TTIP, le nostre democrazie restano a rischio (1a parte)
di MICRO MEGA (Monica Di Sisto*)
“Penso che avremmo tutti bisogno di sederci dopo questi fatti e discutere di come dovrebbero essere costruite in futuro le politiche commerciali”. La commissaria europea al Commercio Cecilia Malmström probabilmente non immaginava che due oscuri trattati dai nomi incomprensibili come TTIP e CETA avrebbero spopolato nei media internazionali, portato oltre tre milioni di cittadini europei a promuovere e firmare una e portato in piazza negli ultimi tre anni oltre quattro milioni di cittadini di tutti e 27 i paesi membri, 50mila solo a Roma il 7 maggio 2016.
Ma quello che queste persone hanno capito, e che i loro governi sembrano voler ignorare, è che TTIP (Transatlantic Trade and Investment partnership, il trattato di liberalizzazione commerciale tra Europa e Stati Uniti) e CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement, la sua versione in minore tra Ue e Canada), in realtà sono delle scorciatoie per via commerciale di operazioni molto coerenti di ridisegno della filiera delle decisioni e delle responsabilità.
In questi giorni c’è chi vuole far passare il CETA come un argine al trumpismo: peccato che il premier Justin Trudeau – che il Parlamento europeo ospiterà a Strasburgo a metà febbraio per godersi in prima fila la deprecabile approvazione del CETA e che posta selfie con bambini rifugiati – abbia salutato l’elezione di Trump, che pure lo svillaneggia spesso su Twitter, come “la possibilità di assicurare a canadesi e americani il giusto successo con un maggior lavoro comune su commercio e sicurezza” [i], e abbia gioito per lo sblocco da parte di Trump della costruzione dell’Oleodotto Keystone XL, stoppato da Obama perché ritenuto devastante per l’ambiente, definendo la scelta di Trump “una decisione molto importante per il Canada che ho sempre sostenuto”. [ii]
Trump fermerà il TTIP e la globalizzazione? Proprio no: il suo programma prevede una raffica di accordi commerciali bilaterali e di chiuderli uno dopo l’altro a un ritmo veloce. Peter Navarro, direttore del nuovo Consiglio Nazionale del Commercio della Casa Bianca, ha detto che insieme al ministro al Commercio Wilbur Ross spingeranno per accordi che stringano i requisiti delle regole di origine, che diano un giro di vite al dumping dell’acciaio e dell’alluminio e riducano il deficit commerciale americano richiedendo alle nazioni partner di comprare più prodotti americani.
Per questo Trump prende tempo sul TTIP: proverà a negoziare un accordo bilaterale con la Gran Bretagna, già annunciato, e ad imporre un vantaggio più netto per gli Usa all’Europa, indebolita dalla Brexit. E il rischio è che per evitare l’isolamento commerciale e imporre la svolta antidemocratica auspicata, la Commissione europea accetti il TTIP a tutti i costi, come oggi spinge verso il CETA nonostante il quadro politico sia assolutamente diverso da quello in cui l’ha negoziato.
Il vero obiettivo di TTIP e CETA, infatti, è spostare il baricentro delle decisioni dai Parlamenti nazionali ed europei a commissioni tecniche ad hoc dove ”esperti” incaricati dei Governi Usa e canadese, insieme ad altri “esperti” individuati per decisione autonoma della Commissione europea, stabiliranno quando una marmitta sia abbastanza sicura, ma anche quanto piombo o ormoni sia giusto che siano presenti nel cibo che mangiamo, solo alla luce dei potenziali vantaggi commerciali per chi li produce ed esporta.
Ma c’è di più: con questi trattati si punta a introdurre una corsia legale preferenziale, un tribunale arbitrale riservato alle imprese dove esse possano contestare le leggi pur emanate a tutela dei diritti dei cittadini, qualora danneggino i loro interessi commerciali. Una scelta che l’associazione dei magistrati tedeschi, DRB, ha giudicato “senza basi legali”[iii].
Da Seattle a Bruxelles: che cos’è che non va
Era dai tempi della rivolta a Seattle nel 1999 contro l’Organizzazione mondiale del commercio (World trade organization – WTO) e dal G8 di Genova 2001 nel nostro Paese, che sindacati, associazioni e movimenti non erigevano barricate fisiche e politiche contro la deregulation commerciale. Questa volta, però, un’inedita alleanza, anche al di là dell’Atlantico, con piccole e medie imprese dei settori agroalimentare e manifatturiero, oltre duemila Regioni tra cui Abruzzo, Lombardia, Toscana, Trentino Alto Adige e Val D’Aosta e città europee [iv], e con magistrati e esperti di diritto e commercio, hanno inceppato i rispettivi esecutivi.
Il TTIP, rispetto al quale Trump si era dichiarato critico ma che oggi col suo staff sta valutando a fondo, essendo sensibili i vantaggi per le esportazioni Usa da esso prefigurato, è fermo da oltre 5 mesi ma, dicono i negoziatori “basterebbe un po’ di volontà politica per portarlo a compimento”[v].
Il CETA, invece, sarà sottoposto al voto del Parlamento europeo a metà febbraio, se non interverranno ostacoli. Mentre Germania, Francia, Austria e persino piccoli stati federali come la belga Vallonia hanno sollevato criticità rispetto ai due trattati, il Governo Renzi ne è stato fiero campione[vi]: “L’Italia è stato l’unico Paese che ha inviato una lettera alla Commissione europea autorizzandola a considerare il CETA una competenza esclusivamente europea”, ha spiegato il ministro competente Carlo Calenda chiedendo a Malmstrom di tagliare fuori il suo Paese e gli altri 26 dal processo di ratifica[vii] del trattato per accelerarne l’iter[viii]. E’ difficile spiegarsi il perché.
TTIP e CETA sono fondati essenzialmente sugli stessi tre pilastri: un primo nucleo di regole per facilitare l’accesso al mercato con l’abbattimento di dazi e tariffe e a nuove regole per l’accesso ai servizi e agli appalti pubblici della controparte. Un secondo nucleo di regole si concentra sulla cooperazione normativa tra le sue parti, affrontando gli ostacoli tecnici agli scambi, la sicurezza alimentare e la salute degli animali e delle piante, le regole riguardanti gli specifici settori produttivi. Il tutto da armonizzare in appositi comitati bilaterali fuori dal controllo parlamentare, per rendere il commercio più facile, non il cittadino più tranquillo. C’è poi un terzo nucleo normativo che si concentra su specifici ambiti come sviluppo sostenibile, energia e materie prime, proprietà intellettuale e indicazioni geografiche, concorrenza, protezione degli investimenti, piccole e medie imprese.
Se entrasse in vigore solo il primo pilastro in CETA e TTIP, i due trattati raggiungerebbero appena 1/3 delle proprie potenzialità. E’ con l’avvicinamento delle regole tra le due sponde dell’Atlantico, sia con il CETA sia con il TTIP, che si raggiungono i cosiddetti “migliori” risultati commerciali. Usiamo le virgolette perché per il TTIP, infatti, parliamo di un modesto incremento del PIL inferiore allo 0,5% in USA e UE entro i primi 13 anni di applicazione del trattato, a fronte di un incremento delle esportazioni dell’UE verso gli USA del 60% circa e di quelle degli USA verso l’UE di oltre l’80%[ix]. Con il CETA si parla di un piccolo aumento di PIL per l’Europa in dieci anni tra lo 0.003% e lo 0.08% e per il Canada tra lo 0.03% e lo 0.76%, a fronte di un aumento delle esportazioni rispettivamente del 24.2% e del 20.4% [x].
Se si applicano alle analisi, però, i modelli econometrici usati dalle Nazioni Unite al posto di quelli della Banca Mondiale, e si prendono dunque in considerazione più variabili oltre al saldo netto commerciale, scopriamo questi flussi commerciali aggiuntivi in arrivo da oltreoceano andrebbero a sostituire quote dal 30 al 70% di interscambio tra Paesi dell’Unione (fenomeno noto come Trade diversion), e gli scarsi guadagni previsti si tradurrebbero in danni certi. Per il TTIP si arriva a quantificare, sempre in 13 anni, una perdita di reddito da lavoro tra i 165 e i 5mila euro per ciascun lavoratore europeo a seconda del Paese e una moria di circa 600mila posti di lavoro, la maggior parte tra Germania, Francia e Italia.
Il CETA provocherà una perdita media di reddito da lavoro media di 615 euro tra tutti i lavoratori UE, con punte minime di -316 euro fino a picchi di -1331 euro in Francia, e la distruzione di 204mila posti di lavoro, dei quali circa 20 mila in Germania e oltre 40 mila sia in Francia sia in Italia[xi]. Con il CETA entro il 2023 il governo canadese perderà lo 0,12% delle sue entrate da tasse commerciali, mentre in Europa si registrerà una perdita media di entrate dello -0,16% per cui si arriveranno a tagli nella spesa pubblica fino allo -0.20% in Canada e allo -0.08% in UE che si proietteranno in maggiori perdite nei Paesi europei con i settori pubblici più consistenti come Francia (-0,20%) e Italia (-0.20%)[xii].
Chi negozia e chi controlla
Tutti i dubbi espressi emergono da valutazioni indipendenti. Anche se l’Europa prevede che per ogni accordo vengano realizzate analisi ex ante anche sul piano della sostenibilità, i negoziati sono condotti senza che nessuno se non i negoziatori– e quindi per l’UE la Commissione e i suoi esperti – possano accedere agli annessi dove sono indicati i livelli numerici delle armonizzazioni e degli abbattimenti. Una corretta quantificazione, così, si può effettuare solo una volta che le due parti abbiano concluso il negoziato che è sottoposto a riservatezza come prevede il Trattato di Lisbona [xiii].
Esse, dunque, sono più accurate per il CETA, che è stato concluso e legalmente riordinato, meno per il TTIP i cui allegati tecnici sono stati messi a disposizione solo degli analisti indipendenti dai leakage (sottrazione e pubblicazione non autorizzata di testi rocambolescamente recuperati) condotti sotto la propria responsabilità legale da organizzazioni internazionali come Wikileaks, Greenpeace o le campagne StopTTIP dei Paesi europei tra cui l’Italia[xiv].
Sul sito della Commissione europea, infatti, dal 2014, pur dopo un richiamo formale a una maggiore trasparenza mosso dall’Ombudsman europeo[xv] su ricorso di un gruppo di Ong europee, sono disponibili una decina di proposte europee di testo del TTIP e molta propaganda. I parlamentari europei, dopo quell’autorevole intervento, possono consultare il TTIP, senza allegati, per un turno di un’ora circa, in apposite stanze dove accedono dopo perquisizione e vengono controllati a vista perché non prendano altro che appunti personali su carta e senza citazioni letterali del testo, disponibile nella sola lingua inglese[xvi].
Lo stesso i parlamentari nazionali, e solo dal 2016[xvii]. Il CETA, invece, i parlamentari europei, che devono votarlo, e quelli nazionali, che dovranno ratificarlo, non l’hanno letto prima della conclusione del negoziato. La ministro al Commercio canadese ha ammesso in un recente incontro a Bratislava di non averlo mai letto, e di “fidarsi dei suoi esperti”. Ne aveva un’idea in itinere, oltre ai lobbisti di mestiere, solo un pugno di esperti di Ong e sindacati (tra cui chi scrive) che lavorava grazie a “copie abusive”, perché l’intervento dell’Ombudsman è arrivato quando ormai il suo iter era quasi concluso, forse anche grazie a tanta riservatezza.
*giornalista, vicepresidente dell’associazione Fairwatch, Osservatorio italiano su Clima e commercio
NOTE
[i] http://www.cbc.ca/news/politics/trudeau-trump-canada-us-relations-1.3843142
[ii] http://www.cbc.ca/news/politics/trudeau-cabinet-keystone-xl-1.3949754
[iii] http://www.dw.com/en/german-judges-slap-ttip-down/a-19027665
[iv] La lista di qui https://stop-ttip-italia.net/zone-no-ttip/
[v] http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2017/january/tradoc_155242.pdf
[vi] http://www.eunews.it/2014/10/14/renzi-il-ttip-ha-lappoggio-totale-e-incondizionato-del-governo-italiano/23167
[vii] La lettera originale pubblicata da Stop TTIP Italia https://stop-ttip-italia.net/2016/06/18/esclusivo-stopttip-italia-pubblica-la-lettera-di-calenda-su-ceta/
[viii] http:/www.politico.eu/article/eu-faces-last-chance-to-save-canada-trade-deal
[ix] http://ase.tufts.edu/gdae/Pubs/wp/14-03CapaldoTTIP.pdf, p. 8
[x] http://www.ase.tufts.edu/gdae/Pubs/wp/16-03CETA.pdf, p. 23
[xi] http://www.ase.tufts.edu/gdae/Pubs/wp/16-03CETA.pdf, p. 27
[xii] Ibidem p. 25
Fonte:http://temi.repubblica.it/micromega-online/ttip-le-nostre-democrazie-restano-a-rischio/
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