La strategia del mito della purezza: la super-costituzione occulta di uno stato inesistente- 3
di ORIZZONTE48 (Luciano Barra Caracciolo)
E si arriva a porsi domande come questa:
Questa parte conclusiva dello Studio di Arturo ci fa comprendere come il “sogno” €uropeo sia un modo di smantellare lo Stato di diritto dei singoli ordinamenti democratici degli Stati coinvolti, concepito in modo tale da non dover mai essere sottoposto ad alcuna approvazione o consultazione popolare, consapevolmente adottata in conformità alle regole costituzionali dei singoli paesi.
Quand’anche vi sia una forma di approvazione – parlamentare e/o referendaria- dei trattati in sé considerati, a prescindere dalla funzione coessenzialmente limitata degli strumenti di “ratifica” (come vedremo evidenziato persino da Amato!), i trattati affermano (per implicito e progressivamente) un programmatico contenuto inespresso, che impatta sulle rispettive clausole fondamentali delle Costituzioni democratiche.
Questo contenuto si amplia inevitabilmente tramite una sorta di consuetudine applicativa, il cui valore di supremazia e di sottrazione delle sovranità nazionali, viene costruito sul “fatto compiuto” e, come emerge nelle vicende storiche €uropee, su uno “stato di eccezione permanente” che, viene inevitabilmente avallato dalla Corte di giustizia europea, fondandosi su una situazione di diritto (per lo più sanzionatorio e comunque fortemente pervasivo) che prescinde da ogni comune patrimonio di mores e di valori.
Questo diritto è infatti “dichiarato”, al di fuori di una vera legittimazione nell’accordo formale tra Stati, facendo esclusivo riferimento alla “naturalistica” preminenza di regole direttamente derivanti da concezioni del mercato e ritenute (apoditticamente!) avere capacità “ordinativa”; la “base” di queste regole di rifermento, per di più, è espressa in forma sparsa e dissimulata all’interno dei trattati. Naturalmente, sono espresse così affinchè i cittadini dei singoli Stati vedano le rispettive norme costituzionali sopravanzate e disapplicate come effetto di una “vis maior cui resisti non potest”.
Ciò spiega anche come, da un lato, sia stata possibile la sospensione extraordinem (cioè estranea a qualsiasi conformità a regole della nostra Costituzione, in particolare) dei principi fondamentali della nostra Costituzione; dall’altro, come e perché, proprio in stretta coincidenza con l’avvento della teoria del “vincolo esterno” inizi la mai rinunciata stagione delle “riforme costituzionali”: in definitiva un realismo più realista del “re” (mercati sovranazionali) che caratterizza proprio la nostra classe dirigente.
Ho aggiunto alcune mie note personali [NdQ], per sottolineare quei passaggi che, pur ostici ai non specialisti, esigono una particolare attenzione. In termini straordinariamente attuali…
TERZA PARTE
Ci avviamo alla conclusione con quest’ultima parte de il “Manifesto” dei laburisti inglesi, del 1950, (ho alterato leggermente l’ordine degli argomenti per esigenze espositive mie), che ci consente di riagganciarci all’argomento principale.
[NdQ.1]: che è quello della consapevolezza originaria (da parte dei “padri” dell’€uropa) dell’impatto automaticamente modificativo delle Costituzioni dei singoli paesi aderenti alla costruzione “europa”, e la simultanea esigenza di arrivare a questo effetto in via di fatto.
Il metodo è dunque quello di bypassare in modo “inavvertito” (per le democrazie coinvolte), ma consapevole (per gli ideatori del disegno), le procedure di revisione delle Costituzioni e ogni espressione del consenso popolare ad esse inevitabilmente connessa.
[NdQ.2] In altri termini, il fine della costruzione europea (l’instaurazione dell’ordine sovranazionale dei mercati) si separa geneticamente dalla democraticità dei mezzi e, come vedremo, dalla stessa Rule of Law (espressione equivalente a quella di “Stato di diritto”, che è quello in cui gli organi di governo sono sottoposti anch’essi a regole precostituite, la cui violazione è deducibile dinanzi a un giudice): questo perché la sfera di attribuzioni delle nascenti istituzioni europee è programmata, mediante tale metodologia, per andare ben oltre le previsioni espresse di ogni “generazione” di trattati (persino dei più recenti):
“I popoli devono essere interpellati (…?)
Tutte le forme di unione finora discusse comportano un trasferimento di poteri dai popoli dei singoli Stati europei a una qualche nuova organizzazione. Ciò comporterebbe una significativa modifica costituzionale in ogni paese. Una tale modifica può essere realizzata solo se il popolo di ogni paese lo decide dopo una matura riflessione in cui tutte le implicazioni del cambiamento siano state presentate. È dunque dovere di ogni gruppo che desidera tali cambiamenti guadagnare il popolo di ogni paese alle proprie convinzioni. In particolare, ogni partiti politico che sostiene il cambiamento è chiaramente obbligato a inserire una proposta di questa portata nel proprio programma elettorale.
Si sono già creati pericolosi equivoci. In ambienti in cui queste idee sono popolari, importanti politici si sono vagamente espressi sulla loro disponibilità a nuove forme costituzionali. Eppure gli stessi politici hanno chiaramente evitato di presentare queste proposte al giudizio dei loro elettori.
[…]
Cambiamenti costituzionali che limitino o modifichino il potere democratico dei popoli sovrani dell’Europa occidentale dev’essere sottoposto al giudizio di questi popoli. Nessun politico ha il diritto di sostenere tali cambiamenti senza avere la sincerità e il coraggio di sottoporli al verdetto del suo elettorato.”
Quanto alle difficoltà della cooperazione tramite negoziati: “Laddove i progressi sono stati deludenti, la causa non risiede in una qualche inadeguatezza delle istituzioni esistenti, ma in reali conflitti di interessi che non possono semplicemente essere ignorati o soppressi, ma devono essere pazientemente superati attraverso reciproche libere concessioni.
- Ultimo periodo a parte (che restituisce alla politica lo spazio che le è proprio), vale la pena riflettere sul denunciato affacciarsi di un “costituzionalismo” europeo, certo in teoria facilmente praticabile per un paese privo di costituzione rigida.
A ben guardare, sul piano storico, di là di concessioni retoriche, impegni “costituzionali” i politici nazionali non hanno mai inteso sottoscriverne: posto che avessero il potere di assumerne. Quelli italiani ovviamente ne erano privi, a meno di passare dal procedimento di revisione, coi suoi relativi limiti.
Karen Alter, per un libro importante di cui ci sarà occasione di riparlare, ha compiuto parecchie interviste (anonime…) ai protagonisti dei negoziati europei. Gli intervistati le hanno riferito quanto segue:
“L’idea che le corti nazionali applicassero il diritto comunitario contro il diritto nazionale o lo disapplicassero non fu mai discussa dagli esperti legali nei negoziati del Trattato di Roma, tantomeno dai politici” (K. Alter, Establishing the Supremacy of European Law, Oxford University Press, N.Y., 2001, pag. 9).
5.1. Nel caso italiano, almeno per quel che riguarda i politici, di dubbi non dovrebbero essercene.
Vi riportohttps://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/file/lav_preparatori_n_3.pdf“>un documento, poco noto ma che merita di essere conosciuto: si tratta delle conclusioni di uno dei relatori della Commissione Speciale istituita in occasione della ratifica del Trattato di Roma (Atti Parlamentari, Senato della Repubblica, 2107-A, pag. 51), il senatore Santero:
“Onorevoli senatori, dal punto di vista istituzionale si può concludere:
[…]
3) che i Trattati non contengono che un minimo di sopranazionalità e nessun pericolo di sorpresa può esistere per gli Stati contraenti, in quanto niente di sostanziale può sfuggire al controllo dei Parlamenti nazionali.
L’Euratom e il Mercato comune non vivranno per la lettera dei Trattati ma per la fede e la buona volontà degli uomini che avranno la responsabilità di metterli in opera, di gestirli, di controllarli. È soprattutto necessario che lo stesso spirito europeo, la stessa volontà politica che ha animato i governi nel lungo negoziato continuino a ispirarli nella messa in esecuzione dei Trattati.
Si deve aver sempre presente che per ciascuno Stato contraente, ma specie per l’Italia, che è tra tutti lo Stato economicamente più debole, il pericolo più serio è di ordine politico, il rischio maggiore è rappresentato dall’isolamento in un mondo che si organizza alle dimensioni continentali”.
Argomento del grande pennello a parte (di cui potete così tutti apprezzare la freschezza e originalità), quest’impostazione è esattamente quella che a sette anni di distanza la Corte di Giustizia ritenne di poter rovesciare nell’interpretazione di quel medesimo Trattato, al punto che, a partire dalla sentenza “Les Vertes”, ha iniziato addirittura a parlare del Trattato di Roma come “carta costituzionale di base” della Comunità.
- Per ricapitolare e chiarire il paradosso che ci troviamo davanti: uno degli argomenti dei sostenitori dell’esistenza di una “costituzione” europea (per esempio Pernice) è che “tale presunta costituzione sia stata già legittimata dai cittadini europei. Il miracolosarebbe avvenuto grazie al fatto che i Trattati sono stati immessi negli ordinamenti degli Stati membri grazie a leggi, nelle quali si sarebbe manifestata la volontà democratica dei cittadini”. (M. Luciani, “Legalità e legittimità nel processo di integrazione europeo” in AAVV, Una Costituzione senza Stato, Il Mulino, Bologna, 2001, pag. 85).
6.1. Anzitutto va segnalata l’evidente inidoneità strutturale del procedimento di ratifica a fornire una qualsiasi parvenza di copertura in termini di “costituzionalità” ai Trattati europei.
Cito in argomento un autore insospettabile di antieuropeismo come Giuliano Amato(Costituzione europea e parlamenti, Nomos, 2002, 1, pag. 15):
“Quando si ratificano i trattati internazionali, in genere si ratificano quelli che disciplinano le relazioni esterne. Quando si ratifica una modifica dei trattati comunitari non si ratifica una decisione che attiene alle relazioni esterne, ma una decisione che attiene al governo degli affari interni.
Il processo di ratifica così com’è è congegnato è allora del tutto inadatto ad assicurare ai parlamenti il ruolo che ad essi spetta rispetto agli affari interni.
Il procedimento di ratifica è tarato sull’essere ed il poter essere un potere intrinsecamente dei governi esercitato sotto il controllo dei parlamenti. Tant’è vero che la legge di ratifica è una legge di approvazione e non è una legge in senso formale.”
Ma il vero clou del paradosso, dicevo, consiste nel fatto che “la politica dei piccoli passi nel processo di integrazione comunitaria ha fatto sì che mai nessuno abbia detto espressamente che, con i Trattati che si andavano stipulando, si stava costruendo una nuova costituzione.” (Luciani, op. cit., pagg. 85-6).
6.2. Non basta. Dopo il fallimento del progetto di costituzione europea a seguito dei due referendum francese e olandese, il 22 giugno del 2007 la Presidenza del Consiglio Europeose n’è uscito con questa solenne dichiarazione
:
“L’approccio costituzionale, che consiste nell’abrogare tutti i Trattati e rimpiazzarli con un singolo testo definito “Costituzione” è abbandonato. […] Il TUE e il TFUE non avranno un carattere costituzionale.
La terminologia usata nei Trattati rifletterà questo cambiamento: il termine “costituzione” non verrà usato […]. Con riguardo alla supremazia del diritto comunitario, la conferenza intergovernativa adotterà una dichiarazione ricordando l’attuale giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea”.
Tale dichiarazione è diventata la numero 17 allegata all’atto finale della conferenza intergovernativa che ha approvato il Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007, ossia:
“La conferenza ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell’Unione europea, i trattati e il diritto adottato dall’Unione sulla base dei trattati prevalgono sul diritto degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza.
Inoltre, la conferenza ha deciso di allegare al presente atto finale il parere del Servizio giuridico del Consiglio sul primato, riportato nel documento 11197/07 (JUR 260):
«Parere del Servizio giuridico del Consiglio
del 22 giugno 2007
Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si evince che la preminenza del diritto comunitario è un principio fondamentale del diritto comunitario stesso. Secondo la Corte, tale principio è insito nella natura specifica della Comunità europea. All’epoca della prima sentenza di questa giurisprudenza consolidata (Costa contro ENEL, 15 luglio 1964, causa 6/64 […] non esisteva alcuna menzione di preminenza nel trattato. La situazione è a tutt’oggi immutata. Il fatto che il principio della preminenza non sarà incluso nel futuro trattato non altera in alcun modo l’esistenza del principio stesso e la giurisprudenza esistente della Corte di giustizia.”
[NdQ.3] Col che ne emerge un non sequitur piuttosto clamoroso e, al tempo stesso, una stranezza, sicuramente antitetica allo Stato di diritto democratico.
Il diritto, – per di più posto al vertice di una gerarchia delle fonti (volutamente) non precisata da alcuna clausola scritta-, sorge da una corte che non è vincolata da norme preesistenti che ne stabiliscano seriamente non solo l’indipendenza e l’imparzialità (rispetto ad un Esecutivo particolaramente privo di legittimazione democratica come quello €uropeo), ma anche la “soggezione alla legge”: cioè il valore e i limiti delle sue decisioni in un quadro legale predeterminato delle norme applicabili (europee) posto, com’è teoricamente dovuto (in base alla stessa lettera dei trattati!), in rapporto al rispetto di quelle costituzionali dei paesi-membri che, pure, ne costituiscono la vera fonte legittimante e il limite (secondo gli stessi enunciati espressi dei trattati: ma non di quelli “impliciti” e non approvati dagli Stati!).
6.3. Il “miracolo” di cui parla Luciani consisterebbe quindi in una “non costituzione” composta da un insieme di trattati internazionali a cui nessuno, in sede politica – posto avesse i poteri per farlo -, ha mai attribuito un carattere costituzionale, rifiutato peraltro esplicitamente dagli stessi vertici istituzionali europei, ma che, appunto, “miracolosamente” prevale su ogni costituzione degli Stati brutti e cattivi grazie a un “principio di preminenza” “scoperto”, vedremo come, dalla Corte di Giustizia, e che peraltro quasi nessuna giurisprudenza costituzionale dei paesi membri ha accettato, almeno non con l’assolutezza pretesa dai giudici europei.
A questa follia collettiva siamo arrivati oggi in Europa.
Perché sia stato praticato un simile stravolgimento di consolidate categorie giuridiche, mi pare abbastanza ovvio: visto che la costituzionalizzazione dell’ordine internazionale dei mercati da una qualsiasi assemblea costituente eletta a suffragio universale non c’era verso di farla saltar fuori, figuriamoci da quelle di tutti i paesi europei contemporaneamente, non restava altra via che aggirare la legittimazione democratica senza poterlo confessare apertamente.
6.4. Sul piano ideologico, pare difficile considerare casuale l’evidente consonanza col favore per il diritto di matrice giurisprudenziale teorizzato dalla scuola austriaca, cioè per il frutto di un ordinamento costruito a partire dalle “intuizioni” del giudice.
Come scrive Maria Chiara Pievatolo (“Rule of law e ordine spontaneo. La critica dello Stato di diritto eurocontinentale”, in “Bruno Leoni e Friedrich von Hayek in Costa, Zolo (a cura di), Lo Stato di diritto”, Feltrinelli, Milano, 2002, pp. 474 e 476): “L’appello di Hayek all’intuizione del giudice, la tesi che è impossibile o deleterio vedere il diritto come un complesso sistematico comprensibile da mente umana e la precaria delimitazione del confine fra diritto e morale fanno capire che questa concezione del rule of law può funzionare, cioè riempirsi di contenuto, solo grazie all’apporto surrettizio, e perciò criticamente incontrollabile, del governo degli uomini.”
“E perciò allontanare il diritto dallo Stato può allontanarlo solo dal problema dello Stato, ma non dal generale problema del potere e della sua controllabilità, che anzi si ripresenta tanto più drammaticamente quanto meno è reso pubblico e formale, a meno che non si facciano assunzioni naturalistiche sull’armonia della società e sull’omogeneità degli interessi dei singoli.”
[NdQ4] E se c’è un ordinamento che non si preoccupa della “omogeneità degli interessi”, ma anzi ne accentua la disomogeneità, attraverso il diktat della stabilità monetaria e della “economia sociale di mercato fortemente competitiva”, è quello €uropeo: la “armonia della società”, poi, in sede €uropea, è addirittura un disvalore, laddove, senza che si comprenda su quali basi normative ciò avvenga, si predicano continue “riforme strutturali” che si riducono alla permanente precarizzazione e flessibilizzazione del mercato del lavoro e allo smantellamento “inevitabile” del welfare di cui Prodi ci ha detto con estrema chiarezza.
Per chi dunque non ritiene plausibili assunzioni naturalistiche sull’armonia della società, e tantomeno sulla capacità degli assetti giuridici europei a conseguirla, – il che, vista la, come si dice, rapida evoluzione (pragmaticamente autorevisionista) del mainstream , non pare una tesi particolarmente azzardata-, il controllo critico di quell’apporto surrettizio diventa compito ineludibile per verificare quanto sia nudo il re: ossia quanto la “primauté” del diritto comunitario sia frutto di un’illusione collettiva, una bolla, che aspetta solo di scoppiare.
fonte: http://orizzonte48.blogspot.it/2016/12/la-strategia-del-mito-della-purezza-la.html
Commenti recenti