Avere cura
di ALESSANDRO GILIOLI
“Agenda” è una parola di facile origine latina: le cose da fare. È pratica e non ideologica. E molto meno pretenziosa di “programma”, le cui aspirazioni di sistematicità, di contenere tutto, portano al rischio di vacuità, insomma di voler comprendere tutto per poi non fare niente, o quasi niente.
In un’agenda invece puoi dire alcune cose concrete che sarebbero da fare subito, o almeno il più presto possibile. Con il giusto bilanciamento di realismo e utopia. Dove la seconda indica il modello verso cui tendere, il primo ti ricorda i paletti della quotidianità, gli ostacoli da superare, le technicalities con cui fare i conti.
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Questo post è lunghetto e si rivolge in prevalenza alle persone che hanno come priorità una maggiore redistribuzione delle ricchezze e l’uscita dalla lotta di classe dall’alto verso il basso iniziata 30-35 anni fa. Insomma a quelle persone che il vecchio vocabolario definirebbe di sinistra, benché il termine in questione sia stato talmente strattonato da richiedere una lunga moratoria. Ad ogni modo gli altri possono serenamente smettere di leggere. Con loro ci si risentirà più avanti, per parlare d’altro, per confrontarci su altro.
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Dopo la sentenza della Corte Costituzionale c’è la forte possibilità che in Italia si vada votare entro l’estate. Ma anche se non fosse così, si voterà entro i prossimi 18 mesi. È importante fino a un certo punto, quale delle due strade verrà percorsa, anche se oggi il dibattito politico è tutto su questo.
Entrambe le opzioni hanno comunque i loro pro e i loro contro.
Da un lato è giusto ascoltare i cittadini, dopo questa legislatura che sembra ormai appartenere al Pleistocene. L’ultima volta che abbiamo votato, il centrosinistra si chiamava “Italia Bene Comune” ed era guidato da Bersani, oggi tutto questo non c’è più; e anche il centrodestra di allora è sfarinato tra berlusconiani, leghisti, alfaniani e verdiniani. Il tutto tralasciando il “grande centro” di Monti, imploso. In Parlamento ci sono 10 gruppi parlamentari al Senato e 11 alla Camera, di cui «solo 4 chiaramente riconducibili a liste elettorali che hanno partecipato alle politiche del 2013», secondo Openpolis. Diverse formazioni parlamentari attuali hanno nomi mai visti sulla scheda elettorale. Più naturalmente il Misto, che è una potenza: 52 deputati e 28 senatori. Il 27 per cento degli eletti ha cambiato gruppo almeno una volta, i cambi di casacca sono stati 380 e hanno coinvolto 263 parlamentari.
Insomma è un Parlamento marcio. Le cui principali riforme sono quasi tutte abortite: l’Italicum stravolto ieri, la Boschi-Renzi sul Senato affossata dal referendum, la Madia sulla Pubblica Amministrazione svuotata dalla Consulta, la Buona Scuola talmente mal riuscita che quello all’Istruzione è stato l’unico ministero i cui vertici sono stati totalmente cambiati nel passaggio da Renzi a Gentiloni. Resta il Jobs Act, il cui fallimento è ormai conclamato, e restano un paio di cose fortunatamente migliori, come le unioni civili e le norme sul caporalato. Complessivamente, comunque, un bilancio che solo un tifoso accecatissimo non vedrebbe in negativo.
Questo sul piatto della bilancia delle elezioni subito.
Sull’altro piatto, un paio di leggi in dirittura d’arrivo che piacerebbe veder approvate prima della fine legislatura (biotestamento e ius soli, non eccellenti ma decenti) e la speranza che, al terzo tentativo, il Parlamento riesca a fare una legge elettorale costituzionale, sulla falsariga delle indicazioni della Consulta ma migliorandone alcuni aspetti (il sorteggio, con rispetto, non si può proprio sentire; e anche in questa versione dell’Italicum restano troppi parlamentari nominati dall’alto, dato che sono sopravvissuti i capilista bloccati).
Ci sono quindi i pro e i contro. E comunque non è l’argomento principale di cui vuole parlare questo post. Che invece si chiede quale offerta politica, quale possibilità di rappresentanza e magari di governo (o quanto meno di incidere) abbiano al prossimo giro elettorale le persone che hanno come priorità ideale una maggiore redistribuzione delle ricchezze e l’uscita dalla lotta di classe dall’alto verso il basso. E che non sono totalmente e acriticamente convinte che per queste priorità la soluzione sia tutta nel dualismo Grillo-Renzi.
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La maggioranza di queste persone, oggi, è profondamente laica e smaliziata, se non profondamente distaccata, nel suo approccio alla politica.
A parte poche migliaia di militanti, da questa fascia di persone non viene dato molto credito ad alcuna delle sigle della cosiddetta sinistra radicale, da troppo tempo avvolte nell’autoreferenzialità e nei litigi a cui, fuori dalle stanze in cui avvengono, non è interessato nessuno. Alcuni comunque votano lo stesso per questi partitini, il consueto 3-4 per cento che da dieci anni finisce da quelle parti.
Altri, invece, votano comunque Pd, per abbrivo culturale o famigliare, per antico affetto, o per lo scarso appeal delle suddette sigle più a sinistra.
Altri ancora votano il Movimento 5 Stelle, pur non amandone tanti aspetti, con la sensazione – appena usciti dal seggio – di aver fatto una mezza marachella, una provocazione, uno sberleffo; o con l’amara soddisfazione di aver punito una sinistra da cui si sentono, fondatamente, traditi.
Molti altri si astengono. Molti, molti altri: che in parte abbiamo rivisto alle urne per il referendum, il 4 dicembre, ma non è affatto detto che li rivedremo votare al prossimo giro elettorale, quando non ci sarà da scegliere un rifiuto ma una proposta.
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Una proposta, appunto. Un’agenda, per tornare alla prima parola di questo post. Un’agenda semplice, senza pretese di esaustività, che metta insieme alcuni basici diritti sociali e alcuni basici diritti civili. Reddito minimo, continuità di reddito per i precari, redistribuzione dei proventi della finanza e della robotizzazione. Patrimoniale e maggiore progressività del sistema fiscale. Tagli alle spese militari. Piccole opere sul territorio invece di grandi opere. Scuola pubblica, non privata. Istruzione pubblica, non privata. Ambiente pubblico, non privato. Reato di tortura. Biotestamento. Matrimonio egualitario. Creazione di nuovi strumenti di democrazia radicale e di partecipazione diffusa. Legalizzazione della cannabis.
Tutte cose semplici, queste e altre, su cui – un po’ paradossalmente – non mancano studi, ricerche, numeri, dati: come quelli che ogni anno offre Sbilanciamoci.
Eppure restano di sfondo nel confronto e nel dibattito. E anche nella narrazione, nello storytelling, quindi nell’egemonia culturale. Peccato, perché quando emergono – le “real issues” di Sanders o il semplice manifesto di Hamon, ad esempio- trovano immediatamente ascolto. Anche in fasce di cittadini poco attratti dalla politica. E soprattutto nelle generazioni che le ideologie non sanno nemmeno cosa siano, ma vorrebbero vivere in un pianeta diverso da quello disastrato dagli ultimi quarant’anni.
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Ho molto rispetto per le (svariate e piccole) forze politiche della cosiddetta sinistra radicale – o “a sinistra del Pd”, secondo le vecchie geometrie – che nei prossimi due o tre mesi faranno i conti con se stesse e con i loro militanti, nei diversi appuntamenti che le riguarderanno. Non essendo iscritto a nessuna di loro – e anzi, faticando a volte a vederne le differenze concrete – seguirò i loro congressi qui sulla Rete o leggendone in giro.
Temo – da quel che capisco – che discuteranno parecchio di Renzi e del Pd e in anticipo me ne dolgo, perché quella – invece – non è una “real issue”. È un’altra cosa, da addetti ai lavori, da tattici, da chiacchiera politicista alla galleria Alberto Sordi.
Non credo che sia un tema interessante, per chi sta fuori. Non credo che sia utile.
Credo invece che sarebbe utile un’agenda.
Breve, semplice, chiara. Non troppo pretenziosa ma decisa, non timida. Molto pratica, molto concreta. Dieci cose da fare. Dieci proposte a cui dare rappresentanza. Dieci cose da far passare al prossimo Parlamento. Niente di più, niente di meno.
E non sarebbe affatto poco. O almeno, sarebbe un inizio.
E non un “re-inizio”, sia chiaro, come dicono alcuni, i più nostalgici o i più anziani. Perché non è ancora mai, iniziato niente. Almeno, non in Italia. Qualcosa si muove altrove – Stati Uniti, Spagna, Regno Unito, ora forse in Francia. Ma qui da noi non è iniziato niente, da quando si è affermato il sistema economico e ideologico che adesso sta crollando. E che crollando ha fatto venire a galla il peggio, cioè i Trump e le Le Pen.
Servirebbe un’agenda, sì, sarebbe utile. Che si voti a giugno o nel 2018, che poi è comunque domani.
Un’agenda a cui chi vuole può aderire – sulla base dell’agenda e solo sulla base di quella, che si provenga da un partito o dal disilluso distacco – per poi essere fondamentale nella scelta di chi quell’agenda rappresenterà.
Non è difficile, basta volerlo, basta farlo, basta non rinchiudersi nei propri recinti, basta capire quello che è successo, quello che sta succedendo, quello che potrebbe succedere.
Basta avere interesse – e cura – per il presente e il prossimo futuro, in questi tempi tanto interessanti quanto complicati.
fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/01/26/avere-cura/
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