Mazzini, padre della sinistra che non fu
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Luca Gritti)
Il patriota genovese teorizzò una sinistra realista, che si coniugasse con patria e famiglia, religione e proprietà. E, con quasi due secoli d’anticipo, previde e criticò la sinistra arcobaleno “dei diritti”. Oggi, mentre la sinistra ovunque si decompone, leggere Mazzini fa pensare amaramente a ciò che poteva essere ma non fu.
Carlo Marx aveva un fratello buono e si chiamava Giuseppe Mazzini. I due fratelli, separati alla nascita, partirono da una comune matrice ma poi approdarono ad esiti diversi. Entrambi vollero denunciare le storture dell’Europa uscita dal Congresso di Vienna, la spartizione di un continente in poche famiglie, le disuguaglianze sociali e le condizioni di masse di diseredati. Ma Carlo, fratello teutonico, che crebbe in Germania, nella culla del protestantesimo e dell’hegelismo, perseguì quest’obiettivo con il severo livore del predicatore, l’inquietante utopismo dell’idealista e il freddo calcolo dell’economista; il fratello Giuseppe, cresciuto in Italia, invece si batté per la giustizia sociale con la passionalità del patriota, il realismo del cattolico e il senso delle priorità dell’umanista.
Il fratello tedesco denunciò con estrema lucidità le storture del capitalismo, ma poi vagheggiò la costruzione di un mondo assurdo e disumano, in cui fossero abolite la proprietà, la patria, la famiglia e la religione; il fratello italiano invece coniugò tradizione e rivoluzione, patria e democrazia, e volle perseguire un mondo più giusto ma senza pretendere di cambiare l’uomo o di trasformarlo in qualcosa d’altro, di indefinito ed inquietante. Nonostante questo, ad aver maggiore fortuna fu Carlo, che divenne lo spettro che si aggirava per l’Europa, la bestia nera dei suoi governanti, lo stupefacente dei popoli, che li portò alla rivolta e alla lotta armata, e le cui idee poi nel secolo successivo segnarono le rivoluzioni di mezzo mondo, anche oltre i confini europei, dalla Russia alla Cina finendo con il Sudamerica.
Giuseppe invece, dopo la grande fama riscossa in vita, da morto fu utile solo per il suo repubblicanesimo a coloro che volevano far fuori la monarchia in Italia. Di tutta l’opera di Mazzini rimase solo l’elogio della repubblica e l’invettiva contro il Re, che fu sventolata come un feticcio fino al Referendum del 2 giugno 1946. In quel periodo il nome di Mazzini era ancora sulla bocca di molti, la sua figura studiata da specialisti e politici di rilievo, come Gaetano Salvemini che gli dedicò un’opera maestosa. Ma dalla costituzione della Repubblica, il nome di Mazzini fu progressivamente abbandonato, venne ritenuto forse autore obsoleto od inservibile per le battaglie del presente. A smentire questa credenza, c’è oggi la ripubblicazione, per i Tascabili Feltrinelli, di un’opera importantissima del patriota genovese, Pensieri sulla democrazia in Europa. Si tratta di un’antologia di sette articoli, pubblicati da Mazzini in inglese nel corso del suo esilio forzato in Inghilterra, in cui l’esule italiano fa il punto sulla situazione delle varie correnti del pensiero democratico sparse per l’Europa (oggi si direbbe: sulla situazione della sinistra europa), per poi proporre una sua sintesi, efficace ed originale, per compattare e unire tutte le forze antagoniste agli imperi dell’Europa continentale.
È un’opera importante per due motivi: la prima è che Mazzini con questi articoli si colloca di diritto tra gli scrittori politici più importanti del suo tempo, facendo i conti con tutti i grandi autori a lui più prossimi, da Tocqueville a tutte le ali della sinistra, i sansimoniani, i fourieristi, i comunisti; la seconda è che in quest’opera Mazzini smette di definirsi semplicemente repubblicano e incomincia a delineare un profilo più preciso della sua prospettiva sociale, attingendo dal parlamentarismo inglese, di cui aveva potuto di persona osservare i pregi, ma coniugandolo con una grande attenzione alla questione sociale. Mazzini in questi articoli parla più volte di una unione di forze “democratiche”, contro la conformazione elitista dell’Europa a lui contemporanea. In un certo senso, Mazzini è il primo padre della grande storia della sinistra italiana, che sta giungendo al suo mesto epilogo proprio in questi giorni. Non è per mescolare la grande storia alla piccola cronaca, ma forse è utile vedere Mazzini come genitore putativo ed inascoltato della sinistra italiana, una volta di più nei giorni della sua ingloriosa dipartita: forse il fallimento della sinistra sta in qualche misura anche nel fatto di aver misconosciuto un autore come il genovese.
In questi articoli Mazzini critica, con grande maestria ed acuta puntualità, tutte le storture delle proposte democratiche a lui contemporanee. Critica il comunismo, di cui prevede con impressionante visionarietà il carattere necessariamente “tirannico”, liquidando con facilità il vecchio alibi, in voga oggi, per cui il socialismo reale sarebbe stato “una buona idea applicata male”:
È chiaro che il sistema dell’uguaglianza assoluta nella distribuzione del prodotto è ingiusta, irrealizzabile, e porta inevitabilmente a ciò che essa pretende di sopprimere. Distrugge ogni stima dell’ingegno, della virtù, dell’attività, della dedizione del lavoratore; ogni stima nella qualità del lavoro.[…] La tesi della distribuzione secondo i bisogni non è meno irrealizzabile.[…] A ciascuno secondo i propri bisogni voi dite; ma cosa costituisce un bisogno? Ciò che ogni individuo dichiarerà?[…] O sarà il Potere competente a incaricarsi di definire il bisogno? Potete immaginare una tirannica dittatura più temibile?
È una profezia di una lucidità incredibile, che fa pensare al comunismo ma anche ad alcune proposte attuali, che partono da una volontà sacrosanta di ridurre gli sprechi e gli scarti dell’iperconsumo ma poi vagheggiano entità verticistiche che stabiliscano quanto e come consumare, riecheggiando pretese sinistre e giacobine; ma ancora, Mazzini in questi articoli rivendica la validità, anche per un uomo democratico e di sinistra, di istituzioni che una stupida retorica ha liquidato come “reazionarie”, ma che sono in realtà entità naturali, costitutive di ogni società umana. Scrive a proposito di famiglia, patria e proprietà:
Io non amo la famiglia egoista che fonda il benessere dei suoi membri sull’antagonismo, o sull’indifferenza per il benessere altrui[…], ma chi non amerà la famiglia che, prendendo la sua parte nell’educazione del mondo, considerandosi come il germe, come il primo frutto della nazione, sussurra, tra il bacio della madre e la carezza del padre, la prima lezione di cittadinanza del bambino? Io aborro la nazione che usurpa e monopolizza, che concepisce la propria grandezza e la propria forza solo sull’inferiorità e povertà degli altri; ma chi non saluterebbe con entusiasmo e amore quel popolo che, comprendendo la propria missione nel mondo, fondasse la propria sicurezza sul progresso di tutto ciò che lo circonda[…]? Sicuramente non vedo con favore la proprietà dell’uomo ozioso[…]; ma ritengo che la proprietà, come segno e frutto del lavoro, sia buona e utile; vedo in essa il simbolo rappresentativo dell’individualità umana nel mondo materiale[…]”.
Ma la cosa forse più attuale di Mazzini, la cosa che forse riguarda di più il nostro mondo di oggi, che vive grandi disuguaglianze ma anche grandi oasi di benessere ed opulenza, è la critica di quella che oggi si chiama la “sinistra dei diritti”.
Mazzini contesta l’idea, in fondo utilitaristica (e borghese, nel senso peggiore di questo termine) che il fine ultimo della lotta per la democrazia debba essere ottenere la maggior quantità di diritti civili per ciascuno. Mazzini ripete più volte che la libertà non è un fine, ma un mezzo; ma che dopo aver dato la libertà ai cittadini occorre anche creare un orizzonte condiviso in cui vivere, dei fini comuni verso cui tendere. I diritti civili hanno senso solo se affiancati ad una seria consapevolezza sociale, altrimenti la politica si riduce solo a concessione esasperata di diritti ad individui che badano solo alla loro parte, che ritengono di avere diritti senza doveri, onori senza oneri. Scrive Mazzini, precorrendo con sorprendente preveggenza l’odierna retorica dei diritti e della libertà:
Se da questa alta sfera […] voi fate scendere la Democrazia sull’augusta arena delle tendenze individuali, dandole come mezzo i diritti individuali, come fine una mera teoria della libertà;[…] voi convertite la natura onnicomprensiva, onnisantificante della Democrazia in qualcosa di reazionario ed ostile, voi distruggete l’organicità del suo pensiero, i suoi istinti meramente sociali, i suoi desideri di educazione generale […],a beneficio di non so quale sistema anarchico[…] in cui l’uomo[…] cadrà gradatamente negli abissi dell’egoismo.
In un’epoca come la nostra, in cui la sinistra si è decomposta perché, accanto alle battaglie giuste per i diritti individuali, non ha saputo proporre nessun modello serio di società, di comunanza di valori, prospettive ed intenti, quanto sarebbe stato utile avere presente Mazzini? Ma ancora di più: osserviamo che Mazzini, nel suo percorso politico ed esistenziale, incarna perfettamente quello che è sempre stato il paradosso della sinistra italiana, che nacque nel Risorgimento ma poi attraversò tutto il novecento, passando da Gramsci a Turati, da Togliatti a Berlinguer, ma perfino dagli ultimi e più fiacchi Bersani e Vendola.
Da un lato, infatti, l’uomo di sinistra vuole una sinistra democratica, e quindi trasversale, popolare, che si faccia capire anche al popolano e all’operaio; dall’altro però un certo intellettualismo, di marca illuministica, ed ultimamente un certo snobismo colto, lo porta sempre a rivendicare la sua diversità e la sua estraneità rispetto al popolo, ai sentimenti diffusi, alla maggioranza. Da un lato si vuole una rivoluzione trasversale e di massa; dall’altro si rifiuta la massa per approdare ad una riflessione amara, solitaria e minoritaria. È la schizofrenia della sinistra esemplificata da Nanni Moretti, per cui “siamo diversi, ma uguali agli altri”; siamo come tutti, però ci piace sentirci un po’ migliori, inaccessibili e distanti. Il partito della Nazione resta partito della Fazione, della setta, della nicchia sofisticata.
In realtà Mazzini non ebbe mai nessun vezzo snob, né alcun paternalismo intellettuale, però, per un gioco del destino, finì i suoi giorni in esilio, le sue istanze restarono minoritarie ed inascoltate: Garibaldi consegnò il Sud Italia al Re e allo stato liberale, e la creazione della repubblica democratica e del suffragio universale fu posticipata di un secolo. L’Unità sorse a sinistra ma si compì a destra. Però guardando Mazzini vediamo il modello di un uomo di una rettezza e di una coerenza straordinari, che giganteggia rispetto ai politici, prima livorosi e cinici, ed ultimamente ipocriti e debosciati, che monopolizzarono la sinistra italiana dopo di lui. Chissà che il suo messaggio, obliato in passato, non possa essere finalmente udito in futuro.
fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/filosofia/mazzini-padre-della-sinistra-che-non-fu/
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