Renzi, Pisapia e le carte che si rimescolano
di ALESSANDRO GILIOLI
Perfino il pacato e tenace Giuliano Pisapia ieri sera in tivù ha mostrato delusione per quello che sta accadendo al Pd: un partito sempre più blindato nella persona fisica del suo ex segretario e neo padrone, quindi anche nel suo carattere, nelle sue vendette, oltre che nella sua visione della politica.
Tutte cose, queste, che rendono difficilissimo se non impossibile il disegno di Pisapia: un centrosinistra unito che non dimentichi le questioni sociali – anzi, ne rifaccia il suo epicentro – mescolando questo mandato con il pragmatismo indispensabile a chi vuole realmente cambiare le cose, anziché limitarsi a dire che non vanno bene.
Difficilissimo se non impossibile perché Renzi, invece, a quel progetto lì non sembra minimamente interessato.
Gli interessa molto di più avere mani libere nel partito (cosa che sostanzialmente le primarie gli hanno dato), asfaltare chi in passato gli ha messo i sassolini nell’ingranaggio (ex minoranza Pd, fuoriusciti vari, sinistra che si è schierata per il No il 4 dicembre scorso), creando un rapporto diretto tra lui e il suo milione mezzo di fan, visto come prima base di consenso per puntare a riconquistare Palazzo Chigi.
Insomma Renzi vuol far da sé e così andare a una nuova sfida all’O.K. Corral: lui contro Grillo, nessun altro tra i piedi. Contando sull’obiettivo di arrivare primo o, in subordine, di essere comunque chiamato al Quirinale per formare un governo nel caso il Movimento 5 Stelle avesse la maggioranza relativa ma poi non riuscisse a formare una maggioranza, in assenza di alleati.
E a quel punto Renzi governerebbe, è ovvio, con un pezzo di centrodestra, altro che nuovo Ulivo di Pisapia.
Si tratta insomma, con ogni evidenza, di due disegni diversi e incompatibili.
Uno è imperniato sul destino di una persona e – se la vediamo in chiave più politica – sulla realizzazione della sua visione “neo blairiana”, quella che già abbiamo visto nelle varie riforme della legislatura che sta finendo, o nei loro tentativi: Jobs Act, scuola etc.
L’altro progetto è invece “neo prodiano”, con qualche tonalità sociale in più (Prodi era un ex democristiano, Pisapia un ex della sinistra radicale), con l’obiettivo di opporsi a tutte le destre (Berlusconi, Salvini, Meloni etc) e di svuotare almeno in parte il M5S proprio grazie a un riformismo di segno più deciso, più simile alle sinistre che stanno vagamente affermando la propria esistenza in altri Paesi, dentro e fuori il vecchio perimetro dei socialisti.
Questo secondo processo non è, evidentemente, identificabile con l’area della sinistra radicale: se fosse così, del resto, accanto a Pisapia non ci starebbero i vari Bruno Tabacci, Franco Monaco o Gad Lerner. È piuttosto un Pd così come se lo immaginava appunto Prodi, un rassemblement di centrosinistra plurale, in cui possano trovare spazio e avere voce anime diverse. Tuttavia punta a comprendere anche l’arcipelago delle varie sinistre fuori dal Pd, più l’associazionismo diffuso sul territorio che più o meno abita da quelle parti. Insomma tutto quello che Renzi non vuol avere tra i piedi manco dipinto.
Non so se davvero alla fine Pisapia farà «un centrosinistra alternativo fuori dal Pd», come ha ventilato ieri sera, diventando quindi un competitor di Renzi. O se invece alla fine cederà alle pressioni che il Pd farà per farlo rientrare nei ranghi.
So però che tutta questa vicenda, al netto dei giochi più di Palazzo, rimescola di nuovo le carte e chiarisce un po’ meglio le cose. Su cos’è Renzi, dico, e su cosa c’entra lui con un progetto di centrosinistra.
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