di LUCIANO BARRA CARACCIOLO
Il ddl a prima firma Preziosi è stato firmato da tredici parlamentari del Partito democratico, il disegno di legge a prima firma Mazziotti (Cl) è stato firmato da trentacinque deputati di diversi partiti, dal Partito democratico a Fratelli d’Italia, passando Per Forza Italia e Area popolare.
A parte qualche differenza di drafting,
le due proposte di riforma costituzionale sulla questione pensioni coincidono pure “lessicalmente“, come viene spiegato dall’Ansa.
Cominciamo dalla fine. Questo è il testo (appunto “lessicalmente” coincidente nelle due iniziative obiettivamente convergenti) del proposto nuovo quarto comma dell’art.38 (su cui si appunta la revisione):
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE
ART. 1.
1. Il quarto comma dell’articolo 38 della Costituzione è sostituito dal seguente: « Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato secondo princìpi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni ».
3. Esaminiamo e commentiamo i passaggi giustificativi fondamentali della Relazione di accompagnamento (che potete leggere per intero qui), cioè quelli che fondano come presupposti dimostrativi il resto delle affermazioni:
“Perchè questa proposta di legge
Il rapporto Pensions at Glance 2015, diffuso dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) il 1° dicembre 2015, mette in luce in maniera molto netta alcunedifficoltà del sistema previdenziale italiano.“
Commento: dunque, come invariabilmente accade da qualche anno – o meglio decennio- a questa parte, le riforme costituzionali devono appoggiarsi su qualche esigenza o problema che emerge da una qualche organizzazione internazionale di natura economica che, in qualche modo, si preoccupa di monitorare e dettare l’agenda politica italiana, fino al punto da incidere sulla Costituzione nei suoi principi fondamentali.
4. Ci vengono poi riportati una serie di numeri e di dati che si compendiano nella consueta affermazione che, quanto alla spesa pensionistica, “l’incidenza sul PIL è cresciuta di 0,2 punti percentuali, dal 16,97 per cento del 2013 al 17,17 per cento del 2014″.
“In tutti i paesi europei, tranne l’Irlanda, la voce di spesa più importante è la previdenza(15,1% nell’EU-16); questa voce in Italia è pari al 18,8%, in Francia al 16,5% e in Germania al 13,6%.
La superiorità del nostro dato previdenziale di 3,7 punti rispetto alla media europea è tuttavia viziata da diverse disomogeneità presenti nelle statistiche.
Ad esempio, l’Eurostat include nella spesa pensionistica italiana i trattamenti di fine rapporto (pari all’1,7% del Pil) che non sono prestazioni pensionistiche.
C’è poi che le spese pensionistiche sono confrontate al lordo delle ritenute d’imposta, ma le uscite pubbliche sono quelle al netto.
Tuttavia, mentre in Italia le aliquote fiscali (sulle pensioni) sono le stesse che si applicano ai redditi da lavoro, per un ammontare trattenuto pari a circa il 2,5% del Pil, in altri paesi spesso sono inferiori e in Germania sono addirittura nulle, cosicché i confronti operati al lordo sovrastimano i nostri trasferimenti pensionistici che, in realtà, non sono affatto anomali.
In ogni caso, dopo le riforme del 1992 e 1995, fin dal 1998 il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali nette è sempre stato attivo; l’ultimo dato, del 2011, è di ben 24 miliardi di euro. Dunque, il nostro sistema pensionistico pubblico non grava sul bilancio pubblico, anzi lo migliora in misura consistente (pari a sei volte le entrate Imu sulla prima casa!)“.
5. Probabilmente il dato di Mazziotti sconta già la sottrazione del trattamento di fine rapporto (le due indicazioni sulle prestazioni puramente pensionistiche tendono a coincidere sul 17 e qualcosa rispetto al PIL).
Ma come al solito si evita di considerare la prestazione al netto dell’imposizione diretta, il cui prelievo porta al consistente attivo sopra visto (circa 24 miliardi di euro) e smentisce in partenza qualsiasi problema attuale di insostenibilità.
Tanto più che, nella stessa Relazione, l’aumento del numero di prestazioni pensionistiche èdistrattamente ammesso come puramente transitorio, senza esplicitarne le cause: cioè laprolungata recessione €uroindotta per l’aggiustamento dei conti con l’estero, da cui l’esigenza di piazzare gli esuberi dei settori desertificati dalla crisi, nonché i pensionamenti anticipati dovuti alle norme-ponte di salvezza per coloro che erano prossimi alla pensione e, avendo maturato i requisiti ultrattivi del vecchio regime, hanno concentrato in pochi anni le richieste di quiescenza per salvaguardarsi dall’entrata in vigore della rifoma “Fornero”.
6. Il problema, infatti, e lo dice pure l’OCSE citato da Mazziotti, non è la sostenibilità finanziaria “di sistema”, ma la sostenibilità della vita dei pensionati futuri, cioè gli attuali giovani.
Qui è il punto chiave che fa crollare tutta l’impalcatura logica delle due proposte di
revisione dell’art.38:
“Come avverte l’OCSE, è forte il rischio che i lavoratori più esposti al rischio di una carriera instabile, a una bassa remunerazione in lavori precari non riescano a maturare i requisiti minimi per la pensione contributiva anche dopo anni di contributi elevati.
Più semplicemente, come ha affermato il Presidente dell’INPS, Tito Boeri, i trentenni potrebbero essere costretti ad andare in pensione a 75 anni per ricevere, se matureranno i requisiti, una pensione inferiore del 25 per cento rispetto a quanto ricevono i pensionati di oggi. Sul fronte contributivo, poi, giovani e donne potrebbero scontare in maniera molto più pesante di altre categorie periodi di assenza dal lavoro, disoccupazione e inattività“.
7. Come si vede, nè l’OCSE nè Boeri, a saper capire il senso delle loro affermazioni collegano in alcun modo l’ammontare delle pensioni future dei giovani all’eccesso di prestazioni attribuite ai “vecchi”, come invece insinua la relazione di Mazziotti che, su questo aspetto, giustifica la “disuguaglianza”.
Il problema è esclusivamente dovuto al
combinato del nuovo regime del rapporto di lavoro dipendente, del tutto
flessibilizzato e precarizzato, per il sovrapporsi delle note
riforme supply-side, cioè pro-impresa,
“a ondate” volute dall’€uropa, e del
simultaneo innalzamento progressivo dell’età pensionabile dovuto alle altrettanto continue riforme pensionistiche, che si basano su un
aumento delle aspettative di vita che si sta rivelando, oltretutto, piuttostofallace, via via che, come ci dicono dati accuratamente trascurati dai neo-legislatori costituzionali, si smantella la sanità pubblica rispetto ad una platea crescente di working poors.
Cioè
la violazione della parità di trattamento è dovuta al Legislatore, €uro-osservante e “austero”, e non a comportamenti abusivi o moralmente riprovevoli delle precedenti generazioni.
Il Legislatore ha peggiorato irragionevolmente la condizione di lavoratore e, di conseguenza, la base di retribuzione su cui applicare i contributi e ricavare la futura pensione: nel far ciò ha violato sia l’eguaglianza sostanziale (art.3, comma 2, Cost.) che il parametro dell’adeguatezza della prestazione (futura ma già deteminabile), cioè l’art.38 Cost (e, prima ancora, l’art.36, durante la vita lavorativa di tutti i dipendenti, da almeno qualche decennio).
Invece di rimediare a queste storture con una legge, si tende a sanare la illegittimità costituzionale, di quanto fatto in nome dell’€uropa, aggiustando il parametro costituzionale!
8. Dunque, su queste basi logicamente labili e confuse si vuol forzare il principio di eguaglianza (Ma non si può considerare equo un Paese nel quale il sistema pensionistico discrimina fra pensionati di generazioni diverse. Viene meno un caposaldo della Costituzione, il principio di uguaglianza), per giustificare il taglio delle prestazioni in godimento, e delle aspettative basate sull’attuale ed effettivo livello contributivo dei “vecchi”, in nome dellanon discriminazione tra le generazioni?
Ma la discriminazione è avvenuta per via del peggioramento legislativo e €uro-osservante, cioè deflattivo e competitivo, del mercato del lavoro!
La sintesi di tutto ciò è che, come al solito, si vuol giustificare l’espropriazione della condizione previdenziale legislativamente sancita delle precedenti generazioni, in quanto conforme a Costituzione, per appiattire tutti sulla condizione peggiorativa delle generazioni future determinata da una sopravvenuta disciplina palesemente incostituzionale del mercato del lavoro!
E si vuol sanare il tutto introducendo una nuova norma costituzionale che, nella sostanza, introduca illimitate restrizioni retroattive della condizione dei pensionandi e dei pensionati, in nome del principio di eguaglianza!
9. Trattandosi della già vista mistica della solidarietà intergenerazionale, richiamiamo quanto detto in proposito (
qui p.6), segnalando la gigantesca contrarietà al modello costituzionale lavoristico (artt.1, 3, comma 2, 4 e 36 Cost.) di questo “curioso” concetto:
[Nel caso del disegno della Costituzione del 1948] (
qui, p.4) si tratta della
redistribuzione ex ante che implica l’intervento dello Stato per rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena parità di ciascun cittadino nell’esprimere appieno le proprie capacità.
Lo Stato, perciò, interviene con l’istruzione pubblica (gratuita), il sistema delle borse di studio, e, più in generale, col sostegno al reddito delle famiglie dei lavoratori, e quindi alla loro effettiva possibilità di risparmio, realizzato tramite redditi aggiuntivi indiretti, tipica l’assistenza sanitaria pubblica universale, e differiti, tipico il sistema previdenziale pubblico alimentato da prelievi sia sul salario che sul datore di lavoro.
Tutto ciò non ha nulla a che fare con la solidarietà intergenerazionale invalsa sotto il regime €uropeista, e accettata dalla nostra Corte costituzionale, fondata sull’idea della scarsità delle risorse conseguente alla privazione della sovranità monetaria statale.
Questo euro-concetto di solidarietà intergenerazionale, corrisponde in essenza a una revanchedel neo-liberismo che si “riprende il maltolto”: essa, infatti, si concretizza in forme di prelievo a posteriori sul reddito previdenziale o sullo stock di risparmio delle classi lavoratrici, prelievo giustificato da limiti di bilancio istituzionalizzati per favorire la “stabilità monetaria”.
Questo tipo di prelievo è dunque teso a riappropriarsi, espropriandoli, del reddito e della ricchezza derivanti dalla precedente redistribuzione ex ante, per finanziare la carenza di reddito delle più giovani generazioni dovuta essenzialmente all’effetto del regime di mercato del lavoro conforme all’obiettivo della stessa “stabilità monetaria”.
10. Ma se tutto quanto abbiamo visto risulta illogico, privo di giustificazione nei dati economici e improntato al ribaltamento o alla grossolana incongruenza ricostruttiva dei rapporti causa/effetto, il problema è che si tratta:
a) di proposte, abbiamo visto identiche e convergenti, ampiamente bipartisan: perciò, ove mantenuta la rappresentatività dei partiti proponenti anche in prossime legislature, siamo e saremmo in presenza di condizioni politiche tali da rendere probabile il compimento del disegno;
b) di un
modo per alterare in via indiretta, cioè agendo addirittura su parametri offerti cosmeticamente come “equità” (che manca a monte nel regime del mercato del lavoro, contra Constitutionem) e “non discriminazione tra generazioni” (che sul piano pensionistico è la diretta conseguenza di questa disciplina del lavoro incostituzionale e peggiorativa),
i principi fondamentali dell’obbligo di attivazione dello Stato ex artt.3, comma 2, e 4 Cost., che non sarebbero altrimenti assoggettabili a una lecita revisione;
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