Due paragrafi dai ‘Lineamenti di filosofia del diritto’
di PAOLO DI REMIGIO (FSI Teramo)
Il fascismo e il liberalismo concordano nel presupporre l’esistenza di un contrasto insanabile tra persona e potere. Il primo sceglie il potere ed esclude il pluralismo dalla società annullando la persona; il secondo sceglie la persona, per questo minimizza il potere e dissacra le leggi: come nega che esse determinino la prima natura così rifiuta la legittimità della seconda natura. È però destino delle ideologie contrastanti confluire l’una nell’altra: Popper ha subito il fascino dell’imperialismo, Von Mises, Von Hayek hanno gradito la versione liberale del fascismo.
Per occultare la loro simpatia per l’imperialismo e per il fascismo, i liberali si allontanano dalla realtà e scelgono la via della calunnia dello Stato e dei suoi teorici – Platone, Aristotele, Hegel. Così gli Stati-nazione sono ridotti ad inizio tribale della civiltà e questa è identificata con la forma di impero. La minima informazione storica mostra però che gli Stati sorgono contro gli imperi, contro i privilegi che una etnia vi gode rispetto alle altre: gli Stati rinascimentali sorgono dalla fine dell’impero medievale; gli ultimi Stati nazionali europei sorgono contro l’impero austro-ungarico, gli Stati nei continenti non europei si formano liberandosi dagli imperi coloniali. È dunque falso retrocedere lo Stato-nazione al tribalismo e pretendere che l’impero sia garanzia della persona; proprio nella sua società multiculturale si radica il razzismo che i liberali cercano di attribuire allo Stato-nazione.
La parola ‘nazionalismo’ li aiuta a creare l’equivoco: essa non indica il periodo di formazione degli Stati-nazione, non il sottrarsi di un popolo alla dipendenza imperiale, come sarebbe lecito attendersi, ma allude al periodo del tardo Ottocento, in cui alcuni Stati concorsero a procurarsi un retroterra coloniale. ‘Nazionalismo’ è dunque sinonimo di ‘imperialismo’; proiettando però sulla natura dello Stato-nazione ciò che è della natura dell’impero, questo termine toglie all’imperialismo liberale il suo impresentabile fardello e lo addossa allo Stato-nazione. Per un analogo equivoco oggi accade che gli anti-razzisti si lasciano mobilitare dall’oligarchia liberale padrona dell’impero anglo-americano nella sua impresa di destabilizzazione degli Stati europei.
Lo Stato è la soluzione del contrasto tra potere e persona, che per il fascismo e il liberalismo è insuperabile. Che coincidano nella simpatia per l’imperialismo dimostra la loro convergenza essenziale. Tale convergenza implica che il primato del potere contro la persona, di cui il fascismo è veicolo, e il primato della persona contro il potere, di cui è veicolo il liberalismo, siano concezioni mutevoli l’una nell’altra. Questa mutevolezza è la forma negativa della conciliazione tra potere e persona di cui la teoria hegeliana dello Stato, tratteggiata nei due seguenti paragrafi dei ‘Lineamenti di filosofia del diritto’[1], rappresenta il significato positivo.
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Lo Stato è l’effettività della libertà concreta[2]. La libertà concreta consiste in ciò:
che la singolarità personale e i suoi interessi particolari, mentre hanno lo sviluppo completo e il riconoscimento per sé del loro diritto (nel sistema della famiglia e della società civile),
in parte si convertono per natura propria nell’interesse dell’universale,
in parte lo riconoscono col sapere e col volere come proprio spirito sostanziale, e sono attivi in suo favore come per il loro scopo finale[3];
in modo che l’universale non valga e non sia attuato senza l’interesse, il sapere e il volere particolari, e che gli individui non vivano, come persone private, soltanto per l’interesse particolare, senza avere volontà anche nell’universale e per l’universale, e operosità consapevole di questo fine[4].
Il principio degli Stati moderni ha questa forza e profondità formidabili: lascia che il principio della soggettività si compia nell’estremo indipendente della particolarità personale e insieme lo riconduce nell’unità sostanziale, e in quell’estremo conserva questa unità[5].
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Verso le sfere del diritto privato e del benessere privato, della famiglia e della società civile, lo Stato è, da un lato, una necessità esterna e la potenza loro superiore: le loro leggi e i loro interessi sono subordinati alla sua natura e ne sono dipendenti[6];
d’altro lato, lo Stato è il loro fine immanente e la sua forza è nell’unità tra il suo scopo finale universale e l’interesse particolare degli individui, è in ciò: che gli individui hanno doveri nei suoi confronti in quanto hanno anche diritti[7].
Nota
Come si è già osservato sopra, soprattutto Montesquieu, nella sua celebre opera Lo spirito delle leggi, ha preso in considerazione ed ha anche cercato di rappresentare in dettaglio il pensiero che le leggi, in particolare quelle del diritto privato, dipendono dal carattere determinato dello Stato, e la prospettiva filosofica che considera la parte solo in riferimento al tutto[8].
– Poiché il dovere è innanzitutto il rapporto verso qualcosa di sostanziale per me, mentre il diritto è l’esistere in generale di questo sostanziale, quindi l’aspetto della sua particolarità e della mia libertà particolare, nei gradi formali dovere e diritto appaiono distribuiti su diversi lati, su diverse persone[9]. Essendo etico, essendo compenetrazione del sostanziale e del particolare, lo Stato implica che la mia obbligazione rispetto al sostanziale è, insieme, l’esistere della mia libertà particolare; cioè che dovere e diritto vi sono riuniti in uno stesso riferimento[10]. Poiché però nello Stato i momenti differenti giungono anche alla configurazione e realtà proprie, e si ripropone quindi la differenza tra diritto e dovere, allora questi sono diversi per il loro contenuto, pur essendo identici in sé, cioè formalmente. Nell’ambito del diritto privato e della morale manca la necessità effettiva del riferimento, c’è quindi soltanto l’uguaglianza astratta del contenuto; in queste sfere astratte, ciò che è diritto per uno deve essere diritto anche per l’altro, e ciò che è dovere per uno deve essere dovere anche per l’altro. Quell’identità assoluta di dovere e diritto ha luogo solo come uguale identità di contenuto, nella determinazione che questo stesso contenuto è il contenuto del tutto universale, cioè il principio unico del dovere e del diritto, la libertà personale dell’uomo. Gli schiavi non hanno doveri perché non hanno diritti e viceversa – (qui non si parla di doveri religiosi). – Ma nell’idea concreta in sviluppo interno, i suoi momenti si differenziano, e la loro determinatezza diventa, insieme, un contenuto diverso; nella famiglia il figlio non ha diritti dello stesso contenuto dei doveri che ha verso il padre, e il cittadino non ha diritti dello stesso contenuto dei doveri che ha verso il principe e l’autorità[11].
– Quel concetto di unione di dovere e diritto è una delle determinazioni più importanti e contiene l’intima forza degli Stati[12]. – Il lato astratto del dovere si ostina a trascurare e a bandire l’interesse particolare, come se fosse un momento inessenziale, anzi indegno[13]. La considerazione concreta, l’idea[14], mostra come altrettanto essenziale il momento della particolarità e come assolutamente necessaria la sua soddisfazione; bisogna che, nell’adempiere il suo dovere, l’individuo trovi in qualche modo anche il proprio interesse, la soddisfazione o tornaconto, e che dal suo comportamento nello Stato gli maturi un diritto per cui la cosa pubblica diventa la cosa sua particolare[15]. In verità l’interesse particolare, anziché dover essere messo da parte e addirittura represso, deve essere armonizzato con l’universale, un’armonia che conserva l’interesse particolare e l’universale. L’individuo, suddito per i suoi doveri, nel loro adempimento trova come cittadino la protezione della sua persona e della sua proprietà, l’attenzione al suo benessere particolare e la soddisfazione della sua essenza sostanziale, la coscienza e il sentimento intimo di essere membro di questo tutto, e nell’adempimento dei doveri come prestazioni e attività per lo Stato, lo Stato si conserva e sussiste. Secondo il lato astratto l’interesse dell’universale sarebbe soltanto che le sue attività, le prestazioni che richiede, siano compiute come doveri[16].
[1] La traduzione è nostra.
[2] Astratto e concreto sono nella relazione di monofonico e polifonico: il pathos hegeliano per il concreto nasce dalla consapevolezza della natura non semplice, ma articolata della verità (adaequatio rei et intellectus). – ‘Libertà’ è indipendenza assoluta; essa ha un significato innanzitutto negativo, semplice: è la capacità del singolo di elevarsi su tutto, di preferire la morte alla vita; ‘libertà effettiva’ ha invece significato positivo, polifonico, quello del riconoscimento dell’altro non come un estraneo ma come un identico a sé. Nel riconoscimento l’io intuisce nell’altro la stessa assolutezza che si riconosce, dunque lo rispetta. Paradigma del riconoscimento, della libertà concreta effettiva, è dunque l’amicizia. Lo Stato è lo sviluppo di un legame di amicizia.
[3] Lo Stato è l’armonia di particolare e universale. Particolare e universale sono determinazioni opposte: ‘particolare’ significa infatti ciò che si differenzia, che è in contrasto, ‘universale’ è invece l’omogeneità, la comunanza. Nel senso della politica, ‘particolare’ è l’individuo esclusivo, la persona privata con i suoi interessi; ‘universale’ è il potere pubblico che fa valere l’interesse comune. L’interesse della persona privata è la felicità, il benessere per sé e per chi sente vicino; perseguirlo può comportare una collisione con l’interesse comune. Due sono i casi più eclatanti capaci di generare la collisione: l’imposizione fiscale, per cui il privato deve rinunciare a parte del suo patrimonio in favore del patrimonio pubblico; il servizio militare, per cui il privato deve mettere in pericolo la vita e l’integrità fisica in favore della conservazione dello Stato. – La concretezza della libertà dello Stato implica che vi è riconciliato ciò che al di fuori di esso è contrastante: da una parte il diritto del singolo alla realizzazione di sé e al godimento dei suoi diritti, dall’altra il suo dovere, la sua soggezione, nei confronti della sfera pubblica. Questa conciliazione del contrasto tra privato e pubblico si svolge su due piani, il primo inconsapevole, il secondo consapevole. Sul piano inconsapevole: gli stessi interessi privati hanno un implicito carattere pubblico, in quanto si realizzano attraverso l’attività essenzialmente sociale del lavoro e dello scambio; perseguire i propri interessi nel contesto degli interessi altrui implica l’agire secondo le leggi, quindi dare esistenza alle leggi; questo far esistere l’universale è il convertirsi dell’interesse particolare nell’interesse comune per natura propria. Sul piano consapevole: gli individui, non solo quelli che si dedicano agli affari pubblici ma anche i privati in generale, per lo meno nella lealtà fiscale e nella disposizione a mettersi in pericolo per la patria, assumono esplicitamente l’interesse pubblico come proprio interesse.
[4] Solo in quanto vi sono soddisfatti l’interesse privato e l’interesse pubblico lo Stato è libero. Nello Stato libero le leggi non sono attuate per paura, ma in quanto l’individuo vi scorge il proprio interesse; viceversa, lo Stato libero non è fatto di persone estranee alla dimensione pubblica e chiuse nel loro interesse privato, è fatto invece di cittadini, di individui che si pongono come fine del loro agire la produzione e la conservazione della sfera pubblica. Spesso si parla di ‘persona’ e dei suoi ‘diritti naturali’ per indicare la dignità estrema dell’uomo. La persona senza lo Stato è però un dover-essere, un diritto a cui può non corrispondere la realtà; solo in quanto c’è lo Stato il diritto è reale, il torto un’eccezione, e in quanto è impegnata nella realizzazione del diritto comune, la persona non è soltanto persona, è cittadino. Essere cittadino è dunque la dignità più profonda dell’uomo.
[5] Hegel riassume quanto ha appena esposto. A differenza dello Stato antico, quello ellenico, che si corrompe con l’emergere della particolarità individuale – per esempio Alcibiade –, lo Stato moderno, risultato di una dura educazione dell’individuo e di una altrettanto lunga articolazione architettonica dello Stato, è questo equilibrio tra l’estremo particolarizzarsi dell’individuo e il suo essere produttore dell’interesse universale, del bene comune.
[6] Le leggi dello Stato prevalgono sulla coscienza individuale, i suoi interessi prevalgono sugli interessi privati – questa è la ragione dell’odio che il liberalismo gli riserva. È però una prevalenza dettata non da una irrazionale ‘sete di potere’, ma dalla natura delle cose. Da una parte, infatti, nella concorrenza tra gli interessi privati non si produce alcuna armonia involontaria, nessuna ‘mano invisibile’, ma si genera un conflitto effettivo che è regolato da un potere esterno alla concorrenza stessa; dall’altra lo Stato non è sospeso nel vuoto, ma costretto entro i rapporti con gli altri Stati. I rapporti internazionali sono un insuperabile stato di natura, nel senso della possibilità della guerra di tutti contro tutti. Nel contesto internazionale uno Stato può ottenere il riconoscimento della sua libertà, un riconoscimento comunque precario, se e solo se si difende. La necessità di difesa, la necessità che lo Stato sia libero, essendo condizione della stessa libertà privata, pone l’interesse dello Stato al di sopra dell’interesse privato.
[7] Lo Stato e le sue leggi sono una limitazione dell’arbitrio degli individui. La forza dello Stato è la sua capacità di unire il suo interesse universale all’interesse particolare dell’individuo, di rendere evidente la connessione tra dovere del cittadino e suo diritto. Su questo punto torna la nota di Hegel.
[8] Questa osservazione è a commento del primo periodo del paragrafo: la dipendenza del diritto privato, quindi delle sfere della famiglia e della società civile, dal diritto pubblico è stata già la prospettiva dello ‘Spirito delle leggi’ di Montesquieu.
[9] La sostanza è il permanente nella fluidità dell’accidentale. Rapportandosi a un sostanziale l’individuo si riconosce come accidentale: nell’individuo il dovere è il riconoscimento della propria accidentalità, dunque è sottomissione al sostanziale. Ma nel sottomettersi al sostanziale, riconoscendo il dovere, l’individuo fa esistere in lui questo sostanziale, e in quanto nella sua particolarità è sostanziale egli acquisisce il diritto; il diritto è dunque il dovere riflesso nella particolarità. Per questa loro differenza di universalità e particolarità, nei gradi formali – prosegue Hegel – diritto e dovere si distribuiscono su persone e soggetti differenti. I gradi formali sono il diritto astratto e la moralità; in questi gradi al mio dovere corrisponde un diritto altrui, e viceversa: di per sé il mio diritto di proprietà non implica doveri per me, implica per gli altri il dovere di rispettarlo; il principio morale consiste addirittura nel dovere per il dovere, quindi nel concedere un diritto agli altri senza aspettarsi che gli altri lo concedano.
[10] A differenza dei gradi formali del diritto astratto e del dovere astratto (della moralità), determinati dalla separazione tra diritto e dovere, l’eticità (cioè le sfere della famiglia, del lavoro e dello Stato) è determinata dall’unità di diritto e dovere: educare i figli è diritto e dovere dei genitori, lavorare è diritto e dovere del cittadino, legiferare, decidere, giudicare è diritto e dovere dell’autorità. Che lo Stato sia etico significa in Hegel non che l’individuo sia assoggettato alla totalità, che gli manchi cioè la personalità – come nel fascista Gentile, ma esattamente il contrario: che nell’adempiere il dovere il cittadino sente di esercitare nello stesso tempo un diritto.
[11] Poiché il diritto astratto e la morale hanno come attori enti in rapporto soltanto casuale, quello la persona, questa il soggetto, nel loro ambito il diritto e il dovere, spartiti su persone e soggetti irrelati, non vi hanno un riferimento effettivo e così il loro legame è il dover-essere di uno stesso contenuto: le persone e i soggetti devono avere gli stessi diritti. Nello Stato il diritto e il dovere sono connessi ai rapporti concreti tra attori presi nella loro differenza essenziale; quindi all’interno della famiglia l’identico diritto-dovere dell’educazione è per il figlio connesso al dovere di obbedire, per i genitori al dovere di dirigere, all’interno dello Stato l’identico diritto-dovere della legalità è per il cittadino il dovere di obbedire alle leggi, è per l’autorità il dovere di promulgare e far rispettare le leggi; si tratta cioè di doveri identici per la forma (l’educazione nel primo caso, la legalità nel secondo), differenti per il contenuto, in quanto sono differenti gli attori che partecipano della stessa forma.
[12] Che Hegel abbia pensato la storia come il teatro della brutalità è una calunnia che ha avuto l’effetto di scoraggiare a tal punto la lettura dei suoi testi da non poter essere smentita. Per Hegel la forza di uno Stato non è nella pervasività della propaganda o nell’onnipotenza della sua polizia o nel numero delle baionette, risulta invece dal grado di immediatezza in cui sono legati diritti e doveri dei cittadini, dalla misura in cui il cittadino sente di fare il proprio interesse facendo l’interesse dello Stato. È questa libertà concreta che decide la superiorità di una forma di Stato sull’altra e determina i verdetti del tribunale della storia.
[13] Questo è il punto di vista della moralità kantiana, per la quale l’azione deve essere compiuta non in vista del suo risultato per l’agente, ma solo in quanto la massima che la ispira può essere elevata a legge universale.
[14] ‘Idea’ per Hegel ha significato derivante da Platone, dunque non di determinazione del pensiero soggettivo, ma di verità, cioè di corrispondenza tra pensiero e realtà: il concetto realizzato nella particolarità. Poiché è unità di due lati, del concetto e della realtà, per questa sua polifonia, l’idea è concreta.
[15] La stessa moralità kantiana, benché centrata sulla sublimità del dovere per il dovere, non può infine permettersi di infrangere l’unità di dovere e diritto: l’indifferenza in cui, secondo la ragione pratica, si trovano nel mondo empirico contraddice la ragione pratica stessa; essa dunque postula un Dio che al dovere (alla virtù) fa corrispondere il diritto (la felicità). Non occorreva però un salto metafisico per trovare l’unità di diritto e dovere: l’opera del Dio kantiano è in realtà già svolta dallo Stato.
[16] L’idea di Stato, cioè il suo concetto e la sua esistenza in qualche modo conforme al concetto, implica che l’attuazione dei doveri a cui il suddito è assoggettato sia immediatamente il godimento dei diritti del cittadino, e non soltanto di quelli relativi alle sue soddisfazioni particolari, ma il rispetto della sua essenza, della sua dignità.
Non è vero che nel facismo esista questo contrasto. Il fatto di voler mettere a confronto fascismo e liberalismo, in questo senso, mi sembra quantomeno azzardato, e dettato più da simpatie (o, in questo caso, antipatie) politiche malcelata, ed imperdonabili in una mente solitamente raffinata come Paolo di Remigio. La prova sarebbe l’imperialismo fascista e liberale che a quanto pare sono la stessa cosa. Bene. Ed il socialimperialismo sovietico?
Anche quello rientra nella categoria liberale fascista?
Ma se si allora hanno ragione tristi figuri come Dugin, per cui la modernità è un indistinto allontanarsi dal cristianesimo di cui tutte le ideologie sarebbero dei sostituti.
Visione della Storia a mio giudizio indecente.
Se si riferisce al contrasto tra Stato e persona, io ho scritto che fascismo e liberalismo “presuppongono” il contrasto tra Stato e persona e che il fascismo annulla questo contrasto annullando la persona. Posso dunque essere d’accordo sul fatto che nel fascismo non esista questo contrasto, ma solo nel senso che esso lo annulla annullando la persona. Non credo che debba mostrarlo: è un’affermazione così banale, la mia, che può essere riscontrata in qualunque documento fascista. Quello in cui fascismo e liberalismo coincidono è nel carattere “privato” che in entrambi il potere assume: UNA persona, dunque una persona privata, per il fascismo, è lo Stato; viceversa, nel liberalismo la minimizzazione o l’annullamento dello Stato (anarco-liberalismo) lascia la gestione del potere alle oligarchie private costituite sulla base dell’economia. Quanto all’imperialismo sovietico, credo che sia un motivo della propaganda del tempo della guerra fredda: Lenin concesse l’autodeterminazione ai popoli dell’impero zarista all’indomani della rivoluzione d’ottobre, Stalin teorizzò ‘il socialismo in un solo paese’, rinunciando ad esportare la rivoluzione. Il primo espansionismo sovietico, legato com’è al patto ‘Molotov-Ribbentrop’, ha un carattere difensivo, esattamente come l’Europa orientale dopo la seconda guerra mondiale. Questo non esclude che possano esserci stati episodi interpretabili come imperialismo – ma appunto: si tratta di episodi. D’altra parte: cosa poteva spingere la Russia, che possiede un sesto delle terre emerse e tutte le possibili risorse naturali a imbarcarsi in avventure imperiali?
Che l’imperialismo sovietico sia esistito è fuori da ogni dubbio, e lei sa bene che qualunque imperialismo si presenta sempre come difensivo.
Persino Bush doveva “difendere il nostro stile di vita” massacrando gente che non sapeva nemmeno in che parte del mondo stava.
In ogni caso, mi dispiace, ma il paragone non regge. Tutta, ma proprio tutta la pubblicistica fascista, con le immense differenze anche ideologiche al suo interno, parla del corporativismo come di un sistema per integrare l’individuo nello Stato in senso organicistico. Lei mi potrà dire che fu un tentativo velleitario e fallimentare e magari retorico, e su questo magari sono persino d’accordo. Non mi può però dire che nel fascismo vi fosse teorizzato il recupero di De Maistre.
Certamente vi era una dittatura, come dopo qualunque rivoluzione che si rispetti e come ci insegna il grande Buonarroti. E non ci trovo nulla di strano.
Purtroppo, temo che il fascismo faccia parte di una categoria a se stante che non può essere interpretata sulla base delle stesse usate per il mondo progressista.
Le copio questa citazione dall’articolo ‘Fascismo’ sull’Enciclopedia Treccani del 1932: ‘Il mondo per il fascismo non è questo mondo materiale che appare alla superficie, in cui l’uomo è un individuo separato da tutti gli altri e per sé stante, ed è governato da una legge naturale, che istintivamente lo trae a vivere una vita di piacere egoistico e momentaneo. L’uomo del fascismo è individuo che è nazione e patria, legge morale che stringe insieme individui e generazioni in una tradizione e in una missione, che sopprime l’istinto della vita chiusa nel breve giro del piacere per instaurare nel dovere una vita superiore libera da limiti di tempo e di spazio: una vita in cui l’individuo, attraverso l’abnegazione di sé, il sacrifizio dei suoi interessi particolari la stessa morte, realizza quell’esistenza tutta spirituale in cui è il suo valore di uomo.’ Non si perda quel richiamo alla legge morale: il fascismo è dovere per il dovere, solo che questa legge morale non sorge dalla razionalità dell’individuo ma dalla volontà dello Stato, cioè dell’Uno che guida lo Stato. Il brano è il primo che mi se è presentato; credo di poterne trovare a migliaia. Ripeto: che il fascismo sacrifichi la persona allo Stato (alla persona che guida lo Stato) è una banalità.
Sempre dallo stesso articolo: ‘Antiindividualistica, la concezione fascista è per lo stato’.
Conosco bene quel passo (e gliene posso citare altri), ma evidentemente lei ne da una valutazione raffazzonata.
Esiste un non liberale che sinceramente possa dire che non condivide l’idea che l’egotismo sia una malattia mortale?
Comunque noto che non vuole rispondere alla questione sollevata.
Prendo atto e la chiudo qui, evidentemente l’ordine di partito è quello (dopo che lo stesso capo del medesimo aveva scritto altrimenti) di ritornare sulla vecchia questione del giudice berlusconiano che si sta ricostruendo una verginità come paladino della Costituzione, di identità fra liberalismo e fascismo.
Ooooooooooook (spero non suoni troppo anglosassone).
La lascio con una piccola citazione anche io: “il primo passo da farsi onde condurre bene una rivoluzione italiana, si è di porvi in piedi una signoria unica, rivoluzionaria e dittatoriale, cui venga addossato l’incarico di compiere la rivoluzione, di spianare tutti gli ostacoli, di stabilire l’eguaglianza, di preparare la nazione all’esercizio della sovranità, e finalmente d’erigervi le forme costituzionali fisse come l’ultimo scopo di detta straordinaria autorità ”
Quel porco fascista di Buonarroti…