Francia: le lezioni del primo turno
La delusione per il risultato di Macron, che, come servitore dell’oligarchia finanziaria, in un mondo ideale non sarebbe dovuto andare al di là dell’1% dei consensi, potrebbe impedire di vedere gli importanti cambiamenti politici sui quali Sapir dirige l’attenzione: scompare il bipolarismo francese in cui due partiti fingevano di duellare, perché non solo si disfa un altro pezzo della sinistra europea traditrice dei popoli e dei lavoratori, ma subisce una sconfitta decisiva la stessa destra tradizionale; soprattutto, si impone nei partiti e tra gli elettori il tema del sovranismo…
Le lezioni del primo turno
di Jacques Sapir
25 aprile 2017
Traduzione di Paolo Di Remigio
Il primo turno delle elezioni presidenziali nel 2017 sembra ripetere quello del 2002. Per la seconda volta il candidato del Fronte Nazionale è passato al secondo turno. Ma le somiglianze si fermano qui. Abbiamo a che fare con una situazione del tutto differente. Da questo punto di vista i ricordi del passato, anziché chiarire il presente, lo oscurano.
Verso il quadripartitismo?
Innanzitutto conviene prendere atto della completa esplosione dello spazio politico francese. In un sistema che tende istituzionalmente al bipartitismo, e qui il sistema elettorale (lo scrutinio a doppio turno) gioca un ruolo importante, a volte si poteva verificare l’irruzione di un terzo partito. Tale era stata la situazione del 2002 o del 2007 con il buon risultato di Bayrou. Ma oggi siamo di fronte a una forma di quadripartitismo. Infatti, se Emmanuel Macron e Marine Le Pen si sono qualificati per il secondo turno, essi sono seguiti da vicino da François Fillon e da Jean-Luc Mélenchon. Già da questo punto di vista la situazione politica si annuncia molto differente. Essa si combina inoltre con la disfatta storica del P“S”, retrocesso al risultato irrisorio del candidato della SFIO (Gaston Deferre) alle elezioni presidenziali del 1969. Questa disfatta fa da eco all’emergere di Jean-Luc Mélenchon, che con 19,2% dei suffragi espressi realizza un risultato senza precedenti che rende ancora più crudele il confronto con l’irrisorio 6,2% di Benoît Hamon. Ma questa disfatta ha la sua corrispondenza a destra. Anche se ottiene un risultato non disprezzabile di più del 19,5%, per la prima volta nella quinta Repubblica il partito che si richiama all’eredità del generale De Gaulle pur avendo dilapidato e sfigurato questa eredità, non parteciperà al secondo turno delle elezioni presidenziali. Questo è senza precedenti. È la fine della quinta Repubblica. François Fillon sarà stato l’affossatore della propria corrente.
Un altro fattore va preso in considerazione. Nel 2002 il successo di Jean-Marie Le Pen era giunto di sorpresa. Oggi abbiamo avuto Marine Le Pen in testa alla classifica da più settimane. Il Fronte Nazionale è arrivato tra i primi in numerose elezioni dopo il 2012. Gli elettori hanno votato sapendolo, dunque hanno diviso le loro scelte, prova che Marine Le Pen non atterrisce più, almeno non quanto suo padre. Il cambiamento di discorso, ma anche di atteggiamento del FN vale per molti. Parlare a suo proposito di “partito fascista” o “dell’odio” non ha molto senso, e dimostra uno snaturamento completo delle parole e dei concetti, anche se si possono criticare le sue proposte, in particolare ciò che concerne l’abolizione del diritto di suolo. Ricordiamo alle nostre care “coscienze indignate” che questa è la posizione ufficiale della CDU-CSU della signora Merkel e dei suoi alleati. Anche quando dice che la sicurezza sociale appartiene ai francesi la signora Le Pen si inganna. La sicurezza sociale, finanziata dai contributi dei salariati e degli imprenditori, appartiene ai lavoratori senza distinzioni di nazionalità. Conviene ricordarlo. Ma conviene anche dire che ciò non è più grave della pretesa che questi contributi siano dei “pesi” per le imprese e non dei contributi legati alla necessità di assicurare mano d’opera in buona salute, un errore commesso comunemente dalla élite liberale e da Emmanuel Macron.
Tutte queste ragioni svuotano di senso l’appello a un sedicente “fronte repubblicano”. Infatti, bisogna ammetterlo, questo discorso, sbagliando bersaglio, non potrà più mobilitare nessuno. Si vede fin troppo bene che serve di copertura al grande banchetto di tutti quelli che “vanno a pranzo”, per riprendere un’espressione del generale De Gaulle.
La ripartizione dei voti
È anche importante vedere da dove provengano i voti. Da questo punto di vista, la mappa dei risultati del primo turno del 23 aprile corrisponde ampiamente, ma non totalmente, a quello che Christophe Guilluy chiama la “Francia periferica”. Non totalmente, perché si vede che in certe regioni “periferiche” persistono tracce di memoria. Così le zone rurali del Limousin continuano a tenere viva la memoria della resistenza (e del suo capo locale Georges Guingouin). Si potrebbero trovare altri esempi. Nondimeno, si vede una netta divisione tra la Francia “delle metropoli”, con un forte “effetto litorale” (a parte nel sud), e la Francia cosiddetta “periferica”. La trasformazione del Fronte Nazionale in partito dominante nei piccoli paesi e nelle campagne è evidente, anche se il fenomeno va oltre questo; anche il peso della disoccupazione e della deindustrializzazione è uno dei fattori del suo radicamento. L’ho detto e l’ho ripetuto dal 2012. L’aumento del FN corrisponde punto per punto ai disastri della mondializzazione e dell’euro.
Grafico 1
Un’altra dimensione importante è la questione sociale, evidentemente ben legata con questa dimensione geografica. Si constata che la signora le Pen ha tra i suoi elettori una forte concentrazione di persone dai redditi modesti e molto modesti. Sembra aver riportato un risultato del 34% nella classe lavoratrice, ciò che la mette in prima posizione, seguita immediatamente anche qui da Jean-Luc Mélenchon. È d’altronde una caratteristiche che condivide con Jean-Luc Mélenchon. Al contrario, l’elettorato di Emmanuel Macron presenta una forte concentrazione di redditi alti e molto alti, una caratteristica che condivide, ma in misura minore, con l’elettorato di François Fillon.
Ma la composizione sociologica di un elettorato non è tutto. È altrettanto importante il discorso portato avanti dal candidato. Da questo punto di vista, Emmanuel Macron, molto più che con la concentrazione degli ambienti agiati nel suo elettorato, si svela con l’annuncio della sua volontà di rafforzare considerevolmente la “loi travail”, legge che aveva suscitato proteste molto forti nella primavera 2016, e con l’annuncio che intende farlo per decreto. La pratica dei decreti, proprio come quella del 49.3, quando è applicata all’ambito sociale, provoca un indurimento considerevole delle relazioni sociali. Questo, insieme alla prospettiva di riduzione del numero degli impiegati, insieme all’accento posto sull’austerità di bilancio che può accompagnarsi con regali alle grandi imprese (come nel caso del credito di imposta per la competitività e l’impiego, o CICE, che è costata 30 miliardi allo Stato nel 2014 e 2015), mostra la vera natura della candidatura Macron. Occorre dirlo senza esitazione: votare Macron significa esprimere un vero voto di classe, un voto reazionario nel senso più letterale del termine.
Si comprende allora l’atteggiamento degno e responsabile di Jean-Luc Mélenchon, che ha deciso di non unire la sua voce alla muta urlante del sedicente “fronte repubblicano” e che preferisce consultare i suoi militanti. È chiaro che si sviluppa un comportamento, “l’appellismo”, che corrisponde alla malattia senile di una classe politica che guaisce …
Una vittoria culturale per le idee sovraniste?
Ma c’è un’altra lezione importante che si può trarre dallo scrutinio di domenica 23 aprile. Se si consultano i risultati quasi definitivi del primo turno (metropoli e oltre-mare), si constata che i differenti programmi sovrani presentati da cinque candidati hanno ottenuto praticamente il 47% dei suffragi.
Tavola 1
Risultati definitivi
metropoli e oltremare
E. Macron 23,75%
M. le Pen 21,53%
F. Fillon 19,91%
J-L Mélenchon 19,64%
B. Hamon 6,35%
N. Dupont-Aignan 4,75%
J. Lassalle 1,22%
P. Poutou 1,10%
F.Asselineau 0,92%
N. Arthaud 0,65%
J.Cheminade 0,18%
Sovranisti 46,84%
Fonte: Ministero dell’Interno
Un risultato importante. Infatti si può pensare che alcuni tra gli elettori di François Fillon condividano idee sovraniste, ciò che fa pensare che si è probabilmente al 50% o al di sopra. Ben inteso, i programmi differiscono nella loro incisività sovranista proprio come sono differenti nell’ambito sociale. Se li si classifica da 10 a -10 su queste due scale, considerando che il punto zero rappresenta la continuità assoluta con la posizione attuale, si ottiene il grafico seguente:
Grafico 2
Ripartizione dei candidati in funzione della sovranità e del programma sociale
Questo grafico indica una forte polarizzazione dell’elettorato (e della società) francese, una polarizzazione non più lungo il riferimento classico “destra-sinistra” ma attorno a due questioni essenziali, che sono la sovranità e il programma sociale. Questo potrebbe indicare che la battaglia culturale sia stata vinta dalle idee sovraniste. Ciò che rafforza questa interpretazione è l’intervento fatto davanti alle telecamere della televisione da Emmanuel Macron la domenica sera del 23 aprile alle 22.30 circa. Nel suo intervento ha menzionato a due riprese la parola “patriota”. Il fatto che si sia sentito in obbligo di riprendere elementi del discorso che avevano tenuto a livelli diversi la signora Marine le Pen, i signori Mélenchon, Dupont-Aignan e Asselineau, e questo mentre è evidente che non ne condivide nulla, mostra che queste idee sono in procinto di diventare dominanti. Nella situazione attuale è un fattore di speranza per il futuro.
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