Sovranismo e barbarie
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Antonio Martino)
Le risposte dei popoli ai massacri delle élite deve darsi un tono e un programma, ponendo al centro della lotta la battaglia del Lavoro e dell’indipendenza nazionale
Il trionfo di bonbon Macron Oltralpe ha ridato grande speranza all’intero clero liberal-moderato, finalmente in grado di poter contare un trionfo nell’abaco dell’idiota tifo elettorale. Sulle conseguenze della scelta francese il tempo sarà galantuomo. Già da ora forniamo comunque ai nostri cugini un vigoroso in bocca al lupo per la doccia scozzese che l’enfant prodige- fabbricato a tavolino dal vispo Attali nell’atelier Rotschild- prepara con gaudio e letizia, fiero di offrire a Berlino e Francoforte gli scalpi di quella plebaglia che ancora non si rassegna a vivere da schiavi.
Un’epoca, la nostra, definitivamente al di là del bene e del male. Tutte le coordinate novecentesche sono state fatte saltare, in una continua e rovinosa corsa all’abisso che ha scalzato decenni di faticose conquiste sociali in un’orgia di deliri, menzogne e falsità. Del resto la traiettoria deprimente ha quanto meno ottenuto permesso alle peggiori élite dell’ultimo millennio di togliere la maschera della pecora e disvelare le fauci mefitiche della iena: le sfumature non sono più ammesse nel vaudeville dell’orrore, e chi non è servo del sistema diviene inesorabilmente nemico da abbattere quale cane idrofobico, senza pietà e misericordia. La polarizzazione della guerra sociale– che è insieme di classe, di identità e di nazioni- diviene oggi imminente e immanente, passaggio obbligato per la definitiva distruzione di un mondo, l’Occidente, del tutto alla mercé dei propri demoni mortali.
Da una parte, dunque, in posizione di innegabile forza si hanno le forze prone ai diktat della religione del mercato, fissata sui cardini della valorizzazione delle cose in funzione della svalorizzazione dell’Uomo; dall’altra, in rotta e quasi distrutto, l’esercito sterminato e disorganizzato dei popoli, rassegnati ad essere maciullati tra l’incudine del perbenismo e il martello della miseria. In realtà, una possibilità di lotta e di vittoria per i dominati ancora sussiste: la riconquista della Sovranità. Nonostante i proni aedi dell’establishment ne abbiano già cantato la dipartita, il “sovranismo” resta l’ultima arma di difesa e attacco per le masse subalterne oppresse dal dominio finanzial-liberista, ed in tal senso la lezione francese- seppur non vincente- può offrire a questa galassia variegata e contraddittoria un momento di svolta ideologica fondamentale. Come? E’ presto detto.
I presupposti del possibile e mancato trionfo di madame Le Pen si fondavano- al netto delle pur sacrosante istanze identitarie, patriottiche e valoriali- su una ragione primaria: il malessere economico. Individuando nella premiata ditta euro-UE le cause strutturali della decadenza d’Oltralpe, il FN era riuscito ad un tempo a spiegare le cause della miseria e formulare un’alternativa di sistema al sistema della finanza e del mondialismo. Allorché però la fiamma dell’euroscetticismo s’è andata sempre più a mitigare sull’altare del moderatismo da salotto, il consenso e le attese di larghe parti del proletariato e della piccola borghesia francese si sono di colpo volatilizzate, del tutto distrutte nella amara debacle lepenista nell’ultimo grand debat.
L’esito impietoso del secondo turno grida, muto e laconico, la sconfitta dell’alternativa
L’eredità delle présidentielle 2017 consegna alle forze sovraniste un monito decisivo: il messaggio economico è IL punto di forza del dissenso. Svilirlo, renderlo acqua sporca patteggiando più o meno velatamente con il porcile liberal-liberista, mitigarlo per vile timore non ha senso e non premia: in sostanza, il sovranismo o è nemico del modo di produzione contemporaneo o non è che mera ancella del meccanismo di dominazione e sfruttamento. Se non si accetta questa lapalissiana considerazione il dissenso resta mero tifo da stadio, passione adolescenziale presto o tardi smentita dalla realtà dei Trump, dei Geert Wilders e financo della Le Pen ultima maniera.
La struttura, ancora una volta, gioca un ruolo fondamentale. Senza la possibilità- e la volontà- di incidere a fondo sulla dinamica produttiva e commerciale, infatti, la politica resta un simpatico teatrino di pupi, un comitato di sofisti che giocano alla gazzarra mentre le decisioni esiziali vengono prese al riparo del processo elettorale. In questo senso il sovranismo italiano può approfittare dello stop francese per eliminare le scorie liberali e moderate che ancora annovera al proprio interno, ponendosi al contempo un unico obiettivo a cui tutto tendere: recuperare la sovranità per realizzare la democrazia sostanziale sancita dalla Costituzione Repubblicana.
Senza il confine dello Stato Nazionale nulla si può costruire e tutto si può perdere
Per divenire realmente qualcosa, quindi, il sovranismo italiano deve riuscire nell’impresa di raccogliere le varie e comuni esigenze del mondo del Lavoro per contrapporle al meretricio del capitalismo transnazionale, rappresentato da guitti infami e infimi da spazzare via senza eccessivo riguardo. Tutte le altre battaglie, seppur sacrosante e legittime, vengono di conseguenza rispetto al tema decisivo, da cui fatalmente dipendono: Lavoro contro Capitale, Costituzione contro Globalizzazione. La guerra, perché di conflitto si tratta a tutti gli effetti, sarà lunga e spietata, e probabilmente impegnerà almeno il prossimo decennio senza risparmiare niente e nessuno. Le attuali élite non sono eterne, e se la Storia è davvero un cimitero di aristocrazie la schiatta degli euroidioti prima o poi tornerà alla mota da cui proviene. Tutto sta nel favorire e accelerare tale processo, con la forza delle idee e la potenza della massa. Compito non facile, per carità, ma tempi d’eccezione richiedono responsabilità e uomini all’altezza degli eventi: sovranismo o barbarie!
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/corsivi/sovranismo-e-barbarie/
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