La scelta di Theresa May, primo ministro da soli nove mesi (ha assunto la carica il 13 luglio 2016), è probabilmente riconducibile al suo desiderio di disporre di una solida maggioranza parlamentare in vista delle difficili trattative con l’Unione Europea per definire il meccanismo che porterà il suo Paese, nel giro dei prossimi due anni, a riconquistare la sua totale indipendenza economica e politica dai vincoli imposti dall’appartenenza al club dei 28 paesi che componevano l’Unione, oggi scesi a 27.
Le tattiche politico-elettorali
Attualmente, il partito conservatore al governo in Gran Bretagna dispone alla Camera dei Comuni di una maggioranza di soli 12 seggi. Il primo ministro, perciò, la ritiene troppo esile per sostenere il suo governo e accompagnarlo nei negoziati. Nel suo disegno, le elezioni di giugno – che la May conta di vincere con largo margine – consentiranno al premier di condurre i colloqui sulla Brexit con un mandato solido, sbarrando la strada alle manovre delle frange filo-europeiste presenti in parlamento e nella Camera dei Lord.
Per inciso, il Regno Unito è una democrazia parlamentare e gli elettori votano soltanto il candidato del collegio che li rappresenterà in Parlamento. Mentre il governo è formato dal partito (o coalizione) che ottiene la maggioranza di seggi alla Camera dei Comuni. Il leader di tale partito diventa automaticamente premier e, in caso di dimissioni o elezione di un nuovo segretario del partito di governo mentre è in corso la legislatura, il premier si dimette e la Regina affida l’incarico di formare un nuovo governo al nuovo segretario, come è accaduto a David Cameron.
«Se non teniamo ora le elezioni politiche – ha dichiarato il premier ai cronisti assiepati di fronte al numero 10 di Downing Street – i giochetti politici (dei contrari alla Brexit, ndr) continueranno all’infinito. In questo momento politico di enorme importanza a Westminster ci dovrebbe essere unità d’intenti e, invece, c’è divisione. La nazione è unita ma il parlamento non lo è. Abbiamo bisogno di un cambiamento politico, e ne abbiamo bisogno ora».
Theresa May ha preso la sua sorprendente decisione probabilmente sull’onda dei sondaggi che vedono il partito laburista guidato da Jeremy Corbyn al minimo storico nei consensi dell’elettorato e, secondo gli instant polls condotti nelle ore successive al suo annuncio, potrebbe avere ragione. Il primo sondaggio dell’istituto ICM per il Guardian al 19 aprile assegna ai conservatori tra i 380 e i 400 seggi su 650 nel prossimo parlamento, dunque una maggioranza potenzialmente enorme, visto che ai laburisti, con appena il 19% dei voti, resterebbe soltanto un’esigua minoranza di seggi.
Le opinioni degli oppositori
L’ex primo ministro laburista Tony Blair, in un articolo pubblicato sul sito della Faith Foundation, la sua fondazione di studi politici, ha accusato Theresa May di voler andare a nuove elezioni «per assicurarsi una solida maggioranza parlamentare prima che per i cittadini inglesi diventino chiare le conseguenze negative della Brexit e per evitare qualsiasi possibilità di ripensamento».
Il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon, che un mese fa ha annunciato l’intenzione della Scozia di promuovere un referendum per l’indipendenza proprio con l’intento di rimanere nell’Unione Europea, ha commentato invece la decisione della May sottolineando che l’annuncio «rappresenta una svolta senza precedenti nella recente storia politica del Regno Unito e dimostra che Theresa May ancora una volta mette gli interessi del suo partito al di sopra di quelli del Paese».
In effetti, secondo fonti di Downing Street citate dal Financial Times, la May avrebbe preso l’improvvisa decisione di sciogliere il parlamento a seguito delle insistenti voci che danno per prossime le dimissioni di Jeremy Corbyn da leader del partito laburista. Contando sulla crisi del principale partito di opposizione, avrebbe così deciso di accelerare sul voto – nonostante le ripetute precedenti assicurazioni che la legislatura sarebbe arrivata fino alla sua scadenza naturale – per cogliere un risultato favorevole prima che il partito laburista abbia il tempo e l’opportunità di riprendersi.
Brexit significa Brexit
La May tuttavia ha ribadito che le elezioni anticipate vogliono rappresentare un segnale per l’Europa e far capire a Bruxelles che «la Brexit vuol dire Brexit» e che non ci sono possibilità per il Regno Unito di tornare indietro rispetto a quanto stabilito dagli elettori con il referendum del giugno 2016. Su queste basi, secondo il primo ministro britannico, una nuova forte maggioranza elettorale a favore del suo partito rimuoverebbe dalla testa dei negoziatori europei ogni speranza di convincere la Gran Bretagna a tornare sui suoi passi e a restare nell’Unione.
I massimi esponenti dell’Unione, in effetti, in tempi più o meno recenti non hanno fatto mistero di sperare in un ripensamento della Gran Bretagna: «Spero – ha dichiarato nel marzo scorso Jean Claude Juncker, presidente della Commissione Europea – che il Regno Unito rientri nell’Unione. Verrà il giorno in cui la Gran Bretagna tornerà a bordo della nave europea».
Gli ha fatto eco Donald Tusk dichiarando «sarei un uomo tra i più felici se l’Inghilterra decidesse di ripensarci. Noi dobbiamo rispettare il risultato del referendum. Che la decisione di lasciare l’Europa sia reversibile o meno e un fatto che è nelle mani degli inglesi». Proprio per ribadire che la decisione sulla Brexit resta «nelle mani degli inglesi», Theresa May ha corso il rischio calcolato di sciogliere il parlamento e di indire nuove elezioni. Non solo per guadagnare nuovi consensi, ma anche per rendere definitivo e irreversibile l’abbandono dell’Unione da parte del suo Paese e riacquistare il controllo completo dei destini del Regno Unito, chiudendo per sempre le porte in faccia a Bruxelles.
fonte: http://www.lookoutnews.it/regno-unito-elezioni-anticipate-theresa-may-strategia/
Commenti recenti