L’antifascismo xenofilo: “dialettica” liberale antipopulista (sedare la lotta di classe)
di LUCIANO BARRA CARACCIOLO
Ponendo la questione sul piano delle ideologie storiche, poiché questo è il senso comune diffuso che ne definisce i termini, si possono trovare una serie pressocché indefinita di opinioni basate su ricostruzioni selettive dei fatti; una selezione guidata apppunto dal “senso comune” di chi compie la ricostruzione e che, talora, si sedimenta come “auctoritas”, cioè come descrizione prevalentemente accettata (dal senso comune, nell’orizzonte transitorio di un certo periodo storico).
In questo senso è l’interpretazione dei due massimi esponenti del pensiero marxiano in Italia, e tra i più noti e accreditati al mondo, e che, in aggiunta (elemento impossibile da trascurare), sono stati altresì testimoni diretti della nascita e dello sviluppo del fascismo: Gramsci e Basso.
a) all’autoritarismo poliziesco, all’imperialismo militare, e/o a varie combinazioni tra i due– prima anima capitalista: finanziaria e bancocentrica;
b) ovvero a vari cedimenti a forme istituzionali che cerchino di conciliare la democrazia liberale, cioè oligarchica, (che controlla il processo elettorale con metodo idraulico) con una certa mobilità sociale, essenzialmente legata a varie forme di welfare pro-labor: quel tanto che basta per scongiurare la rivolta di massa o, peggio, la rivoluzione organizzata del mondo del lavoro – seconda anima capitalista, talora prevalente, come nel New Deal post ’29, protezionista, industrialista e anti-finanziario, e, peraltro, sempre con la riserva mentale della possibilità di riprendersi quanto “ingiustamente” concesso al fattore lavoro, (magari dopo una guerra che dia soluzione agli altrimenti insolubili problemi di insufficienza della domanda aggregata e di sotto-occupazione, laddove si ritenga irrinunciabile mantenere la democrazia formale e lo Stato “liberale”).
1. « Ci sarà infine qualche cretino che griderà al complotto di qualche servizio segreto per favorire XYZ nelle urne. »
Io sono uno di quei cretini.
Ora, non mi aspetto che chi non abbia capito nulla di ciò che è successo negli anni’70 in Italia lo possa capire ora. È inutile citare la Cox come è inutile spiegare perché Marx sostenne il conservatore Lincoln. Ovvero è inutile spiegare le due anime storiche del capitalismo che, nella loro dialettica, offrono delle opportunità all’avanguardia democratica che per struttura, in condizioni normali, ha pochissimi spazi politici.
Ciò da cui non ci si può astenere, però, è lo stigmatizzare l’antimarxiano muoversi per appartenenza, acritico ed incosciente.
Ma che diavolo sarebbe ‘sta fava di “antifascismo”, fuori dalla reale concretezza della situazione storica, che viene sbandierato da generazioni di socialisti falliti?
La Costituzione è antifascista in quanto socialista. E si richiama all’antifascismo in quanto si rifà alla comunione di intenti della concreta situazione storica della Resistenza. Punto.
Ora: l’anima “nera” non è quella del “fascismo”. È quella del capitalismo. Giusto?
Il socialismo nasce come anticapitalismo. Non nasce come un “antifascismo” fuori dalla storia.
Ora il capitalismo si è riproposto nel suo totalitario liberalismo ottocentesco: cosa facciamo? Continuiamo a fare gli “antifascisti” al servizio del capitale?
I democratici sono socialisti, ossia anticapitalisti: non sono né di sinistra né antifascisti che, guarda un po’, trovano eco in organizzazioni tipo “Antifa” che sono TUTTE infiltrate se non direttamente finanziate dal grande capitale liberal. Così come certe formazioni di “estrema destra” come Forza Nuova.
La verità è che l’Internazionale dei lavoratori nasce in ottica anti-immigrazionista e nazional-indipendentista (qui, p.4): a farlo ora ci sono partiti e movimenti senza cultura socialista e democratica che si sono storicamente rifatti a regimi conservatori.
La responsabilità è di chi si propone come “intellettuale socialista” e continua a ragionare come la sinistra nata dal Sessantotto… ossia la sinistra neoliberista.
2. Signori, dando per assodato che conosca come la vostra posizione si distingua dal resto del pensiero di sinistra reazionario, il mio intervento è volto a criticare ciò che non considero una sufficiente presa di distanza radicale dall’antifascismo neoliberale.
Il motivo è banale: l’antifascismo degli ultimi decenni – se non di gran parte dell’intero dopoguerra – ha fallito nel suo compito di portare coscienza alle masse. Ossia ha, nell’evidenza che ci circonda, perso politicamente.
Non so se ho “cileccato”, ma l’origine della mia critica è quella che ho riportato in testa al mio commento.
Poiché condividiamo una comune coscienza democratica, ossia nazionale e di classe, probabilmente converrete con me che il fascismo, storicamente, è stata una delle tante maschere del capitalismo.
Se questo è condiviso, dovrebbe essere anche condiviso che la maschera fascista, ossia al di fuori dalla Storia, è in se stessa un finto bersaglio.
Di conseguenza, qualsiasi antifascismo astorico, che si rifà ad una qualche essenza morale, antropologica, del fascismo (come quello dei Wu Ming che si chiedono come mai il loro tweet viene retuittato dai bot…), è necessaria per creare una (falsa) dialettica con lo spaventapasseri del fascismo: questa finta dialettica è quella che negli anni ’70 è stata chiamata “strategia degli opposti estremismi”, “strategia della tensione“, da una parte fondata sulla neoliberistica equiparazione di comunismo e nazifascismo come opposti totalitarismi e, in cui, i liberali sarebbero i democratici al posto dei socialisti, dall’altra creando un divide et impera, una semi-guerra civile che ha distratto dall’unico e vero – a anche per motivi filologici – nazifascismo (qui, p.2): quello di Hallstein e dell’eurounionismo, dell’imperialistico diritto comunitario, federalista e liberoscambista.
Il liberoscambio (qui, pp. 1-3), quello che i nazisti provarono ad imporre con i panzer, come ben sapete, postula la libera circolazione dei capitali, dei beni e delle persone.
Come da tradizione del più grande Instrumentum Regni mai inventato – il cristianesimo – questo autentico atto politico volto a segmentare e a distruggere qualsiasi coscienza nazionale e di classe – quello dell’immigrazione e della tratta degli schiavi – necessita di questo moralismo peloso: che si chiami razzismo, xenofobia, fascismo, sessismo, omofobia, islamofobia, stagranfavafobia, si tratta sempre e solo di moralismo volto a sedare qualsiasi reazione patriottica e di classe e, dall’altra, far montare irrazionale panico livoroso in chi vede il pericolo di questi fatti sociali ma non ne comprende le cause ed i fini.
Usare già il termine “xenofobia” è già usare le categorie del nemico.
Tutti hanno paura del “diverso”, in qualsiasi sua accezione (qui, pp. 5-8): è banale psicologia.
Tutto ciò che è volto a colpevolizzare i sentimenti che NON si possono NON provare (qui, pp.5-7.1.)è clericale pratica dell’Instrumentum Regni.
3. Per creare questa finta dialettica, sezionalizzante e distraente dal conflitto di classe e dall’imperialismo, la longa manus del capitale – di cui i “servizi” che non rispondono allo Stato sono, da sempre!, storicamente parte – può creare casi di cronaca. La coincidenza del fatto di Macerata con quello della povera Pamela è troppo evidente per tacciare chi ci vede una manovra politica dietro di essere un “cretino”. Assomiglia troppo alla strategia della tensione.
Non si può non pensare a cosa sia successo dopo Rimini, o alla Cox, o, per altri motivi ancora, cosa sia successo a Bologna, o dopo Ustica.
Poiché ciò che argomento mi pare organico e coerente a tutti i livelli di chi prova a ragionare con il “materialismo dialettico”, non può vedere una certa precomprensione a questi fatti di cronaca dovuti a motivi di antimarxiana “appartenenza”.
Ora, il livore montante per il panico dovuto all’immigrazione è assolutamente preoccupante, da temere la guerra civile e il tipico utilizzo – tanto stigmatizzato da Marx ed Engels – del sottoproletariato come esercito reale per opprimere le masse di lavoratori, di disoccupati ed inabili.
Sono intervenuto a gamba tesa anche tra i “sovranisti” per criticare l’eccesso di identitarismo e l’uso di toni che si possono rivelare controproducenti, non solo per motivi coscienziali, ma anche per l’uso che ne può venir fatto dai vari panzer del politicamente corretto. Politicamente corretto, liberal, che, basti vedere i sussidiari delle scuole elementari, sappiamo essere ingegneria sociale totalitaria.
Ora, o ci si smarca da quel branco di socialisti inutili che Marx ed Engels avrebbero preso a calci nel sedere come i Wu Ming, che non fanno che amplificare la propaganda dei Saviano e dell’oppressione finanziaria, oppure in Italia non rimane veramente più nulla; manco uno scampolo di coscienza.
Io vi voglio bene: ma qui il terzo non si può dare: o a Macerata si vede un innesco volto alla strategia della tensione (di cui i fini elettorali sono ovvi), oppure non lo si vede e si dà a chi la pensa così del “cretino”.
Una delle due posizioni fa cilecca. Per carità, è dialettica ma, come ho argomentato, è basata sulla coscienza di “fondamentali”: non sono sicuro di aver fatto cilecca io.
4- Un post scriptum, per massima chiarezza e tentare un Aufhebung volto a grattar via decenni di quella che io credo essere falsa coscienza sedimentata: quello che il capitale trasnazionale teme non è un partito socialista, per il semplice fatto che non esiste proprio più il pensiero socialista, ovvero il pensiero democratico.
Quello che il capitale cosmopolita e mondialista, difeso dai Toni Negri e dai Saviano, teme ora, è la crescita di partiti conservatori nazionalisti che si mettano di traverso alla nuova feudalizzazione voluta dal cosmopolitismo borghese: quel nazionalismo rappresentato dai Putin, dagli Orban, dalla Regina d’Inghilterra (vedi la sua posizione sulla Brexit) o dai Trump: questo nazionalismo che ama l’identitarismo della tradizione e che protegge gli interessi del capitalismo industriale; v. Main Street Vs Wall Street, v. il repubblicano Lincoln, erede della tradizione “hamiltoniana” volta allo sviluppo industriale tipicamente nordista contro il partito liberale sudista, filo-britannico, liberoscambista e schiavista.
Voglio dirvi che il cieco è colui che non si accorge che il totalitarismo fascista è già tra noi, e l’autoritarismo è già prossimo a venire, basti vedere le leggi per la censura, in preparazione pre-bellica.
Il cieco è colui che non vede che l’antifascismo è sventolato per non permettere partiti antiliberisti – perché l’immigrazionismo, come sapevano i comunisti, è liberismo applicato al lavoro-merce- di acquisire consenso e di portare coscienza nazionale.
Coscienza nazionale che, piaccia o meno, è propedeutica alla coscienza di classe.
Ragionare per “amici e nemici”, in modo ideologico e non strumentale rispetto alla concretezza del momento storico, lo considero più schmittiano che marxista.
Se mi sono spiegato bene, si arriva alla conclusione che è facile che Marx, come sostenne il borghese Lincoln, oggi sosterrebbe i vari Putin ed Orban, e tutti i partiti conservatori ma nazionalisti e “statualisti”, perché non ragionava per appartenenza, ma, come Lenin più avanti, ragionava in modo dialettico sulle opportunità che le contraddizioni del capitalismo riserva imprevedibilmente.
meno partigiana del “fenomenologo”.Ora: se il “razzismo” è stata una sovrastruttura dell’imperialismo, ovvero una proiezione classista per far collaborare i ceti subalterni nella colonizzazione di nuovi mercati, l’allarme “xenofobia” con cui il “razzismo” è stato ribattezzato, ha il significato *non marxista*, ma LIBERALE, di MORALISTICA inclusività del “diverso” che nulla ha a che fare con l’inclusività SOCIALE, che permette la piena partecipazione di tutti i lavoratori alla cosa pubblica tramite la socializzazione del potere economico e politico.
Il moralismo liberale è il “nuovo” clericalismo laico.
Io rimango con Marx ed Engels: il sottoproletariato è un nemico di classe.
Vanno stigmatizzati i tipici stereotipi razzisti da parte dei conservatori perché portano falsa coscienza. Ma dell’educazione politicamente corretta non me ne può fregar di meno.
Poiché credo che tutti gli uomini siano uguali nella sostanza, me ne batto di quella roba ipocrita che fa la sinistra da decenni: la liberale e clericale sussidiarietà verso “i deboli”.
Deve ritornare il concetto di solidarietà: nazionale e di classe.
Gli immigrati vanno fermati: soprattutto se arrivano dall’Africa o dal sudest asiatico. È l’abc del socialismo: questi sono lavoratori senza un minimo di coscienza sindacale. Non divengono generalmente “compagni” neanche quando emergono dal sottoproletariato.
C’è un’esperienza secolare dei marxisti statunitensi su questo tema (qui, p.5).
Gli infiltrati neofascisti fomentano solo conflitti sezionali in una società artificialmente segmentata per evitare lotte di emancipazione di classe e anti-imperialistiche.
Non solo Bordiga, che diceva certe cose da un particolare punto di vista, ma anche Basso stigmatizzava già certe categorie di lotta nel primo dopoguerra.
È inutile fare dei distinguo nominalistici sull’antifascismo: l’antifascismo, per come viene “ermeneuticamente” inteso, significa antiautoritarismo, inclusività sussidiaria (moralismo di formale antirazzismo che rivela dei sostanziali pregiudizi di carattere razziale). Lotta per la libertà delle minoranze…Che framework concettuale ed ideologico è?
L’antifascismo è PURO LIBERALISMO. È patente neoliberalismo piccolo-borghese.
L’antifascismo è un neoliberale frame divisivo per non permettere resistenza.
Il confronto con i partiti conservatori deve rimanere ESCLUSIVAMENTE sui contenuti economico-sociali.
L’identitarismo nazionale conservatore, in quanto propedeutico all’identitarismo di classe, va sostenuto. La sinergia sui contenuti di indipendenza nazionale e di difesa dello Stato sociale va ricercata.
Va condiviso il conservatorismo culturale da opporre al sorosiano e nazista modernismo reazionario. E ovviamente va condiviso lo sforzo su quegli obiettivi propedeutici al progressismo sociale.
In sintesi? Io chiamerei leghisti e “destre sociali”, in questo frangente politico, “socialisti che non sanno l’economia” [NdQ: probabilmente Bazaar concorderà con me che, in una riflessione non contingente e frettolosa, Lega e destre sociali siano fenomeni geneticamente non assimilabili: in particolare la Lega è un movimento federalista e liberale, senza alcuna aspirazione, fino ad oggi, a connotarsi come “socialista”. Un fenomeno di “destra economica” vicino alla seconda anima del capitalismo. Quindi, anche potendo prescindere dai suoi attuali, contingenti, e prestigiosi, esponenti “economisti”, a noi ben noti, non può essere tacciata di “non sapere l’economia”; quanto, semmai, di…non preoccuparsi della storia dell’economia e dei meccanismi causali, tutt’ora in atto, che essa segnala].
Il materialismo dialettico porta a questo: è lo studio dell’economia politica che fornisce le categorie per dividere schmittiamente gli amici dai nemici nel concreto momento geostorico.
Tutto il resto è moralismo reazionario.
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