Stoicamente

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  1. stefano.dandrea ha detto:

    Bello!

    Però è diffuso un significato lato dell'aggettivo stoico, altamente positivo. Due esempi:

    1) "A Leningrado, come a Stalingrado, contarono il valore e la stoica abnegazione dei civili e delle autorità locali, qui rappresentate dall'onnipresente segretario del PCUS Ždanov, fautore di una mobilitazione totale delle masse lavoratrici: soldati e cittadini difesero la propria amata città sopravvivendo con razioni alimentari dieci volte inferiori a quelle normali" (L'assedio di leningrado, http://www.museodiffusotorino.it/focus_evento.aspx?id=383 );

    2) "L’Avezzano non si distrae e ricomincia immediatamente a martellare la stoica difesa del Colleferro che però capitola al 32’" (Commento alla partita di Rugby Colleferro-Avezzano, conclusasi, purtroppo, con la vittoria del Colleferro per 12 a 10: http://www.colleferrorugby.it/Notizia.asp?notizia=554 )

    2)

  2. Luciano Fuschini ha detto:

    Se stoicismo fosse sinonimo di fatalismo, Tonguessy avrebbe perfettamente ragione. Ma stoicismo è anche e soprattutto un atteggiamento di distacco e di dominio di sé che consente di affrontare le vicende della vita con fermezza d'animo, senza abbattersi né esaltarsi. Non c'è contraddizione fra la consapevolezza che tutto è già scritto e l'impegno soggettivo nel mondo, perché quel copione già scritto implica anche il nostro operare attivo. Lo stoico sa che l'esito del suo impegno nel mondo è già stabilito dall'eternità, ma sa anche che il suo dovere è operare responsabilmente nel tempo che gli è dato, nel qui e ora della sua condizione esistenziale e sociale.

  3. Tonguessy ha detto:

    @Stefano:

    il fatto che per stoica abnegazione si intenda il sottomettersi ad una qualche volontà superiore (ma COLLETTIVA, come il tentativo di sopravvivere TUTTI a Stalingrado, con tassi di mortalità enormi tra gli adulti che preferivano morire di fame e dare quel poco che c'era ai figli, e fucilare chi "faceva il furbo") è un fatto da sempre presente nell'Umanità ben prima che gli stoici se ne impossessassero. Ci si sacrifica per la collettività. Individui appartenenti a società che non siano arroganti e intrise di liquami metafisici (il Dio Mercato) come l'attuale l'hanno sempre fatto e ben prima di Seneca. Il fatto che tali episodi vengano ascritti nell’alveo dello stoicismo dimostra la tesi secondo cui la cultura esalta ciò che gli è congeniale, scartando tutto il resto. Niente epicurea resistenza,ad esempio.

    La differenza tra i cittadini di Stalingrado e i gesuiti semmai sta nell'egoismo o nell'altruismo. Mi spiego. Se i cittadini sotto l'assedio nazista non avessero deciso che l'unico modo per uscirne era rimanere compatti con un piano ben stabilito su come sopravvivere, gli avvenimenti (e forse anche la SGM) avrebbero preso una piega ben diversa. Non rimisero la loro volontà nelle mani di una qualche entità superiore. Tentarono, riuscendoci nonostante le pesantissime perdite, di sopravvivere. Ciò che fecero le fecero per loro stessi e per i loro figli.

    Viceversa i gesuiti non hanno nulla da difendere che non sia la struttura gerarchica cui appartengono e cui devono obbedienza cieca. Sono altruisti. Fanno cioè gli altrui interessi. 

    Quello che mi premeva sottolineare è che mentre si dà per scontato che l'atteggiamento stoico sia POSITIVO COMUNQUE, in una parte sostanziosa dei casi è un abdicare ai propri diritti di lottare per favorire gli interessi della struttura culturale e materiale cui si appartiene. Il cane che non si ribella al carro cui è legato, ma ne asseconda il cammino, ovvero la schiavitù di Epitteto vissuta come il frutto di una volontà superiore cui non ci si oppone. I libici (cani) che accolgono stoicamente i bombardamenti (carro) in quanto segno della volontà divina, se preferisci.

    @Luciano

    Ben prima degli stoici Epicuro (ad es.) aveva fondato il proprio insegnamento sull'atarassia, ovvero il distacco verso gli accadimenti. Atarassia (o piacere catastematico) è ben diversa da apatia, ovvero passiva obbedienza. Epicuro insegna a regolare la propria esistenza non su entità superiori (dimostra che gli dei se ne stanno per fatti loro e non hanno alcun interesse per le vicende umane) ma sul proprio piacere inteso come mancanza di paura.

    Curiosa poi l'affermazione secondo cui gli avvenimenti sono già "stabiliti dall'eternità" ma occorre operare nel tempo. Il tempo è una frazione minima dell'eternità. Cosa può voler mai dire "operare nel tempo" quando l'eternità (entità metafisica che viene normalmente associata a Dio) ha già deciso tutto? 

  4. stefano.dandrea ha detto:

    Tonguessy,

    ho molto ammirato questa serie di scritti e vorei avere il tempo che non ho per andare a rileggere qualche pagina di filosofia e storia della filosofia per sottoporre ad un'analisi più consapevole le tue. Purtroppo per ora non ho il tempo. E allora ti illustro le mie "impressioni".

    Su egoismo e altruismo credo che tu abbia ragione, in linea di principio e anche ad un livello più basso di corollari. C'è soltanto il bisogno di tracciare alcuni confini.  Tanto più che l'egoista deve essere anche cinico. Gli eroi romantici che morivano per la edificazione di un progetto ideale rischiano di stare nella parte del torto e di apparire o come sciocchi altruisti o come egoisti (ma la parola davvero si attaglia male) non cinici (almeno in molti casi). Poi stai attento ai cinici. Io li conosco. Sono così quasi tutti gli uomini di potere (salvo qualcuno che si è trovato catapultato al potere "senza meriti", ossia senza aver sopportato "stoicamente" soprusi, violenze e capi imbecilli). I cinici sono cinici sempre. Qualcuno per carattere è più aggressivo. Ma in linea di principio nessuno di loro è coragggioso. Sono volpi e non leoni. E alla fine nessuno crede in niente. Annusano sempre. Vivono annusando. E diventano sospettosi fino alla malattia. Insomma, credo che tu sia sulla buona strada ma debba tracciare con mano più ferma i confini.

    Quanto al sopportare "stoicamente", nelle carriere politiche o accademiche o aziendali, si tratta di grande virtù (salvo che uno decida di non far carriera). In realtà l'avverbio, se applicato fino in fondo, cancella il verbo. L'atteggiamento stoico elimina la sopportazione. Nell'ultima tornata concorsuale sono stato fatto fuori mentro sono passati o stavano per passare membri della mia scuola (o cordata, fai come vuoi), che secondo tutti i criteri "logici" (esclusa la disciplina, perché io sono indisciplinato) avrebbero dovuto attendermi. Mi è stato dato atto che hanno molto apprezzato la mia reazione (ho amici che si sono depressi e hanno preso psicofarmaci e comunque non hanno dormito per mesi). In effetti, trascorse quarantotto ore, non ho sofferto. Ho pazienza; do importanza alla ricerca e alla didattica; sceglo i miei argomenti; mi dedico anche ad altro; ma non rinuncio. Insomma senza rinunciare in modo epicureo, si ppuò perseguire un obiettivo vivendo stoicamente. Anche qui credo che tu debba tracciare i confini. La tua è certamente una interpretazione parziale – tutte le interpretazioni lo sono. Ma fatta la scelta e svolti i principali corollari, poi è tempo delle rifiniture (non a caso, credo, la parola contiene in sé la radice di confini). La scelta si può fare con la scure; per i corollari basta il rigore del ragionamento (diciamo la spada); per completare il lavoro e tracciare i confini, o anche soltanto relativizzare le conclusioni, è necessario il fioretto.

  5. Tonguessy ha detto:

    Caro Stefano,

    il problema che hai sollevato è enorme, e di impossibile soluzione, credo.

    In sintesi chiedi di chiarire una volta per tutte se un cinico (cito a caso) sia effettivamente quello che conosci tu o quello che descrivo io. Vuoi cioè una Verità che sia universalmente accettata. Purtroppo non esiste nessuna descrizione che sia Vera in quanto Reale. Per essere Reale deve comprendere TUTTE le sfaccettature che la Realtà offre. Una descrizione, purtroppo, ne afferra solo alcune. Ed è un gran bene che sia così. Perchè ci lascia liberi di reinterpretare, di discutere come stiamo facendo, di provare nuove posizioni da cui vengono offerte nuove visuali.

    Il vero problema, in sintesi, è la comunicazione ovvero il linguaggio. E' tutto necessariamente approssimativo. Le cose sono ciò che sono (la tautologia è l'unica verità, parrebbe), ma diventano qualcos'altro appena le descrivi. Se ti dico di pensare a una sedia, penserai sicuramente ad una sedia diversa da quella cui penso io. Qui sta l'errore. Non esiste una "sedia universale" cui tutti noi facciamo riferimento. Esistono solo delle sedie personali, quelle sedie che abbiamo visto e su cui ci siamo seduti e che si sono fissate nel nostro immaginario. Eppure con la parola sedia suscitiamo un'immagine comunicativa sensata. Questa è l'impossibile guerra tra universali e particolari. Non ci saranno mai nè vincitori nè vinti.  

    Proprio per questi motivi non esistono solo i cinici che conosci tu nè i quelli che descrivo io. Esiste però un tentativo, che ho denunciato in questo articolo. Ovvero tentare di spacciare per cinico tutto ciò che è contrario alla cultura attuale, e per stoico tutto ciò che è invece favorevole. Perchè il cinico Diogene di Sinope ebbe il coraggio di dire ad Alessandro il Grande di togliersi di mezzo che la sua ombra gli toglieva il sole, mentre Ignazio di Loyola non dirà mai al Papa di fare alcunchè, avendogli lui giurato obbedienza incondizionata. E adesso prova a dire se i cinici che conosci tu siano più simili a Diogene o a Loyola nei loro rapporti col potere. O non sia stato fatto, piuttosto, un vocabolario ad hoc per incensare chi obbedisce e scoraggiare chi agisce egoisticamente.  Meglio un popolo stoico o un popolo cinico?

  6. Luciano Fuschini ha detto:

    Tonguessy, cogli esattamente il nocciolo della questione quando scrivi che l'eterrnità è un'entità metafisica che viene associata a Dio. Per polemizzare con gli stoici occorre comprendere il loro punto di vista, che è quello di chi crede in un Dio creatore. Quel Dio esiste fuori dal tempo, nella Sua ottica tutto è eterno presente e in questo senso tutto è già determinato ab aeterno. Noi operiamo nel tempo terreno, siamo liberi di fare scelte che sono però determinate nel senso che Dio, l'Osservatore fuori dal tempo, sa fin dall'eternità quale ne sarà l'esito. Questa logica appare pazzesca ai materialisti ma non lo è per i credenti e non lo era per gli stoici.

  7. Tonguessy ha detto:

    Dovrei quindi credere in Dio per polemizzare con gli stoici? Ne sento proprio l’impellente bisogno…
    Ripropongo il ragionamento di Epucuro sugli Dei. Può tornare utile per inquadrare la questione.
    Dio non vuole il male ma non può evitarlo (Dio risulterebbe buono ma impotente, non è possibile).
    Dio può evitare il male ma non vuole (Dio risulterebbe cattivo, non è possibile).
    Dio non può e non vuole evitare il male (Dio sarebbe cattivo e impotente, non è possibile).
    Dio può e vuole; ma poiché il male esiste allora Dio esiste ma non si interessa dell’uomo. Questa è la conclusione che Epicuro considera vera: gli dèi sono indifferenti alle vicende umane e si chiudono nella loro perfezione.

    Se poi vogliamo parlare di “esito”, occorre chiarire che tale conclusione necessita di premesse e svolgimenti: tutte cose estranee, come abbiamo visto, alle vicende divine ed invece perfettamente consone a quelle umane. Meglio quindi non agitare troppo le acque, a attenersi alla propria volontà come metodo di cura. Gli dei delle cure se ne fregano.

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