di LUCIANO BARRA CARACCIOLO
1. Non esiste una destra che non sia destra economica: cioè che non sia ideologia del mercato propugnata dall’oligarchia del capitalismo finanziario e grandindustriale.
Una “destra” che non fosse economica, – e cioè che, più o meno apertamente, respingesse l’ideologia oligarchica del mercato, come entità riassuntiva di ogni dimensione sociale possibile, in quanto libera dalle interferenze dello Stato e perciò tesa all’efficiente allocazione delle risorse “scarse”-, non sarebbe distinguibile da qualsiasi altro partito democratico in senso sociale.
L’eventuale “etichettatura” come destra perderebbe di qualunque coerenza e incorrerebbe in clamorose contraddizioni: perché
chi, prescindendo dall’essenza “economica” della destra, volesse contrapporsi a un avversario politico che non fosse una reale espressione dell’oligarchia economica, finisce spesso ad adottare egli stesso le misure che imputa criticamente a tale avversario (
v. alla voce “immigrazione”).
Inoltre, ridurre l’essenza della destra, retoricamente e strumentalmente intesa, all’autoritarismo poliziesco (“law and order”) è un criterio del tutto inaffidabile: ogni autoritarismo poliziesco, infatti, corrisponde alle scelte istituzionalidella “legge”, che determina l’oggetto e gli obiettivi dell’azione repressiva (l’autoritarismo poliziesco, per inciso, non è lo “Stato di polizia”, concetto che
M.S. Giannini riferiva al perseguimento, da parte dello Stato assoluto, “illuminato”, di fini collettivi di promozione del benessere generale: servizi pubblici generali in forma di “aziende autonome”, istruzione pubblica generalizzata, promozione dell’iniziativa economica, e cura pubblicistica dell’assistenza ai bisognosi).
2. Quindi, anche di fronte all’autoritarismo poliziesco, occorre vedere chi sia il detentore della sovranità, cioè della capacità di imporre incondizionatamente come diritto la propria volontà e i propri comandi.
L’autoritarismo poliziesco, nella cultura politica e giuridica contemporanea, viene per lo più definito tale in quanto colpisca interessi maggioritari, privando cioè della libertà, e dei “poteri” che ne sono la proiezione speculare, la maggior parte degli appartenenti ad una certa comunità sociale (politicamente unificata dal vivere sul territorio che delimita l’ambito spaziale della sovranità).
Questo concetto “comune” dell’autoritarismo, non risulta mutato per il solo fatto che,
all’interno delle democrazie, si postula sempre più come una priorità inderogabile la tutela di determinate minoranze (v. voce: diritti cosmetici): esiste un disegno implicito in questa tendenza, che è quello di
“normalizzare” l’idea che, comunque, una minoranza debba prevalere sulla maggioranza in quanto ciò sarebbe espressione di un progresso
necessitato: e una volta fissato tale principio,
si rende ovvio, e moralmente incontestabile, che il prevalere delle esigenze di qualunque minoranza, ma, per naturale suggestione, principalmente di quella dei ceti economicamente dominanti, costituisca un’evoluzione positiva e un’affermazione di libertà contro l’oppressione statale (
qui, p. 3 e anche
qui).
2.1. Ma se, – al di fuori di questa strategia mirata alla delegittimazione delle democrazie sociali e preparatoria di un neo-autoritarismo affermato con abile gradualità-, l’autoritarismo poliziesco colpisce ed opprime la maggioranza dei cittadini, cioè gli sottrae libertà e potere (sempre perché la libertà “da” è potere “di”), esso è inevitabilmente l’espressione di una legge dettata a tutela di pochi: i pochi che si sottraggono, come detentori del potere, a quelle regole e a quella repressione. Cioè è l’ordinamento giuridico di un’oligarchia.
3. Quindi, l’autoritarismo poliziesco che oggi più comunemente si stigmatizza (ricorrendo alla qualificazione di “
dittatura“:
ma solo quando non sia funzionale alla salvaguardia dell’ordine supremo del mercato) è
strutturalmente legato al capitalismo oligarchico, perché nel reprimere il potere della maggioranza intende conservare ed accrescere quello di una minoranza in posizione di vantaggio (e nella sostanza assolta dal rispetto delle regole punitive).
Questa dunque è l’essenza della destra che si caratterizza, inevitabilmente, come “economica” in quanto, all’interno di un sistema produttivo capitalistico (qual è riscontrabile, nell’attualità, praticamente in quasi tutto il pianeta), i pochi che hanno compiuto un sufficiente accumulo di potere da essere, appunto, in grado di assicurarsene la conservazione, sono i proprietari dei mezzi di produzione.
4. Se l’applicazione della legge e delle relative “sanzioni” (indice della giuridicità delle regole) non è rivolta verso/contro la (stragrande) maggioranza dei componenti della comunità sociale, bensì verso minoranze la cui azione è apertamente, e oggettivamente, diretta a limitare libertà e poteri della maggioranza stessa (e dunque al fine di eliminare un precedente sovraccumulo di potere antisociale), si potranno avere forme di autoritarismo, più o meno accentuate, – secondo la sensibilità comune del momento storico nel concepire l’intangibilità dei diritti di ciascun individuo-, ma non una politica, cioè un assetto sociale, di “destra”.
5. Beninteso, ogni autoritarismo è da condannare e da combattere: ma non ogni attività di repressione dell’azione di minoranze, che mirino a sovvertire libertà e poteri della maggioranza per fini di autoconservazione di una propria rendita di potere, è “autoritarismo”.
Lo può essere, in questo caso, se utilizzi come “giuridici” strumenti che, per il contenuto e le modalità delle sanzioni applicabili, tendono a negare il nucleo indeclinabile dei diritti umani.
Cioè quelle posizioni di vantaggio riconosciute a tutti i cittadini in quanto tali (e agli stranieri, sia pure con il limite, universalmente accettato, della “reciprocità”) che sono proclamate, a partire da un certo momento storico (in via approssimativa, a partire dalle rivoluzioni borghesi del XIX° secolo), come diritti propri della “cittadinanza”, e che definiscono la egualitaria capacità giuridica dell’essere umano in quanto tale.
Ma, nel caso considerato, non si tratterebbe comunque di un autoritarismo di “destra” perché non avrebbe il fine di limitare e reprimere la maggioranza in favore della conservazione del privilegio economico e politico della minoranza, che reclami l’efficienza allocativa di tale privilegio.
6. Quanto ai contenuti che conducono al travalicare nell’autoritarismo, pur essendo storicamente variabile il nucleo dei diritti umani del cittadino in quanto tale (sarebbe una grave ipocrisia negarlo), il criterio discretivo è quello della “ripugnanza” della misura afflittiva consentita e prescelta dalle norme: la tortura, fisica, anzitutto, ma anche psicologica, la privazione del minimo vitale nell’alimentazione e nell’igiene, l’espropriazione arbitraria della proprietà, l’indifferenza alla condizione di debolezza dell’incolpato sottoposto alle punizioni della legge, la censura dell’espressione del pensiero in quanto essenza della condizione di persona, sono evidentemente strumenti ripugnanti, anche se corrispondessero alla (astratta) “legalità”.
Quanto alle modalità di applicazione delle sanzioni (che sono l’inevitabile indicatore della normatività delle regole), queste divengono autoritarie quando si privi il cittadino, che ne sia destinatario, di ogni utile azione legale di difesa davanti a un giudice effettivamente imparziale ed indipendente: cioè terzo rispetto sia al potere esecutivo-poliziesco, che al potere legislativo che detta le regole. Un giudice, perciò, al quale sia consentito di applicare soltanto le sanzioni previamente stabilite da una norma anteriore ai fatti contestati e anche di poter sindacare la “ripugnanza” delle sanzioni comunque previste rispetto al senso comune storicamente condiviso.
Entrambe le condizioni (“non ripugnanza” e “giusto processo”), possono essere “effettive”, e quindi resistenti alla ragion politica che l’autoritarismo tende sempre ad affermare, quando esse (condizioni) siano stabilite in una costituzione che sia immodificabile, almeno in tale parte, dal potere legislativo: cioè da qualunque fenomeno politico contingente.
7. In assenza della predisposizione istituzionale, cioè costituzionale, delle regole invalicabili che garantiscano tali condizioni, anche un potere volto esplicitamente a tutelare gli interessi della maggioranza diverrà autoritario e poliziesco; con il che, possiamo anche verificare ciò che Rosa Luxemburg criticava nello stalinismo.
Ogni autoritarismo, in ogni modo, quale che sia il suo preteso “colore” iniziale, conduce inevitabilmente, in assenza di queste condizioni “costituzionali”, alla incontrollabilità dell’apparato repressivo; e la incontrollabilità, a sua volta, all’autoconservazione personalistica del potere repressivo e alla perpetuazione degli arbitrari strumenti di cooptazione dei componenti di tale apparato.
8. Ma poiché un potere incontrollabile è naturalmente autoconservativo della posizione di chi lo incarna (se non altro perché passandolo ad altri si rischia la vendetta di coloro che ne sono stati arbitrariamente oppressi), anche un autoritarismo dettato dalla iniziale finalità di tutelare la maggioranza e di sanzionare i comportamenti antisociali di una minoranza, tenderà a degenerare in un regime oligarchico.
E ciò non solo per la tendenza alla conservazione e personalizzazione del potere esercitato (fenomeno storico quasi inevitabile fino all’affermazione del moderno Stato di diritto), ma anche per l’abuso nell’appropriazione della ricchezza che a tale personalizzazione incontrollata si accompagna.
L’esito finale di ogni forma di autoritarismo, dunque, tenderà comunque a degenerare nella sua principale matrice: la destra economica e la predicazione autoritaria dell’assetto allocativo efficiente come conservazione del privilegio di chi è al potere.
9. Svolte queste premesse,
non vedo come, – al di fuori del giudizio compiuto alla stregua di valori cosmetici (cioè propagandistici, illogici e manipolatori), che sono
imposti per fini di controllo sociale dalle attuali oligarchie, cioè destre, economiche-, possa reputarsi “di destra” Marie Le Pen. Tantomeno di “estrema destra”, sottintendendo che ella tenda a travalicare nel fascismo (
suscitando variegati fenomeni di antifascismo su Marte) e, comunque, nell’autoritarismo.
Nessuna delle idee contenute nel suo programma (sotto riportato
nella schematizzazione fattane dal Sole24 ore, e quindi a lei certamente non favorevole), risulta favorire l’oligarchia del “proprietario-operatore economico” per conservare l’assetto allocativo efficiente su cui si fonda il suo privilegio.Anzi: alcuni dei punti programmatici (ad es; quelli sotto evidenziati) dovrebbero essere già parte condivisa di una piattaforma programmatica comune a tutti i partiti, di tutta l’eurozona, che sostengano il lavoro e il ripristino della democrazia sostanziale.
Né risulta propugnare un processo decisionale e normativo che si sottragga al controllo della Costituzione e del voto popolare (propugnando tra l’altro il sistema proporzionale).
E né risulta volta a sottrarre ad un giudice imparziale e indipendente l’applicazione di sanzioni, meno che mai da considerare come “ripugnanti” anche secondo il senso comune dell’attuale momento storico:
“I principali punti del programma:
– Negoziare con l’Unione europea il recupero della piena sovranità monetaria (con l’abbandono dell’euro), territoriale (con la sospensione dell’accordo di Schengen), legislativa ed economica
-In caso di insuccesso, entro sei mesi referendum per l’uscita dalla Ue
– Superamento dell’indipendenza della banca centrale
– Adozione del proporzionale in tutte le elezioni (con premio di maggioranza alla Camera)
– Abolizione delle Regioni
-Portare dall’1,7% al 3% del Pil il budget della Difesa
– Assunzione di 15mila poliziotti
– Creazione di 40mila posti in più nelle carceri
– Tetto a quota 10mila per l’ingresso di nuovi immigrati
– Abolizione dello “ius soli”
– Stop al ricongiungimento familiare per gli immigrati
– Nuova tassa sull’assunzione di lavoratori stranieri
– Tassa addizionale del 3% su ogni prodotto importato
– Pensione piena a 60 anni (con 40 anni di anzianità contributiva)
– Abolizione della riforma del lavoro.”
10. Additare Marie Le Pen, – e la sua lotta per la democrazia del lavoro, contro le oligarchie e la destra economica-, come “estrema destra”, almeno fino alla prova di eventuali, e comunque futuri, atti di governo contrari ai diritti inviolabili previsti nella Costituzione francese, appartenenti alla generalità dei cittadini a cui si rivolge, si rivela come un affrettato e grossolano esercizio di propaganda, oggettivamente al servizio degli interessi a cui lei si oppone.
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