Il problema del Kosovo
di OCCHI DELLA GUERRA (Giovanni Giacalone)
È sempre più alta la tensione in Kosovo tra albanesi e serbi e a gettare benzina sul fuoco è Daut Haradinaj, membro del partito “Alleanza per il Futuro del Kosovo” e fratello di Ramush Haradinaj, l’ex comandante dell’UCK arrestato in Francia e in attesa di estradizione in Serbia dove è ricercato per crimini di guerra.
Come illustrato dal sito di analisi Balkan Insight, lo scorso 7 aprile Daut ha infatti minacciato di “ripulire” il Kosovo dai serbi se suo fratello non verrà rilasciato: “Se vogliono il Kosovo etnicamente pulito dai serbi, allora che continuino con questa farsa”.
L’affermazione del politico kosovaro è stata condannata anche dalla missione Onu in Kosovo, dall’ufficio dell’Ue e dall’ambasciata statunitense di Pristina.
Nel frattempo il primo ministro albanese Edi Rama, assecondato dal presidente kosovaro Hashim Thaci, infiammava ulteriormente la situazione dichiarando che Albania e Kosovo potrebbero decidere di unirsi nel caso in cui dovessero essere rigettate dall’Unione Europea, generando così durissime reazioni da parte dell’esecutivo serbo, già irritato per precedenti affermazioni di Pristina di voler creare un proprio esercito nazionale.
I serbi ipotizzavano quali sarebbero state le reazioni internazionali se fosse stata Belgrado a lanciare l’idea di unire la Repubblica Serba di Bosnia alla Serbia.
A Belgrado il Kosovo viene ancora ritenuto parte integrante della Serbia e nonostante la dichiarazione di indipendenza del 2008, diversi paesi tra cui Russia e Cina continuano a non riconoscerla.
Il problema è però ben più complesso perché i Balcani si trovano attualmente tra l’espansionismo dell’Unione Europea e quello della nuova Turchia di Erdogan che vede l’area balcanica come interna ad un nuovo e presunto “impero ottomano”, in particolare Bosnia e Kosovo, quest’ultimo già definito mesi fa dal rais parte integrante della Turchia.
La Serbia da canto suo sembra internamente divisa tra chi guarda a un possibile ingresso nell’Ue e chi invece resta fedele alla storica alleanza etnico-religiosa con una Russia che oggi appare però più lontana.
Vi è però un ulteriore aspetto che va preso seriamente in considerazione perchè complica ulteriormente la già delicata questione kosovara ed è quello legato alla diffusione del radicalismo islamista e ai jihadisti di ritorno.
Il Kosovo infatti è il paese con il più alto numero di jihadisti partiti dai Balcani, 320 secondo le ultime stime, di cui circa 150 rientrati in patria ed anche quello che avrebbe fornito il maggior numero di foreign fighters in rapporto alla popolazione.
A marzo fonti russe e serbe avevano reso noto che una quarantina di detenuti rinchiusi in nove differenti carceri kosovari stavano mettendo in atto una sistematica attività di propaganda radicale all’interno dei penitenziari utilizzando testi islamisti di stampo salafita e wahhabita tradotti dall’arabo e composti da tale “Abu Harith”.
C’è poi il problema prettamente ideologico-dottrinario di stampo radicale, esportato sia da Turchia che da Arabia Saudita, seppur in “salse” differenti, che fa breccia nelle aree più povere del Paese e che rischia di radicalizzare i giovani, in particolare in aree come quelle di Mitrovica e Rastelica, già segnalate in più occasioni per la presenza di gruppi estremisti.
Insomma, se da una parte il mancato ingresso del Kosovo in Unione europea potrebbe portare il Paese balcanico a cercare altri punti di riferimento minori, che si tratti di Albania o Turchia, dall’altro un ingresso in Occidente porterebbe Bruxelles a dover fare i conti con un’espansione del radicalismo islamista balcanico che è in ogni caso già altamente presente, come dimostra il caso della cellula di kosovari arrestati il mese scorso a Venezia, giusto per citare l’ultimo caso.
D’altro canto gli islamisti radicali conoscono bene la delicata situazione dell’area balcanica e sono pronti a strumentalizzare il vecchio odio inter-etnico per infiammare e destabilizzare l’area, oltre che per infiltrarsi in Europa.
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