Scozia, vuoi davvero uscire dal Regno per l’UE?
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Lorenzo Vita)
Ma perché la Scozia vuole a tutti i costi questo referendum? I motivi sono molteplici e rappresentano ognuno una chiave di lettura specifica della storia scozzese più recente e del futuro di Edimburgo.
Il motivo più lampante per il quale la Scozia utilizza Brexit per chiedere la separazione da Londra, è tutto racchiuso nei risultati del referendum di giugno del 2016. In tutti i collegi scozzesi, vinse il “remain”, rispetto al “leave”. La Scozia risultò insieme a Londra e Irlanda del Nord, la regione con il più alto tasso di europeismo di tutto il Regno consegnando l’immagine di un paese che al 62% voleva la permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea.
Il primo motivo, naturalmente, è quello dettato dalla pura e semplice spinta nazionalista che da sempre pulsa nelle vene di Scozia. Non è un mistero d’altronde, né bisogna ripeterlo, come la Scozia viva da sempre la questione dell’unificazione con Londra come una ferita sempre aperta nel cuore del suo popolo e non ha mai smesso, in tanti secoli di Regno, di voler scavare un solco culturale e identitario con la sua eterna rivale d’Inghilterra. È quindi già la stessa storia di Scozia a consegnarci il primo motivo per cui il premier scozzese chiede a gran voce l’indipendenza da Londra.
Ma si sa, la Storia può essere un retroterra culturale, non un motivo di secessione. La secessione è qualcosa di altamente complesso, un rischio in termini economici e politici enorme; un processo che può essere attivato soltanto se c’è un qualcosa che renda la scelta separatista una scommessa che può essere vincente nel lungo termine. In questo caso, la volontà separatista del governo scozzese va di pari passo con l’obiettivo primario di questa secessione, che sarebbe l’accesso nell’Unione Europea. Qui, in questa scelta del governo Sturgeon, c’è tutto il problema della Scozia indipendente e che merita un’analisi approfondita, in quanto tutto il tema del prossimo (eventuale ed improbabile) referendum separatista si giocherà sul campo di questo desiderio d’Europa.
La Scozia ha sempre visto nell’Unione Europea il baluardo politico internazionale verso ogni velleità centralista di Londra. Ed ha avuto ragione per molto tempo. Grazie al mercato economico europeo; grazie alla nascita delle macroregioni europee; ma soprattutto grazie allo scontro tra Regno Unito e Bruxelles, la Scozia per decenni ha sviluppato un profondo senso degli affari, che le ha fatto guadagnare spesso, in termini politici, un ruolo chiave nella geopolitica europea del Regno Unito, e al contempo nella geopolitica europea nei confronti del Regno Unito. Questo ruolo chiave, adesso, sarebbe evidentemente destinato a venir meno. La Scozia tornerebbe infatti ad essere, almeno a detta di coloro che ritengono l’Europa la fortezza in cui difendere i propri valori nazionali, la periferia di Londra, e non una delle tante regioni che compongono l’Europa.
Un ruolo chiave che la Scozia pensa di poter giocare anche grazie alle sue risorse energetiche. Perché è vero che gli scozzesi sono diversi dagli inglesi. Ed è anche vero che innumerevoli sono le località al confine tra le due nazioni che furono scenario di battaglia sanguinarie fra i due schieramenti. Ma è altrettanto vero che oggi, come ieri, l’indipendenza passa dall’economia. Non nascondiamoci: nessun paese si separa da un altro senza garanzie sul suo futuro economico. Neanche Scotland the brave. La base economica strategica della Scozia, su cui Sturgeon e i suoi vogliono fondare la propria indipendenza, giace sul fondale marino, ed è il petrolio, in particolare il Brent. Il Brent del Mare del Nord, nella acque territoriali del Regno Unito, al 90% sarebbe scozzese. Non una cifra minima. Stime recenti avevano addirittura considerato che la secessione da Londra avrebbe comportato in termini di economia che il 15% dell’economia scozzese si sarebbe fondata sull’estrazione dai suoi giacimenti. Ed è quindi al largo di Aberdeen che si deve trovare una delle tante cause di scontro tra Scozia e Inghilterra sulla separazione. Troppe le perdite per il Regno, specialmente in un periodo di Brexit dove peserà, almeno nel medio termine, l’uscita dal mercato comunitario. Ma soprattutto troppo il rischio di perdita di tassazione da parte delle compagnie petrolifere che estraggono dal Mare del Nord, e che pagherebbero il loro dazio non a Londra, ma a Edimburgo. A questo si aggiungono poi gli enormi investimenti fatti da British Petroleum e governo britannico negli anni per l’estrazione degli idrocarburi in acque scozzesi: già solo per questo motivo, Londra ha tutto l’interesse a frenare sul nascere qualsiasi nova velleità scozzese.
Un’economia che avrebbe anche un fondamento nella principale filiera mondiale: quella finanziaria. La Scozia è infatti sede di banche d’affari di potata internazionale, tanto da far diventare Edimburgo, negli anni a cavallo tra Secondo e Terzo Millennio il sesto centro finanziario del mondo. Una posizione in classifica che oggi forse è leggermente calata, ma che comunque non esclude che essa resti la sede di potentati economici quali Royal Bank of Scotland, HBOS (proprietaria di Bank of Scotland) e Standard Life.
Cultura, industria, petrolio, banche. La Scozia sembra avere già molti motivi per chiedere l’indipendenza da Londra. Ma c’è una grande perplessità in tutto questo, che rischia di trasformare l’idea secessionista in un tragico boomerang per tutta la futura (e ripetiamo, improbabile) nazione scozzese. Perché volere l’Unione Europea al posto del Regno Unito? Il Regno Unito sta attivando Brexit, e la Scozia diventerebbe in pratica il giacimento petrolifero del Regno Unito. Hanno ormai secoli di vicinato senza guerre, e Londra ha ceduto tantissimo in termini di sovranità al Parlamento di Scozia. Hanno un primo ministro con pieni poteri, un Parlamento che legifera da sé ed una quota fissa di parlamentari di gran lunga superiore alle altre nazioni del Regno nel Parlamento di Westminster.
E la questione europeista, seppur è stata la leva per chiedere un nuovo referendum secessionista, dopo il fallimento del 2014, rischia di trasformarsi in una lama a doppio taglio per lo stesso governo di Edimburgo. Recenti sondaggi hanno infatti dato come molto probabile una nuova sconfitta del fronte sovranista rispetto a quello unionista. Perché questo? Ebbene, se non lo spiega Nicola Sturgeon, ce lo spiega il popolo, lo stesso popolo profondo che risolve le questioni molto più chiaramente di quanto faccia la politica. La Scozia non voleva uscire dall’Unione Europea, perché dentro il Regno Unito; ma non vorrebbe entrarci di nuovo, come Scozia indipendente. Troppa la paura di essere ancora più periferici dal centro del potere. Ma soprattutto troppo il timore di vedere la propria indipendenza risucchiata dal vorticoso tranello di Bruxelles. In molti hanno paura, ed anche giustamente. L’Europa non può attualmente attrarre nessuno, tantomeno un popolo che sceglie la via dell’indipendenza. Il governo vuole l’Europa, vero, ed in altri tempi forse avrebbe avuto un larghissimo consenso. Ma oggi non più così, ed anche il popolo scozzese, troppo velocemente definito europeista e moderno, si sta facendo i conti in tasca. Sacche di resistenza al modello europeista sono presenti soprattutto nelle classi operaie e in quelle dei pescatori, settori dove la delocalizzazione e le leggi ferree sull’economia e sull’ittica hanno inciso in maniera sensibile sulla loro stessa sopravvivenza. Ancora una volta potrebbe essere la politica a dover cedere il passo al pragmatismo del popolo, e a quel sano realismo che a volte sembra davvero mancare tra le cancellerie di tutto il mondo. Quel sano realismo e quel radicamento sul territorio che fa avere più credibilità politica al pescatore di Dundee che al deputato di Edimburgo con seggio a Londra.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/84120/
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