Questa democrazia è una finzione
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Matteo Volpe)
Perché la politica, oggi, ha smesso di occuparsi dei Problemi dell’Uomo e si umilia ad autoparodia?
fidando il senso del ridicolo, il Partito Democratico ha schierato i suoi volontari per le strade di Roma, armati di scope, guanti e palette, al fine, dice, di pulire la città. Gli attivisti, con le loro magliette di un giallo sgargiante, sono già l’oggetto di scherno preferito sulla rete in queste ore, immortalati a spazzare cumuli di terriccio o prelevare dai contenitori dei rifiuti bottigliette di plastica, presumibilmente con lo scopo di destinarle alla raccolta differenziata. Il PD, c’è da dire, non è stato il primo a concepire questa geniale intuizione. I Cinque Stelle li hanno preceduti, inaugurando giornate dedicate alle grandi pulizie. Ma i loro avversari non hanno voluto essere da meno, cercando di batterli in una sfida grottesca (e probabilmente pure riuscendoci).
Così, in questa gara dell’assurdo, le due armate si sono fronteggiate per le vie romane, in attesa, forse, che gli attoniti passanti decretassero un vincitore. Al di là del lato comico (che come sempre è evidente a tutti tranne che agli autori dell’umorismo involontario) bisognerebbe domandarsi seriamente perché la politica oggi si occupa del futile e dell’inutile. Una politica – che ha smesso di interrogarsi sulle grandi questioni – dei piccoli gesti, dei piccoli problemi e delle piccole soluzioni, una politica (o, più che altro, una sua parodia)che millanta un coinvolgimento nel “quotidiano”, come se i grandi problemi dell’Uomo non interessino e non sovra-determinino il quotidiano che si vorrebbe separato e autonomo da essi. Alla base c’è l’incapacità postmoderna del politico di plasmare la società, perché questa è ormai del tutto in-formata dall’economico e dal commerciale. La politica, quindi, rinuncia a contrastare questa rivoluzione (si tratta di una rivoluzione in quanto una classe, quella capitalistico-finanziaria transnazionale, ha detronizzato un’altra, il ceto burocratico novecentesco postbellico che occupava il potere statale, per colpirne una terza, la classe media lavoratrice e risparmiatrice) che ha privatizzato tutti gli spazi e i tempi pubblici, abdicando così a se stessa e riducendosi a farsa. Non potendo (e volendo) riappropriarsi degli spazi e dei tempi che le sono stati tolti, non fa che l’unica cosa possibile nel degrado in cui si trova: parodiare se stessa (da cui il lato comico).
Non avendo da proporre alternative e dichiarandolo apertamente, la “democrazia formale” del periodo postbellico si risolve ora in finzione, giacché se non esiste alternativa non è possibile la scelta e se non è possibile la scelta non esiste la democrazia. In realtà la forma di governo occidentale del periodo che va dal Dopoguerra alla caduta dell’URSS non era propriamente democratica, ma mista, un’oligarchia temperata più simile alla Roma repubblicana che alle antiche Atene e Sparta: aveva degli elementi democratici al suo interno, ma l’assetto complessivo non era democratico; oggi sono venuti a mancare anche quegli elementi democratici e il carattere oligarchico diventa assoluto e non mitigato. Avendo rinunciato a porsi come alternativa, la politica detronizzata si è trovata in una situazione paradossale in cui l’alternativa è solo simulata ed è possibile, per il militante politico postmoderno, come secondo il meccanismo del bispensiero orwelliano, credere a una cosa e al suo contrario, credere nella democraticità del sistema e nella realtà dell’alternativa e nel contempo sostenere che non c’è alternativa e che non ci si può opporre a “ciò che chiedono i mercati”.
La tecnica comunicativa diventa la vocazione della politica postmoderna. Non si può decidere cosa comunicare, ma soltanto come comunicarlo. Il segno cambia, ma il referente resta lo stesso e perciò la politica “si svuota”, si riduce a non-senso linguistico e assume le sembianze di autoreferenzialità, che è in realtà a-referenzialità. Ecco allora il contrappasso: per esercitarsi deve abdicare a se stessa, per esserci deve rinunciare a esserci, riconoscersi come non-ente, mera apparenza (linguistica o iconica). Ciò è comico e tragico allo stesso tempo.
La politica postmoderna non potrà uscire da questa impasse, perché non può rinunciare alla propria inessenzialità. Potrebbe farlo solo ri-fondandosi, quindi abolendo l’attuale paradigma. Ma la postmodernità ha un vero e proprio tabù. Questo tabù è proprio la ragion d’essere della politica: l’incontro con l’altro, il pensiero e la pratica dell’alterità. La postmodernità può concepire solo – molteplici, innumerevoli, infinite – differenze, ma non può concepire l’alterità. Le differenze sono la polimorfica manifestazione dell’identico, a cui l’alterità non può essere ricondotta. Per questo la postmodernità vieta di pensare la totalità, perché vorrebbe dire pensare la sua propria identità e ricondurre le sue differenze alla medesima radice, confutando la propria anti-narrazione (che in quanto tale è anch’essa narrazione). Tutto quanto il pensiero postmoderno è possibile solo tramite il divieto dell’alterità e la rappresentazione del polimorfismo dell’identico come differenza. Si tratta in realtà di un divieto assai diverso rispetto al passato. Anche il nazismo riconosceva l’alterità, seppure mirava a distruggerla. Ma per negarla aveva bisogno di riconoscerla e negandola, in quanto la negava, la riconosceva. Il postmoderno, invece, inibisce il pensiero dell’alterità, non lo vieta, se per divieto si intende una qualche coercizione diretta, lo estranea, rende l’alterità non concepibile; colonizza il reale col proprio polimorfismo dell’identico e così sabota le facoltà di rappresentare l’alterità. L’unica via d’uscita è, oggi, tornare a pensare l’alterità, interrogarsi sull’inconcepibile; l’inconcepibile non è una qualità dell’oggetto, ma una rappresentazione del soggetto. Il ritorno del discorso sull’alterità, contro il divieto implicito postmoderno, è la condizione per la r-esistenza della politica.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/questa-democrazia-e-una-finzione/
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