Ahi, serva Italia
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Matteo Volpe)
La difesa dell’attacco contro la Siria degli scorsi giorni, da parte dei media e del governo italiani, è un’altra maschera che cade.
Dopo l’attacco statunitense alla Siria, con cui Trump ha sconfessato la sua linea di distensione con la Russia, è arrivata immediatamente la reazione del governo italiano di incondizionato appoggio a Washington. Mentre l’opposizione della Lega e dei Cinque Stelle ha disapprovato l’aggressione, il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha definito l’intervento “puntuale e limitato” giustificato da “un crimine di guerra il cui responsabile è il regime di Assad”. Anche il governo, quindi, si avvale ufficialmente di una notizia rimbalzata da tutti gli organi di informazione del nostra paese, ovvero l’ennesimo presunto attacco con armi chimiche di Assad contro la popolazione siriana. Questa notizia è stata accettata senza nessun dubbio e nessuna verifica, nonostante sia già stato dimostrato che il governo siriano non possiede un arsenale chimico, che invece è a disposizione dei ribelli (come ha spiegato il Premio Pulitzer Seymour Hersh) i quali lo hanno usato per provocare l’intervento degli Stati Uniti contro Assad. Sembra si ripeta la farsa della guerra irachena, quando l’Onu smentì l’esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq affermata da Stati Uniti e Gran Bretagna per giustificare l’attacco contro Saddam Hussein.
È interessante osservare il riposizionamento della stampa italiana e delle reti televisive rispetto a Trump, in questi giorni. Dopo una campagna incessante prima e dopo la sua elezione che lo descriveva come un razzista e un guerrafondaio, i media hanno smesso di accusarlo proprio in seguito all’evento che avrebbe confermato le loro accuse. Tutte le grandi testate hanno creduto ciecamente alla versione statunitense sul presunto crimine di Assad, riallineandosi immediatamente al tradizionale atlantismo.
Questo è la prova di come ciò che viene temuto dal clero giornalistico non è il “populismo” – che viene ora abbracciato al grido di “Assad dittatore!” – o l’autoritarismo, bensì la resistenza all’egemonia imperiale nordamericana. Nel momento in cui Trump sembrava voler soltanto frenare la tendenza espansionista perseguita da Clinton, Bush e Obama i media occidentali, e quelli italiani si sono distinti per solerzia, hanno coralmente gridato al pericolo per la democrazia; nel momento in cui Trump ha invece ceduto alla linea dei neo-con e dei clintoniani eccoli subito convergere contro Assad e a difesa della traballante tesi di Washington.
Del resto non è la prima volta che il giornalismo italiano dà prova della sua subalternità. Accadde già in occasione della guerra contro l’Afghanistan, quando anche gli organi di sinistra non si fecero scrupolo ad appoggiare il neo-conservatore Bush contro il quale avevano poco prima inveito. Accadde per la Libia, quando tutti, da destra a sinistra, chiesero la deposizione di Gheddafi legittimando l’intervento franco-anglo-americano, salvo poi accorgersi, mesi dopo, di aver consegnato il paese africano alle bande terroristiche. Volendo andare a ritroso si può risalire alla Prima Guerra del Golfo, quando la stampa “democratica e progressista” declamava la marcia trionfale dell’esercito a stelle e strisce, accusando i pochi dissidenti di essere degli irriducibili estremisti antiamericani. Si sono dimenticate le parole di un modello del giornalismo italiano come Giorgio Bocca che non esitiamo a definire vergognose e che vale la pena di ricordare:
“Abbiamo poi appreso che la cultura di sinistra, una parte della cultura di sinistra, che dalla nascita della repubblica è andata a senso unico tutte giuste le guerre comuniste, le rivoluzioni comuniste, sempre sbagliate le guerre dell’Occidente massime degli Stati Uniti ora non avendo più la sponda dell’Unione sovietica e del sol dell’avvenir su cui far rimbalzare la sua propaganda e trovare uno zoccolo duro alle sue parole, passa a un pacifismo totale e indiscriminato per cui, pur di contrastare una guerra votata dalle Nazioni unite, si sostiene che non esistono guerre giuste. E se quell’ uomo serio, prima che un grande intellettuale, che è Norberto Bobbio si permette di ricordare che le guerre giuste esistono, che combattere il nazismo nella Resistenza fu una guerra giusta come lo sono le guerre in corso dei baltici o dei negri sudafricani o di chiunque si difenda da una ingiusta oppressione lo si attacca come un cattivo maestro”.
L’allineamento totale del giornalismo e degli intellettuali italiani all’imperialismo nordamericano e la ferocia con cui attaccano i suoi nemici è il sintomo di un complesso di inferiorità di chi vuole riabilitarsi agli occhi dei padroni del mondo e cancellare il passato in cui erano dall’altra parte della barricata. Ma dal crollo dell’URSS la sinistra italiana (non tutta, quella maggioritaria) si è segnalata come la più chiara interprete degli interessi geopolitici ed economici degli Stati Uniti in Italia, persino più della destra. In questi venticinque anni ha sostenuto tutti gli interventi NATO, anche quelli più disastrosi. I più accaniti atlantisti sono spesso proprio coloro che negli anni Sessanta manifestavano contro la guerra in Vietnam e che oggi difendono le “guerre giuste”. Tuttavia, anche nel corso degli anni Novanta e Duemila, l’“età dell’oro” dell’imperialismo statunitense, non sono mai mancati elementi critici e un qualche dissenso. Negli ultimi anni invece la narrazione delle potenze occidentali viene recepita e accettata; tutta la sinistra, anche quella che si definisce comunista o “radicale” era a protestare davanti all’ambasciata libica nel 2011, ed esultò alla caduta di Gheddafi insieme a Hillary Clinton, così come oggi accetta le “fake news” (per usare un’espressione di moda) sulle armi chimiche di Assad e sulle inenarrabili nefandezze del “dittatore” contro i poveri “ribelli” (quelli stessi che in altre zone del mondo definisce “terroristi”).
Tutto ciò ci dice che l’imperialismo non è solo un fatto politico ed economico, è anche un fatto culturale, in particolare lessicale, che porta la guerra direttamente nelle nostre menti e nei nostri discorsi. Non lo vediamo all’opera soltanto con le bombe e i proiettili, ma anche quando si ammanta del gergo del politicamente corretto: quando lo sentiamo chiamare “regime” qualsiasi governo inviso all’Occidente e “democrazia” le nostre ipocrite oligarchie; quando i conflitti di questi “regimi”, spesso provocati dalle “democrazie”, vengono definiti crimini, mentre le guerre occidentali, al massimo, “errori” (si ricordi l’”errore” degli Usa nel fare strage di soldati siriani); quando una guerra intrapresa per interessi economici viene considerata “giusta” ma la resistenza, anche armata, di un popolo che si oppone al tentativo di sopraffarlo, quella no, è un’intollerabile “violazione dei diritti umani”.
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