Credo sia molto importante ricordare che, nonostante un impegno durato 13 anni, la corruzione non è diminuita in questo Paese”.
Queste parole di Gherardo Colombo, recentemente pronunciate, possono riassumere l’esito delle indagini di Mani Pulite. Il 17 febbraio 1992, veniva arrestato il socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, per via di tangenti su un appalto. Era l’inizio ufficiale di quel fenomeno entrato nella storia italiana con il nome di “Tangentopoli”. Un pool di magistrati condusse l’inchiesta di Mani Pulite che rivelò un sistema di tangenti diffuso gestito dai partiti e che coinvolgeva tutti i settori della società civile. Le speranze di molti furono concentrate sui magistrati inquirenti, osannati come gli eroi di una rigenerazione della società italiana, di una “rivoluzione civile” che avrebbe dovuto estirpare la corruzione considerata l’origine di tutti i mali che affliggevano l’Italia. A distanza di venticinque anni si può dire quanto queste fossero nient’altro che pie illusioni.
“Forse la corruzione oggi” afferma Colombo “è meno organizzata di un tempo, perché in quel periodo esisteva proprio un sistema di corruzione legato al finanziamento illecito dei partiti politici. Oggi la corruzione è sempre agli stessi livelli di diffusione, ma è un pochino più anarchica, meno sistematica”. E questo è il cambiamento più rilevante del fenomeno corruttivo, mutato nella qualità, non nella quantità; nella Prima Repubblica esso era gestito dai partiti che se ne servivano per alimentare le costose macchine di propaganda di cui necessitavano nel periodo di un durissimo scontro ideologico manifestatosi in Italia con particolare virulenza. Con il crollo del Muro di Berlino, quel sistema di finanziamento diventava superfluo. Il capitalismo emergeva come unico sistema sociale e non aveva più bisogno di tenere in piedi enormi macchine da guerra ideologiche per fronteggiare un nemico oramai agonizzante. Ma veniva meno soltanto una particolare conformazione della corruzione, non la corruzione in quanto tale, che, come ha notato l’ex magistrato, oggi è decentrata ma non meno presente. Era possibile aggredire e sbarazzarsi, questo sì, dei pesanti apparati burocratici capaci di mobilitare una quantità considerevole di persone; tali apparati, non solo non servivano più, ma erano d’intralcio alla nuova epoca che esigeva la depoliticizzazione della società e un ripiegamento nella sfera privata (o, per meglio dire, un dispiegamento del privato a fronte dell’erosione del pubblico). E tale è stato il vero ruolo di Tangentopoli; si è trattato di una guerra contro i partiti e contro la politica, non di una guerra contro la corruzione.
Quest’ultima è fenomeno strutturale alla società capitalistica, e pertanto in essa ineliminabile. L’espansione del capitalismo significa adeguamento alla forma merce e diffusione del denaro quale mezzo di scambio universale, ovvero introduzione dell’economia di mercato in tutti i meandri della società. Le cariche politiche, come qualsiasi altra carica, non sono immuni – perché dovrebbero? – dal processo di mercatizzazione, legale o illegale che sia (esiste anche una corruzione legalizzata: quella delle “donazioni” delle aziende ai politici, sistema da sempre diffusissimo negli Stati Uniti e ora approdato anche in Italia) e anch’esse diventano una merce. Pertanto non sarà certo un’indagine dei magistrati, una campagna stampa o una serie di leggi, tutti interventi che restano a livello sovrastrutturale, che potranno debellare un fenomeno strutturale. Tali interventi potranno, nel migliore dei casi, contenerlo, mai sradicarlo. È, in realtà, faccenda molto più antropologica che politica o giudiziaria, come sembra intuisca vagamente anche Colombo. La rigenerazione sociale, pertanto, non potrà mai partire dalla lotta alla corruzione; all’opposto, sarà soltanto un’autentica rigenerazione sociale che condurrà all’estirpazione della corruzione da una realtà sulla quale non sarà più in grado di attecchire.
Le campagne moralistiche non potranno mai intaccare, se non superficialmente, il fenomeno. Ne è la prova Tangentopoli, che è stata il risultato di un miscuglio di diversi fattori, non soltanto giudiziari, ma anche politici, mediatici, geopolitici ed economici. Ma queste campagne potranno ottenere risultati diversi da quelli dichiarati. Il risultato ottenuto in Italia è stato la liquidazione della “vecchia politica”, cioè della politica che godeva ancora di un discreto livello di autonomia e di facoltà direttiva.
L’autonomia della politica era necessaria in un contesto nel quale si fronteggiavano due attori, il lavoro e il capitale. Il ceto politico rappresentava un medium tra i due, che consentiva ai lavoratori da un lato di veder riconosciute alcune istanze, e ai capitalisti dall’altro di conservare il controllo sui processi di produzione. Con la destrutturazione e decentralizzazione degli apparati produttivi e la fine del modello fordista il lavoro smetteva di essere un blocco sociale omogeneo, mentre il capitale si finanziarizzava e si internazionalizzava. Questo mutamento fu intuito già da Berlinguer, che spostò il baricentro del PCI dalla questione sociale alla questione morale, inaugurando il moralismo della sinistra, con il quale, essa, più tardi, proprio a partire dallo scoppio di Tangentopoli, poté proporsi come elemento politico non più “progressivo”, ma di adeguamento alle mutate esigenze del capitalismo. Furono proprio le linee dirigenti post-PCI a essere risparmiate dalle inchieste, o soltanto sfiorate, dovendo esse assumere il ruolo del “liquidatore” dell’autonomia della politica.
Il crollo dell’Unione sovietica, poi, forniva una spinta ulteriore a questo processo, che altrimenti avrebbe rischiato di arenarsi. Ciò che ha dimostrato Tangentopoli è che la “lotta alla corruzione” non colpisce in realtà la corruzione ma la politica. Alcuni recenti avvenimenti internazionali sembrano confermarlo, ad esempio la destituzione di un governo in Brasile attraverso un colpo di stato mediatico-giudiziario, che presenta molte somiglianze con il periodo di Mani Pulite, la protesta “popolare” in Romania contro un governo non proprio entusiasta delle direttive europee, l’uso della retorica moralista in molte campagne elettorali, come quella del banchiere Gulliermo Lasso in Ecuador contro l’avversario erede del governo progressista in carica, e infine si potrebbe citare l’esagerazione del fenomeno corruttivo in Grecia spacciato come causa della crisi economica per giustificare il commissariamento del Paese da parte della Troika.
In tutti questi casi le oligarchie sembrano servirsi delle campagne moralistiche come mezzo per destabilizzare governi non graditi, colpire esponenti politici avversi o imporre la propria agenda politica. Le vicende di Tangentopoli, in ciò, hanno fatto “scuola”, hanno segnato l’elaborazione e la sperimentazione di una nuova strategia.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/tangentopoli-venticinque-anni-dopo/
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