Noterelle per un populismo democratico
di SENSO COMUNE
Qualche settimana fa, cogliendo l’occasione del momento di attenzione rivolta all’esperienza della France Insoumise, avevo provato in termini generalissimi a delineare alcuni aspetti che potrebbero essere peculiari di un’esperienza populista democratica e progressista in Italia. Vorrei adesso spendere qualche altra pagina per ipotizzare i fili che potrebbero andare a comporre la trama del tessuto di un discorso populista progressista rivolto al nostro Paese: altrimenti detto, provare a immaginare in cosa potrebbe consistere una proposta politica populista e progressista con caratteristiche italiane.
Se il grande merito del gruppo raccolto attorno a questo sito risiede nell’essere stati i primi a teorizzare organicamente la possibilità e finanche l’opportunità di intraprendere una simile strada in Italia, la possibilità virtuosa di una sua trasformazione in un fenomeno popolare risiede nella doppia condizione da un lato della traduzione dell’analisi e del metodo populista in una proposta politica e in un disegno di Paese idonei a mobilitare le migliori energie della Nazione in un progetto articolato volto alla rottura politica e sociale, dall’altro lato (ma non approfondirò tali temi in questa sede) nel suo strutturarsi in una forma organizzativa capillare e adeguata e nel suo rapportarsi selettivamente con altre esperienze, già esistenti o in nuce, che si sviluppino in direzioni compatibili, al fine di congiungere le forze.
Nell’ottica della traduzione in termini politico-organizzativi di un senso comune progressista, la ricognizione di tale trama fondamentale non deve essere frutto né di un discorso puramente ideologico autoreferenziale, privo in questa fase di potenzialità egemoniche, né del più bieco e schizofrenico tatticismo, nel quadro del quale la risultante in termini di cambiamento sociale di una serie caotica e interminabile di voltafaccia finisce per essere zero (si pensi in ultimo alla vicenda del M5S). Il metodo più proficuo sembra invece l’individuazione – quanto più possibile “scientifica” – degli elementi presenti nella percezione diffusa (o che si prestino a farvi ingresso) tali da ostacolare la penetrazione definitiva del paradigma ideologico delle attuali classi dominanti e, di conseguenza, il coordinamento e affinamento di simili elementi in un impianto discorsivo coerente volto nel suo insieme a fungere da sovrastruttura e immaginario collettivo di un movimento politico tendente alla sovversione dei rapporti sociali e alla trasformazione del modello produttivo.
Tali elementi devono, ancora, essere selezionati in quanto virtualmente egemonici: radicati nelle sofferenze materiali delle classi popolari e in quanto tali immediatamente presenti nella loro percezione del mondo, lo devono essere però anche per segmenti più o meno larghi di classe media, sicché la (ri)costruzione di un discorso politico di rottura è rivolto in prospettiva non solo alla ricomposizione di una coscienza di classe, ma anche al raccogliersi intorno a una nuova tendenza egemonica – a una nozione espansiva di “popolo” – di settori via via più ampli di altri ceti sociali comunque colpiti dalle conseguenze del trentennio neoliberista.
È bene precisare che la ricomposizione politica della classe, pur permanendo fattore centrale del progetto politico, si pone nondimeno in maniera radicalmente diversa, forse più sofisticata, di quella propria della forma partito novecentesca in Occidente. I nuovi rapporti di produzione sempre più atomizzati non eliminano (anzi, al fondo rafforzano) la storica divisione oggettiva in classi, ma ne erodono irrecuperabilmente la componente soggettiva, rendendo necessario procedere alla sua riaggregazione in maniera graduale e indiretta, valorizzando in prima battuta identità intermedie più facilmente riconoscibili come tali purché idonee ad esprimere la contrapposizione tra l’alto e il basso, l’opposizione radicale al modello sociale e la volontà di cambiare lo stesso in senso democratico e progressista sulla base di parole d’ordine d’immediata percezione.
Svuotata la carenza di coscienza di classe del ruolo di feticcio e alibi paralizzante della sinistra, essa deve invece rimanere parte integrante dell’orizzonte strategico, ma al tempo stesso va ricercata da subito negli elementi sparpagliati di contro-egemonia ideologica che già improntano il sentire comune e va organizzata in tappe e identità intermedie con cui è già possibile creare spazi di contro-potere nelle contraddizioni che erodono l’ordine sociale dominante.
Una serie di problematiche, che pur non assurgono a soddisfare questi requisiti, non perdono per questo né di rilevanza morale, né di consistenza politica nel quadro di un disegno progressista di società: si pensi a tematiche come i diritti, in quanto tali (e non solo di riflesso in quanto lavoratori, pendolari, utilizzatori di servizi pubblici, ecc.), degli immigrati economici, dei rifugiati, degli omosessuali, ecc.
Esse mantengono intatto il loro valore, ma, evidentemente, non possono rivestire in questa fase il ruolo di elementi unificanti in senso progressista del sentire comune; per restare in metafora, possono andare a comporre l’ordito del tessuto, ma non ne costituiscono la trama. In un ribaltamento di priorità radicato nella mancanza di comprensione degli elementi profondi di una società in rapido mutamento si trovano molti gravi errori delle sinistre italiane di questi anni.
1) PER UNA RIPUBBLICIZZAZIONE DELL’ECONOMIA
Evidentemente, qualunque proposta politica progressista deve avere al centro una completa inversione di tendenza nei rapporti tra pubblico e privato, recuperando e guadagnando all’interesse pubblico il più ampio spazio nel mondo economico e sociale, a spese degli interessi privati dei membri delle fasce sociali più abbienti, i quali mirano a ridurre lo Stato sociale al minimo indispensabile e a fare di ogni più elementare umana esigenza l’oggetto di commerci da cui sia possibile estrarre profitto.
Tale messaggio, pur in sé fondamentale, cozza in maniera stridente con il pensiero unico dominante e probabilmente non si presta troppo, nella comunicazione del messaggio politico, ad essere semplicemente espresso in simili termini ideologici. Piuttosto, potrà apparire più proficuo scomporre lo stesso in una serie di componenti più immediatamente comprensibili perché direttamente riconducibili alle difficoltà e sofferenze quotidiane già diffusamente percepite come punti dolenti del sistema, su cui è possibile fare efficacemente appello a una volontà popolare di cambiamento. Selezionati correttamente i terreni d’attacco, appare possibile giungere a far passare il messaggio di come le difficoltà non siano frutto di errori e inefficienze individuali, ma di una serie di scelte politiche di fondo che condividono fra loro una stessa matrice e ideologia.
La sanità
Lo sfascio della sanità pubblica è sotto gli occhi di tutti. Chiedere di ripristinare i posti letto tagliati, riaprire gli ospedali chiusi, porre fine alle dispendiose convenzioni con strutture private, assumere molti più medici ospedalieri, a partire dai pronto soccorsi, ripristinare la piena gratuità di farmaci e analisi necessari alla cura di patologie serie, ridurre drasticamente i tempi d’attesa attraverso l’aumento di medici e strutture adeguate, garantire macchinari moderni anche negli ospedali di provincia, estendere la copertura economica pubblica anche all’insieme delle cure dentarie e oculistiche e alle cure agli anziani non autosufficienti, la costituzione di un polo industriale farmaceutico di Stato…
L’insieme di queste proposte è già in partenza senso comune e influirebbe significativamente sulla vita di ciascuno (tranne di chi sia veramente così ricco da poter accedere senza sacrificio economico rilevante a qualsivoglia cura privata sul mercato interno e internazionale!) al punto di potere, già di per sé, qualora adeguatamente messe in risalto, determinare il consenso politico intorno a un progetto. E, richiedendo un investimento finanziario significativo, sono tali, già di per sé, da escluderne la sostenibilità mantenendo il modello economico attuale.
I trasporti e altri servizi pubblici essenziali
Idem può osservarsi per lo sfascio del sistema dei trasporti locali e nazionali e degli altri servizi pubblici essenziali. Evidentemente, la risposta risiede nella ri-pubblicizzazione (con attribuzione dello status di ente pubblico economico) di compagnia aerea di bandiera, ferrovie e Tirrenia navigazione, nonché delle aziende di trasporto pubblico locale, la cui stretta attinenza agli interessi collettivi degli abitanti di tutto il Paese o di una certa area geografica ne rendono persino intuitiva la riconduzione a entità di diritto pubblico, esponenziali di interessi collettivi e oggetto di controllo democratico.
Lo stesso deve essere disposto, a livello nazionale e locale, per i fornitori di acqua, elettricità, gas e per servizi fondamentali come la manutenzione delle strade e la nettezza urbana. A ciò deve aggiungersi la proposta di reintrodurre tutte le tratte ferroviarie e marittime soppresse negli ultimi decenni, purché in presenza di un reale interesse al loro utilizzo di gruppi di abitanti, nonché di inaugurare nuove tratte laddove questo appaia conforme a esigenze collettive. Naturalmente, tutto questo è del tutto incompatibile con i vincoli di bilancio imposti alle finanze nazionali e locali!
Commissioni parlamentari su scelte lesive dell’interesse nazionale
Se in quanto appena accennato si sono effettivamente individuati i primi, e più agevoli, terreni su cui è possibile passare alla controffensiva e prospettare una contro-egemonia al pensiero unico, è opportuno che le parole d’ordine siano particolarmente decise e “populiste”: se la politica dei tagli alla sanità ha già comportato, con ogni probabilità, il prezzo di molte vite umane e questo è già più o meno diffusamente percepito, se un po’ tutti sanno che la quasi totalità delle privatizzazioni si è tradotta nella svendita di asset produttivi fondamentali a uomini d’affari dalla dubbia moralità e dai buoni agganci politici, se la percezione popolare già spontaneamente intravede in tutto ciò un tradimento degli interessi nazionali, occorre avere il coraggio di evocare il tradimento a chiare parole: una proposta efficace può anzi consistere nella costituzione di commissioni parlamentari d’inchiesta sulle conseguenze sulla salute dei tagli alla sanità, nonché sulla svendita del patrimonio pubblico, volte a rendere note agli occhi della collettività le reali conseguenze e le precise responsabilità, giuridicamente o politicamente rilevanti, di scelte sempre presentate dall’ideologia dominante come foriere di progresso e benessere e immancabilmente tradottesi in sfascio, disagio e sofferenza di molti e arricchimento sfrontato di pochi.
L’istruzione
Il taglio di fondi a scuola, università e ricerca è a sua volta piuttosto impopolare, così come iniziative quali l’alternanza scuola-lavoro viste un po’ da tutti come un regalo ingiusto agli imprenditori di manodopera non qualificata. Peraltro, la scuola è uno dei pochi ambiti in cui negli ultimi anni si è sviluppato un movimento spontaneo di protesta con una discreta popolarità, al punto che è difficile incontrare qualcuno che difenda i tagli all’istruzione o, più in generale, l’ultimo ventennio di privatizzazione e aziendalizzazione delle istituzioni scolastiche e universitarie.
Verso una programmazione pubblica ed ecologica dell’economia
L’idea di una programmazione pubblica ed ecologica dell’economia, sia pure non unanimemente diffusa come quelle di cui ai punti precedenti e piuttosto circoscritta a categorie di persone almeno minimamente attente all’attualità, incontra in ogni caso un favore non indifferente. La percezione di enti come l’IRI o comitati di controllo dei prezzi e delle tariffe resta più positiva che negativa e la loro scomparsa associata a una smania neoliberale che molti non si sentono affatto di condividere.
La nazionalizzazione delle banche incontrerebbe a sua volta un favore diffuso, così come di quelle grandi imprese che da tempi immemorabili si giovano di sussidi pubblici per continuare a distribuire profitti senza curarsi delle condizioni sempre peggiori dei lavoratori: tutto ciò è generalmente percepito come ingiusto e immorale. Elementi di deregolamentazione selvaggia come la liberalizzazione delle licenze degli esercizi commerciali sono poi spesso malviste dai residenti dei quartieri rovinati dalla chiusura delle botteghe caratteristiche e dall’apertura selvaggia di rivenditori di alcolici aperti fino a tarda notte. Pertanto, se ben articolate e presentate, su questi e altri temi, proposte tendenti a un ruolo di programmazione dell’economia da parte di soggetti pubblici possono agevolmente incontrare il favore popolare.
La costituzionalizzazione del ruolo dello Stato in economia
La centralità di tutti questi elementi nel quadro di una proposta populista democratica e progressista per l’Italia consiglia di attribuire agli stessi una particolare enfasi, anche ipotizzando un rafforzamento in Costituzione del ruolo dello Stato in economia e del suo interventismo sociale in favore di un’eguaglianza sostanziale dei cittadini. Evidentemente, in questa fase storica particolarmente fluida, la Costituzione non è il terreno “neutro” che pone le regole della competizione politica, bensì essa stessa, e quindi il disegno di società implicatovi, oggetto dello scontro politico: e qui come altrove si pone l’esigenza di passare all’offensiva!
Chi paga?
Gli interventi ipotizzati e tanti altri ipotizzabili hanno ovviamente un costo finanziario considerevole. Come reperire la copertura delle spese? Anche qui, è possibile avanzare una serie di proposte che ben si prestano a un consenso maggioritario nella società: per esempio, abolizione della cedolare secca per le rendite immobiliari e della tassazione agevolata delle rendite finanziarie (da tassarsi, anzi, in misura superiore all’ordinaria aliquota IRPEF corrispondente); aumento sensibile delle aliquote IRPEF più alte, arrivando a tassare al 100% redditi superiori a una certa soglia di “moralità” (v. programma della France Insoumise).
E ancora, tassazione dei grandi patrimoni, lotta senza quartiere all’evasione fiscale, rafforzandone anche la repressione penale e incentrando il contrasto sui grandi evasori, introduzione di misure per limitare drasticamente la mobilità dei capitali e le delocalizzazioni, per evitare fughe e speculazioni… insomma, è tuttora possibile mettere in piedi un meccanismo di prelievo del reddito ai più abbienti per finanziare l’aumento della spesa pubblica.
2) PER UNA ROTTURA DEI TRATTATI EUROPEI
Istanze popolari e costituzionali VS “ce lo chiede l’Europa”
Piuttosto che una critica ideologica alla costruzione europea, appare più proficuo contrapporre discorsivamente la realizzazione delle istanze a un miglioramento delle condizioni di vita del popolo e alla concretizzazione delle disposizioni costituzionali volte a realizzare in maniera sostanziale l’uguaglianza tra i cittadini, rispetto ai vincoli di bilancio dell’Unione, alla sua propensione irreversibile all’austerità economica e al neoliberismo, al suo mercatismo spinto che si pone di grave ostacolo a politiche di pubblicizzazione dei servizi pubblici essenziali e delle grandi imprese produttive di ricchezza e di benessere da redistribuire tra tutta la popolazione.
Probabilmente il miglior approccio pubblico alla questione europea è quello fatto proprio dalla France Insoumise: dichiarare la realizzazione del proprio programma non oggetto di contrattazione al ribasso con le istituzioni europee, propugnando piuttosto un cambiamento dei Trattati ove incompatibili (piano A) e, nella (probabile) assenza di una disponibilità comune a tali modifiche, approntandosi a uscire e svincolarsi dagli stessi (piano B).
Parimenti, sembra indispensabile la proposta di un recesso unilaterale dell’Italia dal protocollo addizionale del 1952 alla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, per svincolarsi dalle relative disposizioni in tema di protezione della proprietà, la cui concreta applicazione da parte della Corte è oggi incompatibile o rende estremamente difficoltosi ampi programmi di
statalizzazioni ed espropriazioni della grande proprietà.
Il recupero in senso progressista della tutela dell’interesse nazionale
È vitale che il recupero di sovranità sia chiaramente articolato in senso progressista, concepito come strumento per poter adottare democraticamente nel Paese politiche di redistribuzione della ricchezza sociale e non certo per affermare una qualche superiorità o primato sugli altri popoli, rispetto a cui occorre riaffermare la volontà di una politica estera di pace e cooperazione. Il tema del tradimento dell’interesse nazionale popolare e la volontà di una sua riaffermazione, contro le piccole cerchie che hanno beneficiato delle politiche degli ultimi decenni, ben si adatta a impregnare nella sua interezza un discorso populista rivolto alla rottura e alla trasformazione.
3) PER UNA RIVISITAZIONE PROGRESSISTA DELLA CRITICA ALLA “CASTA”
“Casta” e trame
Praticamente, non vi è discorso populista, sia esso reazionario, centrista o progressista, che non faccia leva, tra le proprie argomentazioni primarie, sulla critica alla “casta” dei politici e delle élite incapaci, privilegiati, corrotti e indifferenti alle reali problematiche del popolo. Questo tema richiede di essere anch’esso sussunto nel progetto politico qui immaginato. Eppure, la sua stanca riproposizione, quale già rilanciata dai megafoni del M5S, appare del tutto insufficiente, sia per caratterizzare un populismo progressista, sia per poter veramente comprendere, criticare e mettere in discussione i rapporti di potere.
Un suggerimento nell’articolare il discorso può giungerci dall’elaborazione recente di Podemos, dall’evoluzione della nozione di “casta” in quella di “trame”: ancora più pregnante è questo termine per descrivere la situazione italiana, in cui, esaltando caratteri che già osservava Gramsci nella società del suo tempo, il paradigma dei rapporti di potere sta nella sovra-ordinazione di congreghe opache ai processi decisionali pubblici, nella corruzione endemica della politica e dell’amministrazione a ogni livello, nel clientelismo diffuso, nella consustanzialità diffusa del crimine organizzato con il sistema politico, con apparati dello Stato e con il tessuto produttivo del Paese, il tutto accompagnato dalla repressione poliziesca, anche preventiva, del dissenso e dalla compressione del diritto di manifestare.
Trame e strategia della tensione
È spesso sottostimata la portata del fatto che la gestione e il mantenimento del potere in Italia si siano fondati, in una lunghissima stagione che si dilunga da Portella della Ginestra ai fatti della Uno Bianca e a quelli della Falange Armata, sull’uso sistematico di una strategia della tensione che ha visto coinvolti a vario titolo apparati dello Stato (e di altri Paesi NATO), poteri finanziari, mafie ed eversione neofascista, in un intreccio inestricabile in cui si sono in gran parte formati le relazioni e le aperture di credito su cui si fonda l’assetto attuale delle trame.
Spiegare lo stato dei fatti prescindendo da tale periodo è impossibile, perché il presente ne è in gran parte l’involuzione e l’incrostazione in una fase in cui diversi e più sofisticati mezzi di disinformazione di massa ne hanno reso inutile l’aspetto più sanguinario. La stagione della strategia della tensione ha lasciato un’impronta marcata sul sentire collettivo, ha alimentato una (motivata) diffidenza verso le strutture dello Stato ed è alla base di una memoria storica diffusa, sia pure sempre più raramente evocata nel dibattito pubblico.
Il legame tra le trame di oggi e quelle di ieri dovrebbe invece essere dovutamente esaltato in un discorso populista adeguato alla fase storica, portando avanti rivendicazioni quali la desecretazione di tutte le informazioni su stragi di Stato ed eversione nera, la costituzione di commissioni parlamentari d’inchiesta che facciano luce, di fronte agli occhi dell’opinione pubblica, sulle responsabilità politiche e giuridiche (anche quando la sanzione sia ormai prescritta) e sugli strascichi delle relazioni formatesi negli anni della strategia della tensione tra mondo della politica, dell’alta amministrazione, degli affari e del crimine organizzato di oggi.
Trame e democrazia
È evidente come questa spiccata attitudine italiana di ieri e di oggi alle trame svuoti quasi del tutto le istituzioni democratiche rappresentative di ogni potere decisionale, non meno di quanto esse ne siano svuotate dal trasferimento di competenze a organi “tecnici” europei e nazionali, privi o carenti di controllo democratico. La rivendicazione di una piena sovranità democratica e popolare, contro la sua cessione tanto ad auto-investiti organi “tecnici”, quanto al mondo torbido delle trame, deve allora trovare un posto di grande importanza nella costruzione di un populismo progressista con caratteristiche italiane.
4) LAVORO E DEMOCRAZIA
Democrazia politica e democrazia sul luogo di lavoro
Una maggior trasparenza e una democratizzazione della vita pubblica sono vitali un po’ in ogni discorso populista. Ciò che può caratterizzare un populismo progressista è tenere insieme la stessa rivendicazione nella sfera più strettamente politica con quella della democrazia sul luogo di lavoro, attribuendo anche per via legislativa un potere gestionale, decisionale o di veto in una serie di materie alle assemblee dei lavoratori.
Contro la disoccupazione
Le proposte in tema di lavoro fatte proprie anche da una certa sinistra risultano quanto mai ondivaghe, al punto da essersi fatte superare in chiarezza e radicalità persino dal Papa! La preminenza sociale di chi produce resta il faro di ogni progressista e la sua traduzione politica è nella rivendicazione di un diritto (e dovere) universale al lavoro e di un dovere istituzionale dello Stato, anch’esso da sancire costituzionalmente, di garantirne l’esercizio a ogni cittadino. La parola d’ordine in risposta alla mancanza di lavoro non può che essere la riduzione dell’orario di lavoro a parità (almeno) di salario e un’anticipazione dei pensionamenti per consentire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Ancora una volta: lavorare meno, lavorare tutti! Anche la piena parità di trattamento economico e di carriera tra i lavoratori e le lavoratrici e una più equa regolamentazione del lavoro straordinario e del lavoro notturno sono rivendicazioni importanti e popolari.
Interdizione della precarietà, introduzione di un salario minimo legale
Ancora, è indispensabile levare ai datori di lavoro lo strumento infausto di cui da anni si servono per fomentare una concorrenza al ribasso tra i lavoratori, ovvero l’autorizzazione di modelli contrattuali precari di vario genere (al di fuori di ambiti produttivi specifici in cui essi possono essere autorizzati da esigenze oggettive: lavori agricoli stagionali, apprendisti di botteghe artigiane o di piccoli esercizi commerciali, lavori domestici occasionali, ecc.), tali da porre il lavoratore sotto ricatto continuo.
Al tempo stesso, i vincoli al licenziamento senza giusta causa nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato devono essere reintrodotti ed estesi alle piccole imprese e la possibilità attribuita alla contrattazione diffusa di derogare in peius a quella nazionale deve essere abolita. Infine, è indispensabile rivendicare l’introduzione di un salario minimo legale generale e per ogni categoria, essendo storicamente risultato insufficiente l’affidamento in toto della materia alla contrattazione collettiva e all’apprezzamento dei giudici.
5) NON-ALLINEAMENTO IN POLITICA ESTERA
L’affermazione di una politica estera di neutralità, cooperazione e non allineamento ai blocchi (comportando, quindi, l’uscita dalla NATO), rivolta all’obiettivo di un disarmo concertato multilaterale, è ampiamente popolare e a sua volta elemento di unificazione del “popolo” contro gli interessi predaci del complesso militare industriale. In quest’ottica, può spostarsi il baricentro diplomatico e commerciale dell’Italia verso il bacino mediterraneo, sulla base di accordi commerciali equi e paritari.
È prioritario proporre (per esempio, sul modello della Costituzione giapponese successiva alla sconfitta del 1945) il rafforzamento delle disposizioni costituzionali in tema di ripudio della guerra, introducendo in ogni caso un vincolo alle forze armate alla mera difesa del territorio nazionale da aggressioni esterne, vietandone l’utilizzo e la minaccia di utilizzo fuori dai confini italiani al difuori del caso di difesa da un’aggressione. Può inoltre proporsi di riprendere a utilizzare le FF.AA. in caso di catastrofi naturali sul territorio italiano (o di Paesi che richiedano assistenza), dismettendo le strutture di Protezione civile continuamente incorse in scandali di corruzione. Dalla dismissione della Protezione civile e dalla riduzione delle spese di armamento discenderebbe lo sblocco di notevoli risorse da reimpiegare nelle politiche sociali.
6) RECUPERO E VALORIZZAZIONE IN SENSO PROGRESSISTA DELLE IDENTITÀ LOCALI
Identità locali e interesse nazionale
La centralità del tema dell’interesse nazionale – tradito e da ripristinare – non si oppone alla valorizzazione delle identità locali (culturali, linguistiche e dialettali, gastronomiche, sportive, di produzioni e mestieri tipici…); anzi, in un Paese in cui esse sono intense come in Italia, è indispensabile, perché l’interesse nazionale possa tornare ad assurgere a elemento politico unificatore di un popolo, che vi si accompagni strettamente.
Mezzogiorno e rivendicazione di un “diritto a non dover emigrare”
Nel Mezzogiorno, la valorizzazione delle identità locali passa per l’affrontare le problematiche specifiche del Sud e delle isole, con la capacità di avanzare una proposta forte che comprenda la lotta alla disoccupazione e quella alla mafia, puntando al ripristino di un tessuto produttivo ed economico che si liberi dalle piaghe dell’emigrazione, interna o estera, e dei fenomeni di controllo o influenza malavitosi sulla possibilità di svolgere un’ordinaria vita professionale in loco. La rivendicazione di un diritto a non dover emigrare, da realizzarsi garantendo in tutto il territorio nazionale opportunità lavorative, servizi pubblici essenziali e luoghi di aggregazione, si connette strettamente con il discorso di una programmazione strategica dell’economia e dell’apparato produttivo nazionali.
Un’ultima considerazione deve farsi sulla tematica della contrapposizione fascismo-antifascismo. Essa mantiene un valore simbolico per ampie fasce della popolazione, ma è stata talmente annacquato dalla mistificazione ideologica degli ultimi anni da rendere difficile riconoscere nell’antifascismo uno degli snodi naturali di un’operazione populista in Italia. Eppure, limitatamente a questo tema, mi pare necessario, una volta tanto, essere più “ideologici”.
La scelta di una forma politica più liquida, che invece di partire da un terreno dato, ormai eroso, punti a ricostruire il proprio terreno traducendo in un tessuto compatto quell’insieme sparpagliato di spunti del sentire popolare diffuso alludenti a un altro modello di società, sembra la sola possibile scelta vincente per una svolta democratica e progressista nell’Italia di oggi. Intraprendere questa via non è però privo di fragilità, una delle quale risiede proprio nella capacità d’infiltrazione sperimentata da decenni da gruppuscoli terzo-posizionisti, invischiati nelle più torbide trame d’Italia, che altro non attendono che una tigre da cavalcare per trovare un megafono per inquinare le acque per conto terzi e amplificare le proprie idee scioviniste e cripto-fasciste.
Organizzare da subito un sistema, ideologico e organizzativo, in grado di tener fuori simili gruppuscoli e individui risparmia di doversene poi difficoltosamente tentare di sbarazzare già per strada e con assai più gravi conseguenze. Per questo, è fondamentale rimarcare dall’inizio la discriminante antifascista del percorso populista ed essere sicuri che la porta resti ben chiusa a ospiti indesiderati.
Il tentativo, largamente incompleto, di queste pagine, sta nel cominciare a immaginare in cosa possa tradursi, in termini di proposta politica, l’intuizione di un populismo democratico e progressista in Italia. Ciascuno degli spunti meriterebbe (e, spero, meriterà) ben più esauriente trattazione. La delineazione, ipotetica, di siffatte tematiche, è un suggerimento a individuare prioritariamente alcuni filoni di problematiche di lavoro: in numero abbastanza limitato da facilitare la trasmissione e la comprensione d’insieme del progetto politico, abbastanza ampio da poter fondare una visione organica di Paese.
Si tratta di suggerimenti rivolti a chi, a partire dai redattori del presente sito, si trova o si troverà presto confrontato alla questione di cosa, in concreto, possa costituire un populismo progressista italiano, di quali contenuti principali possano riempire di una sostanza rivolta alla rottura sociale e politica l’adozione del metodo populista nel nostro Paese.
Su simili basi, mi sembra indispensabile, come sperimentato dalla France Insoumise, sollecitare un’elaborazione programmatica aperta, diffusa e partecipata, dettagliata, di ampio respiro, in grado di mobilitare intelligenze ed entusiasmi già in una fase iniziale del progetto politico e di far identificare lo stesso con un’esperienza reale di democrazia civica: senza la prescia e la frenesia di qualche scadenza elettorale prossima, ma nella coscienza di star dando vita a un disegno di ampio respiro e di lunga scadenza, in grado, se ben avviato, di incidere realmente sulle sorti del Paese.
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