Si fa presto a dire Casta
di ALESSANDRO GILIOLI
Il 2017 celebra, tra i suoi anniversari, i dieci anni di un libro che ha segnato il dibattito politico italiano a qualsiasi livello, dal Parlamento ai social network: “La casta”, di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, oltre un milione di copie vendute, dozzine di spin off e di tentativi d’imitazione.
Il successo del libro di Stella e Rizzo fu una tempesta perfetta. Alla completezza del lavoro svolto dai due giornalisti si aggiunsero infatti altri fattori esterni che contribuirono alla sua esplosione.
Fra questi, almeno due vanno citati: primo, la crisi economica che dì lì a pochissimo avrebbe gravemente peggiorato le condizioni di vita del ceto medio; secondo, la legge elettorale entrata in vigore l’anno prima, che aveva l’effetto (e forse lo scopo) di rinchiudere la classe politica in una roccaforte di cooptazioni e nomine reciproche.
In altre parole, mentre usciva “La casta” l’Italia diventava più povera, i giovani più precari e le partite Iva più tartassate, mentre le banche iniziavano a centellinare il credito ai piccoli imprenditori per riservarlo solo ai giganti dei salotti buoni; contemporaneamente, il Palazzo – con le sue liste bloccate che solo molti anni dopo sarebbero state bocciate dalla Consulta – pensava a proteggere se stesso, chiudeva i canali di collegamento con la cittadinanza, scavava un solco tra sé e il Paese.
Alla pubblicazione del libro – e dato il suo straordinario boom diffusionale – seguì la nascita di un genere giornalistico altrettanto di successo, che rivelava ogni tipo di privilegio, prebenda, spreco e immunità del ceto politico: dal menù dei senatori fino ai voli blu dei ministri al Gran Premio, dai vitalizi degli ex parlamentari ai rimborsi-monstre dei consiglieri regionali.
La nascita del Movimento 5 Stelle fu, non a caso, contestuale a quest’ondata di risentimento nei confronti di quello che veniva ormai vissuto come un circolo chiuso di super privilegiati, i politici, occupati a proteggere se stessi: e anche il primo V-Day di Beppe Grillo è del 2007 (all’inizio di settembre).
Ma se a incassare il maggior dividendo politico della rabbia anti casta furono fin dall’inizio i grillini, anche nel Pd c’era chi faceva sua la stessa battaglia, almeno negli intenti dichiarati: era la corrente dei futuri rottamatori, nata attorno al gruppo de iMille sempre nello stesso periodo, tra il 2007 e il 2008. Lo stesso Renzi, ancora nel 2013, si opponeva alla candidatura di Anna Finocchiaro al Quirinale perché la senatrice usava «la scorta come carrello umano» all’Ikea, promettendo che lui invece la coda di auto blindate non l’avrebbe mai avuta perché «mi protegge la gente» (febbraio 2014); e uno dei suoi primi gesti da premier fu mettere all’asta 170 auto blu su eBay. Perfino nel recente referendum costituzionale, il renzismo ha puntato sul sentimento anti casta caratterizzando la comunicazione per il Sì con slogan come «tagliare le poltrone» e «ridurre i costi della politica».
Dieci anni dopo, però, è cambiato qualcosa – e anche il fallimentare esito di quella campagna ce lo suggerisce.
Non tanto nei confronti dei politici, la cui reputazione continua a essere bassa, quanto nel significato del termine “casta”. A cui si sono non a caso affiancati, nel lessico del dibattito politico, altri vocaboli come «élite» ed «establishment». Che non indicano necessariamente chi occupa una carica istituzionale, ma più in generale le classi dirigenti.
Oggi come casta, insomma, s’intende sempre di più un’entità mista, qualcosa che somiglia a una rete di collegamento tra parte della politica, dell’economia pubblica e privata, della finanza e anche delle fasce di benessere economico non toccate – anzi, spesso favorite – da questi anni di crisi. In un’accezione più larga, quanti abitano nei primi municipi delle metropoli, isole circondate da un colore diverso quando si va ad analizzare come si è votato, vuoi per il sindaco vuoi al referendum. I “salvati”, insomma, in un Paese di “sommersi”.
È cambiata la casta, quindi. O quanto meno il suo percepito. I politici ne fanno ancora parte, ma non ne sono più esclusivisti. Anzi, spesso vengono visti solo come interlocutori complici e “riceventi ordini” di poteri che stanno altrove rispetto ai Palazzi.
Rischia di essere tuttavia ingenuo concluderne che questo sia il segno di un ritorno a una lotta di classe bidimensionale, ai “poveri” contro i “ricchi”. Perché le categorie contrapposte al cosiddetto establishment sono molteplici, molecolari e assai più sfocate, una volta spariti i vecchi blocchi sociali.
Quindi lo stesso concetto di casta assume, sempre nel percepito, risvolti e sfumature ulteriori: per i fattorini della “gig economy” (due euro a consegna) è casta anche il metalmeccanico con diritto alle ferie e tredicesima; per la partita Iva a 600 euro al mese (quando non si ammala) è casta anche il docente di liceo che porta a casa il doppio (e ha diritto ad ammalare); per l’under 30 che non vedrà mai la pensione, è casta lo zio che a 65 anni incassa regolarmente il suo assegno di riposo.
Quella che il sociologo Emanuele Farragina ha chiamato “la maggioranza invisibile” è insomma una galassia composita e sfrangiata, che vede come casta anche chi sta appena un gradino sopra e talvolta disprezza chi sta appena un gradino sotto (di solito: gli immigrati o gli zingari, i paria del nostro tempo).
Tutto questo ci riporta al significato originale del termine “casta”: un sistema fondato su scalini successivi. In cui nessuno può realisticamente ambire al grado superiore (il famoso ascensore sociale bloccato). E in cui le parcellizzazioni di condizioni e interessi nei gradini mediobassi e bassi impedisce che si sviluppino forme di solidarietà e coesione contro chi sta sulla punta, come invece avveniva ai tempi della lotta di classe duale o semiduale del Novecento.
In fondo Stella e Rizzo avevano azzeccato anche il titolo, con quel riferimento all’ordine gerarchico dell’India antica. Dieci anni dopo, l’unica variazione potrebbe essere passare dal singolare al plurale. Vale a dire che la casta non è più solo quella dei politici, ma un’élite intrecciata. Sotto la quale ci sono poi altre percezioni castali reciproche: quelle in cui sono o si sentono rinchiusi tanti pezzi diversi della società in lotta tra loro per la sopravvivenza.
E per questo incapaci di spezzare l’organigramma, di mettere in discussione la piramide.
fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/01/23/si-fa-presto-a-dire-casta/
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