Ilva a Arcelor-Marcegaglia: cosa cambierà per Taranto?
di MICRO MEGA (Antonia Battaglia)
Dopo l’amministrazione straordinaria, il Gruppo Ilva è stato ceduto alla cordata Arcelor Mittal-Marcegaglia, AM Investco.
Arcelor Mittal è il gruppo mondiale leader nell’approccio combinato tra estrazione di minerali e produzione siderurgica, con interessi e aziende in numerosi paesi del mondo. Con circa 199.000 unità di personale impiegate, il gruppo è al momento il più grande produttore nelle Americhe, in Africa ed in Europa, dove vanta una presenza molto importante in diversi aree (ricordiamo il reportage realizzato per MicroMega sulla riconversione delle acciaierie di Belval in Lussemburgo, dove Arcelor Mittal ha giocato un ruolo centrale).
Ma qual è la strategia della AM Investco per Taranto? E cosa potrebbe accadere adesso? Perché anche se da ieri l’ex Italsider e poi Ilva dei Riva è passata al gruppo AM Investco, in realtà manca ancora l’ok definitivo dell’Antitrust europeo.
La politica europea in materia, infatti, si articola intorno a due nodi centrali definiti dal Trattato EU: 1. l’articolo 101, che stabilisce che sono incompatibili con il mercato interno europeo tutti gli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni e le pratiche che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza; 2. l’articolo 102, che stabilisce che è incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale dello stesso.
Oggi Arcelor controlla, secondo le ultime stime, circa il 35% del mercato europeo. L’Antitrust, quindi, farebbe scattare un’investigazione per regime di monopolio sul mercato nel caso in cui venisse superata la soglia del 40%, il che vorrebbe dire che AM Investco non potrebbe produrre a Taranto più di cinque o sei milioni di tonnellate d’acciaio, e che quindi, restando sotto la soglia permessa dal diritto europeo, si potrebbero mettere a rischio la produttività e la sopravvivenza stessa dell’impianto tarantino.
Mittal ha dichiarato di esser pronto ad investire a Taranto circa 4 miliardi di euro. Con 56,8 miliardi di dollari di giro d’affari e 83,9 milioni di tonnellate prodotte nel 2016, Arcelor ha quindi puntato su un’offerta di acquisto importante e sulla grande presenza e conoscenza del mercato europeo, visto che dal 2006 Mittal ha assorbito il gruppo Arcelor con impianti in Lussemburgo, Francia, Belgio e Spagna.
L’obiettivo delineato nelle linee guida del piano industriale è di operare un veloce rilancio delle attività dell’Ilva attraverso il ripristino della capacità produttiva. Da 5.7 milioni di tonnellate di bramme prodotte da Ilva nel 2016, AM Investco prevede di arrivare a 8 milioni nel 2024 con ricavi raddoppiati, che da 2.2 miliardi di euro annui passerebbero a 4.
Le stesse linee guida parlano di una “profonda ristrutturazione dell’area a caldo” (la parte la più inquinante), il mantenimento in vita di tre altoforni e la messa a nuovo dell’Afo5, l’altoforno più grande d’Europa.
Si illustrano poi i punti salienti di quello che viene chiamato il mantenimento dei livelli occupazionali, ma in realtà solo pochi giorni fa Fiom, Fim e Uilm hanno dichiarato che i piani industriali e occupazionali presentati dalle due cordate concorrenti prevedono tra 5 e 6 mila esuberi. Ilva oggi impiega oltre 14mila addetti, mentre Mittal stima nel 2018 di avere 9.407 dipendenti, cifra che nel 2023 dovrebbe scendere a 8.480 addetti.
Dal punto di vista ambientale, il Gruppo scrive di voler investire circa 1,140 miliardi circa per realizzare l’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) ma la data prevista per il completamento delle prescrizioni è il 2023, una data che spaventa la città di Taranto. Ed inoltre, la somma indicata appare come esigua rispetto alla natura e alla envergure degli interventi previsti ed improcrastinabili. Si ricorda, a tal fine, che la somma stimata dal Gip Todisco nel 2013 per porre rimedio al disastro ambientale ammontava a circa 8,1 miliardi di euro.
La cordata rivale di AcciaItalia, costituita in maggioranza dal Gruppo Jindla, pur di non perdere la gara, ha provato senza successo a migliorare l’offerta iniziale su prezzo, sostenibilità ambientale e occupazione. Ma secondo le indiscrezioni, il grande errore di Jindal è stato quella di puntare su un’offerta di partenza più bassa all’inizio anche se il piano proposto poteva sembrare a prima lettura come migliorativo della situazione ambientale.
“In conformità a quanto previsto dalle regole di gara – spiega una nota del Mise – si svolgerà immediatamente una fase negoziale in esclusiva tra i commissari straordinari e l’aggiudicatario finalizzata ad eventuali miglioramenti dell’offerta vincolante, come previsto dalla procedura di gara. Il decreto del ministro indica le priorità sulle quali i commissari dovranno svolgere tale negoziazione”.
Fino ad ora nessuno conosce i piani ambientali dell’Arcelor Mittal, né quelli proposti da Jindal. E la situazione ambientale a Taranto non appare assolutamente migliorata. Al contrario, il Gip Vilma Gilli ha di recente disposto nuove indagini per getto pericoloso di cose e gestione dei rifiuti non autorizzata nei confronti dell’ex commissario Bondi, dell’attuale commissario Gnudi e degli ex direttori dello stabilimento Lupoli e Cola, e vuole verificare l’attuazione delle prescrizioni AIA dell’Ilva in amministrazione straordinaria sino al 31 luglio 2015.
Ciò che preoccupa maggiormente è quindi lo stato di attuazione dell’AIA, le cui prescrizioni sono state dilazionate nel tempo, man mano che arrivavano alla scadenza prevista per la loro attuazione.
L’Ilva, se dovesse ancora valere l’AIA del 2012, avrebbe violato sistematicamente le autorizzazioni previste, e avrebbe dovuto essere al momento in stato di fermo o almeno sanzionata. Ma gli interventi di proroga hanno periodicamente salvato la produzione dello stabilimento, facendo venire meno la certezza dello stato di diritto.
Ad oggi non vi è alcuna evidenza che sia venuto meno l’impatto sanitario delle emissioni dell’Ilva. Inoltre, l’inquinamento della falda superficiale e profonda prosegue e nessun intervento cospicuo e risolutivo è stato fino ad ora messo in atto per arginare i fenomeni, nonostante l’AIA preveda la decontaminazione del suolo e della falda.
Gli stessi esperti che hanno redatto nel 2013 il Piano Ambientale di “aggiornamento” dell’AIA hanno scritto: “Non risultano eseguiti significativi interventi di bonifica e/o messa in sicurezza di emergenza ad eccezione dei suoli di alcune aree funzionali all’esercizio degli impianti” (Genon, Bisceglia e Lupo, pagina 42 del Piano Ambientale).
Ma ancora ad oggi la situazione non appare modificata, tanto che nel verbale della Conferenza dei servizi del 16 marzo 2016 si legge che è fatto obbligo all’Ilva (pagina 11 del verbale) di “adottare tutte le misure di prevenzione finalizzate a circoscrivere, limitare la diffusione della contaminazione”. La Conferenza dei servizi aggiunge parole inequivoche: “Ai sensi dell’art. 245, comma 2, del dlgs 152/2006, anche il proprietario e/o il gestore dell’area, non responsabile della contaminazione, devono attivare idonee misure di prevenzione secondo le procedure di cui all’art.242 dello stesso decreto. Si tratta di un vero e proprio obbligo di garanzia in virtù del quale non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo con tutte le conseguenze di legge”. In altre parole, una diffida alla struttura commissariale Ilva.
Ciò nonostante ad oggi non si ha alcuna evidenza che siano state adottate misure efficaci a circoscrivere e limitare la diffusione della contaminazione, che porta ad un inquinamento anche del mare verso cui defluisce la falda.
Continua a non essere coperto il parco minerali e manca la pavimentazione sull’intero stabilimento, il che comporta che l’innaffiamento dei cumuli di minerale e l’acqua piovana facciano scendere in profondità i contaminanti di superficie.
Gli aggiornamenti dell’Ispra, organo incaricato di effettuare le ispezioni, sono spesso pubblicati con notevole ritardo. E ciò che si legge nei report (mese di maggio 2017) continua ad indicare che lo stabilimento non rispetta ancora le prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (il report completo di Peacelink a questo indirizzo http://www.peacelink.it/ecologia/a/44373.html).
Oltre alle prescrizioni non attuate, Ispra chiede all’Ilva di trasmettere una relazione dettagliata circa le motivazioni dell’incremento delle concentrazioni di benzoapirene registrate nei mesi di luglio-agosto 2016 nel sito Cokeria nonché gli interventi da intraprendere per ridurre i livelli di altri importanti inquinanti. Purtroppo l’AIA non è attuata e il documento dell’Ispra ne è la prova.
Che la situazione possa cambiare davvero? Che avvenga un miracolo?
Fonte:http://temi.repubblica.it/micromega-online/ilva-a-arcelor-marcegaglia-cosa-cambiera-per-taranto/
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