Stoicamente
La cultura è quel mezzo che sceglie e sostiene ciò che interpreta con successo le relazioni di un'etnia o gruppo sociale con la Realtà (qualsiasi cosa ciò voglia dire). Ogni cultura è un sistema ovviamente aperto (innumerevoli sono le fonti di inquinamento) e quindi dotato di difese tali da renderlo sostanzialmente chiuso. La logica che ogni cultura sottende è di sbarazzarsi senza troppi complimenti di tutto ciò che la mina ed enfatizzare invece tutto ciò che aumenta il grado di sicurezza del sistema.
Questo pedante preambolo serve ad inquadrare le varie correnti filosofiche ed il loro “grado di gradimento” espresso all'interno di un sistema culturale. Ho accennato nei miei due ultimi articoli [1 e 2] come possano essere interpretati in modo diverso due concetti antitetici come l'egoismo e l'altruismo. Intendo agganciarmi a quest'ultimo concetto e trovare quelle basi filosofiche che, unite alla solita propaganda, fanno emergere un movimento di idee mentre ne affossano altri.
Oggi cinismo, sofismo e nichilismo sono concetti con connotazioni ampiamente negative, anche se ad un'analisi meno superficiale sanno offrire stimolanti riflessioni sui rapporti sociali, ed interessanti modelli comportamentali. Che però mettono in crisi quella serie di valori su cui si fonda la nostra cultura, ergo la necessità di costruire attorno a cinici, sofisti e nichilisti un'aura di sospetto e pregiudizio.
Al contrario lo stoicismo viene comunemente visto come un valore positivo all'interno della nostra cultura, qui intesa come determinismo ideologico che genera strutture mentali e sociali all'interno delle quali solo certe proposte attecchiscono mentre altre vengono fatte languire.
Sopportare stoicamente le ingiustizie fa il paio con aderire all'Amore Universale. Si salta a piè pari tutta la questione della dialettica sociale e si arriva ad una suprema Giustizia Divina che, a tempo debito, sistema quanto di ingiusto si è subìto in vita. Lo schiavismo, la vita di soprusi, contrapposto all'Amore Universale che premia nell'aldilà chiunque vi aderisca. L'ipotetico Regno dei Cieli (che si disinteressa dello schiavismo nell'aldiquà) messo a confronto con la possibilità di un Paradiso Terrestre, ovvero un posto senza schiavismo: questo lo scontro in atto. Non è quindi un caso che il periodo più fulgido dello stoicismo coincida con l'avvento del cristianesimo: Seneca, Marco Aurelio ed Epitteto.
Ora mi risulta sufficientemente comprensibile il motivo per cui un imperatore, o un suo protetto, abbia a cuore la soluzione dei problemi sociali in altolocata sede, ben al di fuori dell'arena politica dove ci si gioca la propria reputazione e, alle volte, anche la propria testa. Molto più incomprensibile è invece l'atteggiamento di chi, schiavo come Epitteto, parli di una importantissima “libertà interiore” in contrapposizione all'assoluta mancanza di “libertà esteriore” che diventa un fattore irrilevante .
“Sopporta ed astieniti” è il suo più famoso aforisma, ed è un invito ad accogliere serenamente quel che riserva il destino, fosse anche la schiavitù o la fame.
Questo è anche il senso della famosa metafora stoica che paragona la relazione uomo-Universo a quella di un cane legato ad un carro. Il cane ha due possibilità: seguire armoniosamente la marcia del carro o resisterle. La strada da percorrere sarà la stessa in entrambi i casi; ma se ci si adegua all'andatura del carro, il tragitto sarà armonioso. Se, al contrario, si oppone resistenza, la nostra andatura sarà tortuosa, poiché saremo trascinati dal carro contro la nostra volontà. L'idea centrale di questa metafora è espressa in modo sintetico e preciso da Seneca, quando sostiene: «Ducunt volentem fata, nolentem trahunt» («Il destino guida chi lo accetta, e trascina chi è riluttante»). [3]
Insomma non vi è motivo alcuno, secondo la dottrina stoica, di ribellarsi o di opporre fiera resistenza agli umani accadimenti dato che nulla avviene per caso, e tutto accade secondo ragione. E' quindi di gran lunga preferibile l'apatia (qui neanche l'atarassia o piacere catastematico va bene agli stoici) ovvero la vittoriosa lotta contro quelle passioni che vorrebbero, magari, una vita migliore.
Tale stato di apatia viene acquisito attraverso la Diairesi che, in estrema sintesi, è quel modo istituito da Platone per mettere in luce la propria personalità borderline, scindendo parti del Sé ovvero enfatizzandone alcuni aspetti a discapito di altri. Con buona pace dell'Uno indivisibile di Parmenide.
"Solo l'uomo educato ad usare la diairesi è libero" ci ammonisce Epitteto.
Si inizia con un "Domani devo essere inevitabilmente imprigionato. Dovrò anche lamentarmi? " per arrivare ad uno spettacolare esercizio di schizofrenia del tipo “Tu butterai in prigione il mio corpo, non certo me” [4] che lascia presagire senza incertezze una “vita altra” al di fuori di quella terrena (alquanto poco considerata) esercitata attraverso l'uso del corpo fisico.
L'apatia è anche, guarda caso, l'obbedienza cieca dei monaci nei confronti del superiore, la loro rinuncia al libero arbitrio. O il voto di sottomissione al papa della Compagnia di Gesù secondo la formula perinde ac cadaver, "come se fosse un cadavere". Il manuale di Epitteto sarà fonte preziosa per i gesuiti. Ignazio di Loyola ne trarrà spunto per i suoi “esercizi spirituali” dove si può leggere “È perciò necessario renderci liberi rispetto a tutte le cose create … in modo che, da parte nostra, non vogliamo più salute che malattia, ricchezza che povertà, onore che disonore, vita lunga che breve, e così via in tutto il resto.”[5]
Figuriamoci la lotta di classe dove va a finire, secondo questi precetti.
Anche il gesuita Matteo Ricci è convinto della bontà della morale stoica al punto di tradurre il Manuale di Epitteto in cinese per farla conoscere nei luoghi della sua missione.
Per ritornare al preambolo iniziale: dovrebbe a questo punto risultare chiaro perchè nel nostro vocabolario sofista, cinico e nichilista hanno una connotazione negativa, mentre stoico è sinonimo di coraggioso.
Bel coraggio la rinuncia al libero arbitrio!
Quale altruismo!
[1]https://www.appelloalpopolo.it/?p=4156
[2]https://www.appelloalpopolo.it/?p=4249
[3]http://it.wikipedia.org/wiki/Stoicismo
[4]http://www.epitteto.it/Filosofia.asp
[5]http://www.gesuiti.it/linguaggi/129/190/873/192/779/schedabase.asp
Bello!
Però è diffuso un significato lato dell'aggettivo stoico, altamente positivo. Due esempi:
1) "A Leningrado, come a Stalingrado, contarono il valore e la stoica abnegazione dei civili e delle autorità locali, qui rappresentate dall'onnipresente segretario del PCUS Ždanov, fautore di una mobilitazione totale delle masse lavoratrici: soldati e cittadini difesero la propria amata città sopravvivendo con razioni alimentari dieci volte inferiori a quelle normali" (L'assedio di leningrado, http://www.museodiffusotorino.it/focus_evento.aspx?id=383 );
2) "L’Avezzano non si distrae e ricomincia immediatamente a martellare la stoica difesa del Colleferro che però capitola al 32’" (Commento alla partita di Rugby Colleferro-Avezzano, conclusasi, purtroppo, con la vittoria del Colleferro per 12 a 10: http://www.colleferrorugby.it/Notizia.asp?notizia=554 )
2)
Se stoicismo fosse sinonimo di fatalismo, Tonguessy avrebbe perfettamente ragione. Ma stoicismo è anche e soprattutto un atteggiamento di distacco e di dominio di sé che consente di affrontare le vicende della vita con fermezza d'animo, senza abbattersi né esaltarsi. Non c'è contraddizione fra la consapevolezza che tutto è già scritto e l'impegno soggettivo nel mondo, perché quel copione già scritto implica anche il nostro operare attivo. Lo stoico sa che l'esito del suo impegno nel mondo è già stabilito dall'eternità, ma sa anche che il suo dovere è operare responsabilmente nel tempo che gli è dato, nel qui e ora della sua condizione esistenziale e sociale.
@Stefano:
il fatto che per stoica abnegazione si intenda il sottomettersi ad una qualche volontà superiore (ma COLLETTIVA, come il tentativo di sopravvivere TUTTI a Stalingrado, con tassi di mortalità enormi tra gli adulti che preferivano morire di fame e dare quel poco che c'era ai figli, e fucilare chi "faceva il furbo") è un fatto da sempre presente nell'Umanità ben prima che gli stoici se ne impossessassero. Ci si sacrifica per la collettività. Individui appartenenti a società che non siano arroganti e intrise di liquami metafisici (il Dio Mercato) come l'attuale l'hanno sempre fatto e ben prima di Seneca. Il fatto che tali episodi vengano ascritti nell’alveo dello stoicismo dimostra la tesi secondo cui la cultura esalta ciò che gli è congeniale, scartando tutto il resto. Niente epicurea resistenza,ad esempio.
La differenza tra i cittadini di Stalingrado e i gesuiti semmai sta nell'egoismo o nell'altruismo. Mi spiego. Se i cittadini sotto l'assedio nazista non avessero deciso che l'unico modo per uscirne era rimanere compatti con un piano ben stabilito su come sopravvivere, gli avvenimenti (e forse anche la SGM) avrebbero preso una piega ben diversa. Non rimisero la loro volontà nelle mani di una qualche entità superiore. Tentarono, riuscendoci nonostante le pesantissime perdite, di sopravvivere. Ciò che fecero le fecero per loro stessi e per i loro figli.
Viceversa i gesuiti non hanno nulla da difendere che non sia la struttura gerarchica cui appartengono e cui devono obbedienza cieca. Sono altruisti. Fanno cioè gli altrui interessi.
Quello che mi premeva sottolineare è che mentre si dà per scontato che l'atteggiamento stoico sia POSITIVO COMUNQUE, in una parte sostanziosa dei casi è un abdicare ai propri diritti di lottare per favorire gli interessi della struttura culturale e materiale cui si appartiene. Il cane che non si ribella al carro cui è legato, ma ne asseconda il cammino, ovvero la schiavitù di Epitteto vissuta come il frutto di una volontà superiore cui non ci si oppone. I libici (cani) che accolgono stoicamente i bombardamenti (carro) in quanto segno della volontà divina, se preferisci.
@Luciano
Ben prima degli stoici Epicuro (ad es.) aveva fondato il proprio insegnamento sull'atarassia, ovvero il distacco verso gli accadimenti. Atarassia (o piacere catastematico) è ben diversa da apatia, ovvero passiva obbedienza. Epicuro insegna a regolare la propria esistenza non su entità superiori (dimostra che gli dei se ne stanno per fatti loro e non hanno alcun interesse per le vicende umane) ma sul proprio piacere inteso come mancanza di paura.
Curiosa poi l'affermazione secondo cui gli avvenimenti sono già "stabiliti dall'eternità" ma occorre operare nel tempo. Il tempo è una frazione minima dell'eternità. Cosa può voler mai dire "operare nel tempo" quando l'eternità (entità metafisica che viene normalmente associata a Dio) ha già deciso tutto?
Tonguessy,
ho molto ammirato questa serie di scritti e vorei avere il tempo che non ho per andare a rileggere qualche pagina di filosofia e storia della filosofia per sottoporre ad un'analisi più consapevole le tue. Purtroppo per ora non ho il tempo. E allora ti illustro le mie "impressioni".
Su egoismo e altruismo credo che tu abbia ragione, in linea di principio e anche ad un livello più basso di corollari. C'è soltanto il bisogno di tracciare alcuni confini. Tanto più che l'egoista deve essere anche cinico. Gli eroi romantici che morivano per la edificazione di un progetto ideale rischiano di stare nella parte del torto e di apparire o come sciocchi altruisti o come egoisti (ma la parola davvero si attaglia male) non cinici (almeno in molti casi). Poi stai attento ai cinici. Io li conosco. Sono così quasi tutti gli uomini di potere (salvo qualcuno che si è trovato catapultato al potere "senza meriti", ossia senza aver sopportato "stoicamente" soprusi, violenze e capi imbecilli). I cinici sono cinici sempre. Qualcuno per carattere è più aggressivo. Ma in linea di principio nessuno di loro è coragggioso. Sono volpi e non leoni. E alla fine nessuno crede in niente. Annusano sempre. Vivono annusando. E diventano sospettosi fino alla malattia. Insomma, credo che tu sia sulla buona strada ma debba tracciare con mano più ferma i confini.
Quanto al sopportare "stoicamente", nelle carriere politiche o accademiche o aziendali, si tratta di grande virtù (salvo che uno decida di non far carriera). In realtà l'avverbio, se applicato fino in fondo, cancella il verbo. L'atteggiamento stoico elimina la sopportazione. Nell'ultima tornata concorsuale sono stato fatto fuori mentro sono passati o stavano per passare membri della mia scuola (o cordata, fai come vuoi), che secondo tutti i criteri "logici" (esclusa la disciplina, perché io sono indisciplinato) avrebbero dovuto attendermi. Mi è stato dato atto che hanno molto apprezzato la mia reazione (ho amici che si sono depressi e hanno preso psicofarmaci e comunque non hanno dormito per mesi). In effetti, trascorse quarantotto ore, non ho sofferto. Ho pazienza; do importanza alla ricerca e alla didattica; sceglo i miei argomenti; mi dedico anche ad altro; ma non rinuncio. Insomma senza rinunciare in modo epicureo, si ppuò perseguire un obiettivo vivendo stoicamente. Anche qui credo che tu debba tracciare i confini. La tua è certamente una interpretazione parziale – tutte le interpretazioni lo sono. Ma fatta la scelta e svolti i principali corollari, poi è tempo delle rifiniture (non a caso, credo, la parola contiene in sé la radice di confini). La scelta si può fare con la scure; per i corollari basta il rigore del ragionamento (diciamo la spada); per completare il lavoro e tracciare i confini, o anche soltanto relativizzare le conclusioni, è necessario il fioretto.
Caro Stefano,
il problema che hai sollevato è enorme, e di impossibile soluzione, credo.
In sintesi chiedi di chiarire una volta per tutte se un cinico (cito a caso) sia effettivamente quello che conosci tu o quello che descrivo io. Vuoi cioè una Verità che sia universalmente accettata. Purtroppo non esiste nessuna descrizione che sia Vera in quanto Reale. Per essere Reale deve comprendere TUTTE le sfaccettature che la Realtà offre. Una descrizione, purtroppo, ne afferra solo alcune. Ed è un gran bene che sia così. Perchè ci lascia liberi di reinterpretare, di discutere come stiamo facendo, di provare nuove posizioni da cui vengono offerte nuove visuali.
Il vero problema, in sintesi, è la comunicazione ovvero il linguaggio. E' tutto necessariamente approssimativo. Le cose sono ciò che sono (la tautologia è l'unica verità, parrebbe), ma diventano qualcos'altro appena le descrivi. Se ti dico di pensare a una sedia, penserai sicuramente ad una sedia diversa da quella cui penso io. Qui sta l'errore. Non esiste una "sedia universale" cui tutti noi facciamo riferimento. Esistono solo delle sedie personali, quelle sedie che abbiamo visto e su cui ci siamo seduti e che si sono fissate nel nostro immaginario. Eppure con la parola sedia suscitiamo un'immagine comunicativa sensata. Questa è l'impossibile guerra tra universali e particolari. Non ci saranno mai nè vincitori nè vinti.
Proprio per questi motivi non esistono solo i cinici che conosci tu nè i quelli che descrivo io. Esiste però un tentativo, che ho denunciato in questo articolo. Ovvero tentare di spacciare per cinico tutto ciò che è contrario alla cultura attuale, e per stoico tutto ciò che è invece favorevole. Perchè il cinico Diogene di Sinope ebbe il coraggio di dire ad Alessandro il Grande di togliersi di mezzo che la sua ombra gli toglieva il sole, mentre Ignazio di Loyola non dirà mai al Papa di fare alcunchè, avendogli lui giurato obbedienza incondizionata. E adesso prova a dire se i cinici che conosci tu siano più simili a Diogene o a Loyola nei loro rapporti col potere. O non sia stato fatto, piuttosto, un vocabolario ad hoc per incensare chi obbedisce e scoraggiare chi agisce egoisticamente. Meglio un popolo stoico o un popolo cinico?
Tonguessy, cogli esattamente il nocciolo della questione quando scrivi che l'eterrnità è un'entità metafisica che viene associata a Dio. Per polemizzare con gli stoici occorre comprendere il loro punto di vista, che è quello di chi crede in un Dio creatore. Quel Dio esiste fuori dal tempo, nella Sua ottica tutto è eterno presente e in questo senso tutto è già determinato ab aeterno. Noi operiamo nel tempo terreno, siamo liberi di fare scelte che sono però determinate nel senso che Dio, l'Osservatore fuori dal tempo, sa fin dall'eternità quale ne sarà l'esito. Questa logica appare pazzesca ai materialisti ma non lo è per i credenti e non lo era per gli stoici.
Dovrei quindi credere in Dio per polemizzare con gli stoici? Ne sento proprio l’impellente bisogno…
Ripropongo il ragionamento di Epucuro sugli Dei. Può tornare utile per inquadrare la questione.
Dio non vuole il male ma non può evitarlo (Dio risulterebbe buono ma impotente, non è possibile).
Dio può evitare il male ma non vuole (Dio risulterebbe cattivo, non è possibile).
Dio non può e non vuole evitare il male (Dio sarebbe cattivo e impotente, non è possibile).
Dio può e vuole; ma poiché il male esiste allora Dio esiste ma non si interessa dell’uomo. Questa è la conclusione che Epicuro considera vera: gli dèi sono indifferenti alle vicende umane e si chiudono nella loro perfezione.
Se poi vogliamo parlare di “esito”, occorre chiarire che tale conclusione necessita di premesse e svolgimenti: tutte cose estranee, come abbiamo visto, alle vicende divine ed invece perfettamente consone a quelle umane. Meglio quindi non agitare troppo le acque, a attenersi alla propria volontà come metodo di cura. Gli dei delle cure se ne fregano.