I piani degli eurocrati e il Piano B delle sinistre
di CARLO CLERICETTI
Mentre si prepara il vertice a Roma del 25 marzo per festeggiare i 60 anni del Trattato che fece iniziare il cammino dell’Unione europea, i leader dei quattro paesi membri più grandi – Germania, Francia, Italia e Spagna – annunciano che questo cammino proseguirà “a più velocità”, cioè aumentando l’integrazione nell’uno o nell’altro settore non più tutti insieme, ma con chi è disposto a farlo. La dichiarazione dovrà essere riempita di contenuti precisi, che per ora mancano, ma ci si riferisce probabilmente a difesa, sicurezza interna, accordi internazionali sul commercio, immigrazione, controllo delle frontiere.
Il suono delle fanfare, però, non riesce a coprire i sinistri scricchiolii che vengono dalla costruzione dell’Unione. Non solo in tutti i paesi esistono e si rafforzano partiti e movimenti anti-euro o persino anti-Unione, ma – al di là dell’ottimismo di facciata – il cammino unitario sembra aver perso la bussola. Per rendersene conto basta guardare il “Libro bianco sul futuro dell’Europa” presentato la scorsa settimana dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Non contiene una proposta sulla direzione da prendere, ma addirittura cinque, tra loro alternative, con tutte le possibili graduazioni: dall’attuazione del federalismo alla trasformazione in un semplice mercato unico.
Le indiscrezioni che si rincorrono tra Bruxelles e Berlino parlano di due visioni che si scontrano anche se entrambe farebbero perno sull’Esm, il Fondo “salva-Stati”. La prima ipotesi, sostenuta dal ministro dell’Economia tedesco Wolfgang Schäuble, ne vorrebbe fare il famoso controllore dei conti pubblici e delle politiche economiche di cui si parla da tempo (sotto forma di un “ministro europeo dell’economia”). Un organismo tecnico con il compito di far rispettare le regole con più poteri e in modo più rigido di quanto non faccia ora la Commissione, che secondo Schäuble è troppo accomodante perché subisce condizionamenti politici. Non c’è bisogno di ripetere che qualificare “tecnico” un organismo del genere non è altro che una foglia di fico che vorrebbe nascondere l’imposizione delle politiche ordoliberiste tanto care al ministro tedesco.
L’altra ipotesi vorrebbe che l’Esm diventasse appunto un ministero dell’Economia europeo, con un bilancio fatto di risorse proprie e il compito anche di stimolare crescita, investimenti e occupazione, integrandolo nella Commissione. E’ l’ipotesi dell’ala meno “austeritaria” dei leader europei, che sarebbe sostenuta per esempio dal francese Pierre Moscovici. Di fatto, comunque, nessuna delle due ipotesi prefigura un reale cambiamento di rotta dell’Unione, in grado di modificarne l’orientamento liberista.
A proporselo sono invece le sinistre, quelle che non accettano il paradigma TINA (there is no alternative). Anche loro si riuniscono a Roma, domani sabato 11 e dopodomani, per discutere una strategia di cambiamento. La premessa da cui partono è illustrata in un breve documento: “L’Europa non può più continuare a seguire il sentiero distruttivo neoliberale dell’integrazione economica e monetaria, che ha eroso lo Stato sociale al servizio delle banche private e creato sfiducia e nazionalismi mettendo i lavoratori gli uni contro gli altri in un unico mercato con un’unica moneta”.
Si discuterà del “Piano A”, ossia che cosa sarebbe necessario fare per cambiare faccia all’Europa riscrivendo i trattati. Ma siccome per la maggior parte questa strada è poco realistica, perché mancano le condizioni politiche e i rapporti di forza necessari ad attuarla, si parlerà soprattutto del “Piano B” – che è quello che dà il nome al summit (“A Plan B for the Eu and the euro-zone“), cioè quali strategie adottare “per una rottura più radicale”. Saranno presenti esponenti di partiti e movimenti di tutta Europa (qui il programma dei lavori e gli interventi), con un servizio di traduzione simultanea. Chi vuole partecipare deve registrarsi.
Sbaglierebbe chi pensasse che si tratterà di una manifestazione anti-europea. I partecipanti al summit vogliono però un’Europa molto diversa da quella attuale, che del resto sta divorando se stessa come mostra non solo la crescita in tutti i paesi di forse populiste e anti-sistema, ma anche l’esito delle consultazioni popolari quando un governo è tanto incauto da promuoverle. E le prossime tornate elettorali (Olanda, Francia, Germania, Repubblica Ceca, Bulgaria) potrebbero essere causa di shock dagli esiti imprevedibili. Un “Piano B”, dunque, è necessario averlo, perché, con buona pace degli attuali leader, camminiamo sul filo del rasoio.
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