, abbiamo mantenuto lo stesso nome per la nostra valuta sin dal 1892, dai tempi della monarchia austro-ungarica (la “corona” è un nome monarchico – cosa paradossale per una repubblica), e non c’è mai stato motivo di rinominarla. Vale il vecchio adagio: se una cosa funziona, perché aggiustarla? Se abbiamo sempre avuto un’inflazione bassa e stabile, non abbiamo motivo di andare a cercare all’estero credibilità per la nostra valuta.
2. Il secondo argomento è più economico. La moneta è importante. E la stabilità della moneta è importante. Se ci sono degli shock nell’economia, qualcosa deve cambiare per compensare lo shock. Ci deve essere qualcosa che sia flessibile. È più semplice compensare gli shock tramite un tasso di interesse flessibile o un tasso di cambio flessibile che tramite i salari, la disoccupazione o la spesa pubblica. Ieri abbiamo discusso su quanto sia difficile reagire agli shock se non si dispone degli strumenti di politica monetaria. Questo è un classico argomento di economia monetaria in favore del ruolo attivo di una valuta elastica, quando non si hanno prezzi e salari flessibili. Tutto qui. E come si può vedere, gli shock sono alquanto asimmetrici tra i paesi dell’Unione europea e dell’eurozona. Io credo nel ruolo stabilizzatore della politica monetaria e nella sua capacità di rendere le fluttuazioni cicliche meno gravi e meno profonde. Ma bisogna essere preparati a usare la politica monetaria. Ad esempio, la popolazione nel mio paese non è contenta dei tassi di interesse a zero e di una valuta più debole, tuttavia noi riteniamo che siano proprio questi i motivi principali per i quali abbiamo il tasso di disoccupazione più basso dell’Unione europea e salari reali in crescita.
3. Il terzo motivo è che alcune delle aspettative sull’adozione dell’euro non sono state, quanto meno, soddisfatte. L’euro avrebbe dovuto aiutare i paesi dell’eurozona a diventare più ricchi e a superare i paesi fuori dall’eurozona. Come i dati dimostrano, questo finora non è successo. Il mio articolo per il prossimo numero della rivista New Direction calcola che, in media, dopo l’introduzione dell’euro i paesi dell’eurozona sono cresciuti di un punto percentuale in meno all’anno rispetto ai paesi che sono rimasti fuori. Questo è significativo. Aggiungeteci poi il fatto che molte persone durante la crisi hanno capito che il progetto dell’euro era probabilmente impreparato ad affrontare tempi difficili, e che l’eurozona è ora più che altro alla ricerca di nuovi creditori, e allora capirete la scarsa attrattiva dell’euro nella Repubblica Ceca.
Tuttavia, non è sempre stato così. Poco dopo essere entrati nell’Unione europea era opinione piuttosto condivisa tra la parte prevalente della élite del nostro paese che prima fossimo entrati meglio sarebbe stato, e che l’euro fosse il miglior club possibile e una ricetta di sicuro successo. L’opinione pubblica non ha mai accettato questa opinione. Era però molto difficile argomentare contro, come io e altri facemmo dieci anni fa.
La lezione da trarre è questa: non preoccupatevi, i media e i politici possono cambiare idea. Se siete convinti della vostra posizione non cambiatela, saranno loro a cambiare la loro.
Signore e signori, io credo davvero in una cooperazione europea ragionevole. Ma credo anche in una ragionevole competizione tra i paesi e i loro rispettivi modelli economici. Quindi non la prendo tanto alla leggera quando alcuni progetti di integrazione finiscono per dividerci anziché unirci.
Credo che la prossima volta dovremo fare molta più attenzione quando qualcuno inizia a venderci un progetto come ineludibile e incontestabile. In quel momento dovremo essere tutti molto più prudenti e meno creduloni.
Vi ringrazio per l’attenzione.
fonte: http://vocidallestero.it/2016/11/18/hampl-la-vita-fuori-dalleurozona/
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