Unire i puntini: la militanza come antidepressivo
di GIANLUCA BALDINI (FSI Pescara)
In Italia il reddito familiare di un numero considerevole di individui è sostenuto dai trasferimenti pensionistici. È la condizione di molti di quei 18 milioni di italiani che l’ISTAT certifica “a rischio povertà”: persone che oggi vivono in condizioni dignitose, ma il cui reddito familiare di medio termine è a rischio – perché il pensionato che lo integra non vivrà in eterno – e che in un futuro non lontano potrebbero ampliare la platea degli individui identificati come poveri.
Le proiezioni degli istituti che monitorano i dati epidemiologici ci restituiscono una fotografia del prossimo futuro non proprio idilliaca. Nell’arco di qualche anno la malattia più diffusa nella popolazione sarà la depressione cronica e aumenterà considerevolmente l’incidenza di una serie di disturbi psicologici correlati, in particolare disturbi d’ansia (attacchi di panico, fobie, ipocondria, disturbo ossessivo-compulsivo), che comporteranno un ricorso di massa ai farmaci d’elezione per il trattamento di questi disturbi, benzodiazepine e antidepressivi SSRI.
È innegabile che l’incremento dei summenzionati disturbi sia strettamente correlato allo stile di vita che una società sempre meno umana ci impone e altrettanto innegabilmente se uniamo i puntini l’immagine che emerge è quella di almeno un paio di generazioni condannate a una mobilità discendente di massa, a un peggioramento delle condizioni economiche di partenza e all’inevitabile contraccolpo che questo deterioramento avrà sulla condizione emotiva degli individui e in ultimo sulla solidità e sulla stabilità degli equilibri familiari.
Ritengo tuttavia necessario integrare queste considerazioni scontate con un’osservazione meno banale. Non sono solo i ritmi frenetici, la crisi e l’outlook negativo a concorrere a questa ondata di depressione e nevrosi di massa. L’incapacità di reagire è figlia soprattutto dell’abulia, dell’inerzia, dell’indolenza, dell’apatia politica di una società individualista e autoreferenziale. Questa condizione in cui ci siamo volontariamente relegati, condannandoci all’isolamento e dunque all’incapacità di affrontare problemi che percepiamo più grandi di noi, è reversibile, ma richiede un cambio netto di paradigma. È necessario tornare indietro, aprirsi alla partecipazione, recuperare l’abitudine di dedicare tempo allo studio e all’analisi dei problemi della collettività e a coltivare una socialità che si prefigga il nobile fine del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico, oltre il mero consumo di aperitivi serali.
In una parola è necessario tornare a MILITARE.
La militanza politica è l’unico antidoto alla depressione ed è il contrario dell’arrendevolezza che apre le porte ai disturbi citati. Solo militando si compiono passi verso l’avanzamento di un progetto di alternativa all’esistente che non si limiti alla diagnosi della malattia o alla lamentela senza scopo. Per militare è necessario identificarsi in un partito, un’aggregazione di persone che esprima una chiara e netta visione del futuro, che si riconosca in ideali e valori comuni, che produca analisi obiettive dell’esistente e che proponga soluzioni realistiche e realizzabili ai problemi, che funga da scuola di pensiero e di azione, che organizzi incontri, confronti, banchetti, eventi, volantinaggi, che recluti un numero sempre maggiore di persone che non vogliono abbandonarsi all’isolazionismo depressivo e che si organizzi per concorrere alle elezioni politiche e amministrative per attuare il programma senza condizionamenti.
Se non volete rimanere spettatori passivi della vostra vita unitevi a noi: iscrivetevi al FSI.
Buona Liberazione. Ci libereremo, ancora.
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