Nei giorni che precedevano la festa della “Liberazione italiana”, il premier Gentiloni si è recato alla Casa Bianca per incontrare il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Il tycoon statunitense ha avuto modo, in queste ultime settimane, di rivelare la sua vera natura. È infatti con gli ultimi avvenimenti che ha dimostrato il suo doppiogiochismo e opportunismo, tipico di tutti i magnati e grandi imprenditori. Trump dal millantato isolazionismo, si è mosso verso posizioni decisamente più belligeranti, sganciando bombe fra le più pericolose in Siria, per poi muoversi con le sue flotte nei pressi di Pyongyang. Proprio in quei giorni continuavano gli attentati terroristici in Europa, Parigi per ultima. L’incontro tra i due leader si è tenuto il 20 Aprile scorso, ma mentre i giornali nostrani avevano riportato solo alcuni contenuti come il comune appoggio contro il terrorismo e però anche contro la Siria di Assad, si è invece dato poco peso al rifiuto garbato di Trump nel soccorrere l’Italia dalla crisi dei migranti provenienti dalla Libia. Rifiuto che è stato poi giustificato dall’impegno militare Usa profuso già in Iraq e Siria. In poche parole secondo il Presidente degli Usa la crisi dei migranti è un problema italiano, non globale, non necessita quindi di essere sottomesso all’attenzione del Dipartimento di Difesa americano né tantomeno dalla Nato. Il tema Nato è stato preso ancora più sottogamba dalle penne italiane. Pochi giorni a seguire Donald Trump ha rivelato di aver chiesto esplicitamente a Gentiloni di “pagare. E l’Italia darà più soldi alla Nato.” In effetti il premier italiano ha risposto che “l’impegno è stato preso” e che quindi anche l’Italia aumenterà fino al 2% le spese per la difesa, come previsto dal Patto Atlantico. La Nato, prima Patto Atlantico, si fondava sull’idea di difesa collettiva dei Paesi “occidentali” ovvero Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia, Norvegia e Italia, da qualsiasi attacco esterno. Di fatto nel passato costituì un’alleanza di difesa e prevenzione della guerra fredda, e quindi di un possibile attacco dell’Unione Sovietica in Europa o America.
Oggi i membri della Nato sono aumentati fino ad arrivare a 28 e gli scopi iniziale di questa organizzazione militare sono palesemente superati. Negli anni infatti la Nato ha assunto il ruolo di agente di politica estera, anche attraverso lo strumento delle missioni. Famoso fu l’intervento Nato in Kosovo, e poi più avanti quello in Afghanistan. Tuttavia nonostante siano superati i tempi della guerra fredda i rapporti tra Nato e Russia si sono nuovamente inaspriti con la crisi in Ucraina e la guerra che ne è conseguita. Questo oggi non favorisce l’Italia che è legata alla Russia da rapporti economici che riguardano anche altri settori: l’Italia è il quarto partner commerciale della Russia, ed il valore degli scambi tra i due paesi ha raggiunto i 31 miliardi di euro nel 2013. Proprio per questi scambi intensi si parla spesso di un rapporto “privilegiato” tra i due paesi, e ne è una dimostrazione anche la sottoscrizione di accordi in 28 punti – riguardanti finanza, energia e industria – tra l’allora primo ministro italiano Enrico Letta e il presidente russo Vladimir Putin, al Business Forum promosso dal Foro di dialogo italo-russo, a novembre 2013. Le divergenze di interessi tra Italia e Stati Uniti e quindi Nato, sono diventate negli ultimi anni sempre più profonde. Uno studio dell’Ispi approfondisce bene la situazione durante il governo Renzi.
“Le relazioni italo-statunitensi, sono segnate da alcune differenze di vedute su alcuni dei principali dossier internazionali, come l’Ucraina e le sanzioni alla Russia, il caos libico e il possibile re-engagement iraniano nella comunità internazionale. A divergere sono soprattutto gli interessi specifici dei due paesi nei temi in questione e il ruolo che la Nato – che rimane ancora oggi la principale piattaforma di cooperazione bilaterale – potrebbe assumere, in particolare nel quadrante russo e libico. A questi fattori di contrasto si aggiungono alcune criticità italiane dettate anche dall’esistenza di un complesso di fattori interni ed esterni, come la scarsità di risorse da destinare al comparto Difesa (si veda la quasi certa riduzione degli F-35 richiesti dall’Italia rispetto agli ordini originali) e alle missioni internazionali all’interno della Nato, oppure i limiti politici nell’elaborare un disegno strategico autonomo e chiaro sempre all’interno dell’Alleanza atlantica. Queste divergenze, tuttavia, sembrano essere parte di un problema più profondo comune a tutta l’alleanza euro-atlantica e concernente la ridefinizione dei rapporti transatlantici. Al di là delle divergenze tattiche, la relazione tra Italia e Stati Uniti, intesa nella sua accezione più ampia, continuerà a rimanere un asset irrinunciabile, ma meno solido che in passato, per la politica estera del paese.”
Nonostante le reali e concrete divergenze, l’Italia non ha la forza né politica, né economica, né tantomeno militare per potersi opporre al volere di Nato e Stati Uniti e l’ultima visita del premier Gentiloni lo ha dimostrato perfettamente. Infatti, ad un secco no da parte degli Usa per la crisi dei migranti, l’Italia risponde sì ad un aumento delle spese destinate alla Nato, organizzazione di cui gli Stati Uniti detengono il quasi pieno controllo, foraggiandone per tre quarti l’intero budget.
Eppure l’opinione pubblica italiana non si sconvolge nell’ascoltare queste notizie, qualora venissero ascoltate, perché sono ben 70 e più anni, che l’Italia si sottomette alle richieste degli Usa a proprio discapito. Tutti gli anni di piombo e poi quelli di tangentopoli e in generale tutti i misteri che l’Italia non ha ancora chiarito nel suo passato vedono l’ombra degli Stati Uniti sempre presenti con i loro uomini. Un rapporto inviato dall’ambasciata americana in Italia al Dipartimento di Stato Usa nel febbraio del 1993, rivela che uno dei protagonisti di Mani Pulite era «un pupazzo manovrato dagli Stati Uniti». Il documento, riportato dalla Stampa e firmato da Daniel Serwer, allora capo della diplomazia statunitense, non svela il nome del «pupazzo». Eppure questo basta a rendere la cifra della situazione in Italia allora, ma anche oggi. Nel mondo islamico, ma non solo, questo servilismo è soggetto anche di ironia, come nel caso dell’hojatoleslam Mostafa Milani Amin, intervistato da Elena Barlozzari per il Giornale che dichiara:
“La Siria senza Assad? Farebbe la fine dell’Italia dopo il 25 aprile”
Per andare più nel concreto basti pensare alle basi Usa e Nato presenti in tutto il territorio italiano, usato come rampa di lancio per missili e arsenale nella guerra contro la Siria oggi, Iraq ieri e tante altre ancora. Sigonella su tutte, terza base al mondo per tutti i controlli dei droni Usa. Il 14 Novembre 2015 il Naval Facilities Engineering Command Office per l’Europa e l’Asia sud-occidentale della Marina militare Usa, ha pubblicato il bando di gara per la realizzazione nella stazione aeronavale n. 2 di Sigonella (NAS 2) dell’UAS SATCOM Relay Pads and Facility, un sito fornito di tutte le attrezzature necessarie a supportare le telecomunicazioni via satellite del Sistema degli aerei senza pilota ed “assicurare lo spazio per la gestione delle operazioni e delle attività di manutenzione” dei droni in dotazione all’US Air Force e all’US Navy per un importo tra i 10 ed i 25 milioni di dollari. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Le basi militari controllate dagli Usa in Italia sono ben 113, di cui: 2 in Trentino Alto Adige, 5 in Friuli Venezia Giulia, 19 in Veneto, 4 in Lombardia, 2 in Piemonte, 3 in Liguria, 6 in Emilia Romagna, 1 nelle Marche, 7 in Toscana, 16 in Sardegna, 6 nel Lazio, 13 in Campania, 2 in Basilicata, 8 in Puglia, 3 in Calabria, e 15 in Sicilia. L’elenco completo si trova qui, ma la fonte originale e la mappa vengono da un sito che ormai è stato chiuso inspiegabilmente il cui dominio era iraqlibero.at
Gli analisti ci hanno dimostrato che prevedere quali saranno le mosse del nuovo Presidente americano è impossibile. I fatti ci dimostrano che per quanto si voglia o si tenti di cambiarla, la politica militare degli Usa non cambierà mai, chiunque siederà alla Casa Bianca. E con loro, non cambierà mai anche il rapporto di sudditanza verso gli Stati Uniti a cui l’Italia ci ha abituato in questi decenni. Il mondo si de-americanizza, il Washington Consensus subisce un declino sempre più inesorabile, eppure in Italia non abbiamo la forza di ribellarci. Mai. Sempre in attesa del prossimo “liberatore”.
fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/italia-dal-1945-al-servizio-degli-usa/
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