Il complesso cubano
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Andrea Muratore)
Trump rilancia l’ostilità nei confronti di Cuba, inserendola nel quadro di una politica latinoamericana fortemente interventista: la scarsa conoscenza della storia recente e degli sviluppi geopolitici della regione, tuttavia, rendono la strategia del Presidente votata a un probabile insuccesso.
Il braccio di mare separante la penisola della Florida da Cuba sembra essere destinato a conoscere una nuova, graduale divaricazione in seguito alle recenti scelte del Presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump, che lo scorso 16 giugno ha emanato un ordine esecutivo volto ad avviare la destrutturazione degli accordi siglati tra il governo di L’Havana e l’amministrazione di Washington in seguito al processo di riavvicinamento iniziato nel 2014. Processo di riavvicinamento che ha segnato la prima, importante fase di distensione tra Washington e L’Avana dai tempi del trionfo dei rivoluzionari di Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara nel lontano 1959 e che Trump si ripropone di interrompere minando alle basi gli accordi che ne fungono da sovrastruttura.
Il rollback trumpiano degli accordi politici ed economici siglati da Barack Obama e Raúl Castro tra il 2014 e il 2016 appare in ogni caso più formale che sostanziale. Come riportato da Martina Kunovic del Washington Post: “Le ambasciate in entrambi i Paesi resteranno aperte. I voli commerciali e charter diretti dagli Stati Uniti resteranno operativi. […] Gli americani rimarranno liberi di inviare quantità illimitate di denaro ai cubani sull’isola”, sebbene siano previste decise restrizioni alla concessione dei permessi di viaggio e delle opportunità di business per i cittadini statunitensi desiderosi di recarsi a Cuba.
Ciò che risulta fondamentale constatare, in questa situazione, è tuttavia la decisa svolta operata dalla nuova amministrazione nei confronti di L’Avana e la decisa influenza esercitata su tale cambio di rotta da diversi esponenti politici statunitensi appartenenti alla comunità cubano-americana, egemonizzata da diversi accaniti oppositori del governo rivoluzionario.
Tra questi si segnalano i repubblicani della Florida Marco Rubio e Mario Diaz-Balart, membri rispettivamente del Senato e della Camera dei Rappresentanti, e il Senatore democratico del New Jersey Robert Menendez, feroci anticastristi avversatori di qualsiasi tipo di compromesso tra i due Paesi: non è un caso, infatti, che Trump abbia annunciato il cambio di politica in un discorso pronunciato al quartiere Little Havana di Miami, alla presenza di Rubio e Diaz-Balart, di fronte ai membri di una comunità che ha rappresentato, nelle recenti elezioni presidenziali, una fonte decisiva per garantire la conqusita dello swing state della Florida. L’endorsement accordato nei suoi confronti è sembrato a Trump elemento sufficiente per rilanciare la contrapposizione tra gli Stati Uniti e Cuba e cavalcare la linea del rigore verso L’Avana portata avanti in maniera tanto inefficiente da numerosi suoi predecessori, anticipata nelle intenzioni dalle poche, brutali parole con cui il tycoon repubblicano ha “commemorato” la morte di Fidel Castro, definito “brutale dittatore” nel momento in cui, da Xi Jinping a Vladimir Putin passando per Justin Trudeau, leader di tutto il mondo celebravano la statura storica della figura del Lider Maximo.
Le prime fasi del discorso di Trump a Little Havana dello scorso 16 giugno
A risultare dissonante è l’appello di Trump a un maggiore rispetto dei diritti umani sul suolo cubano: l’amministrazione muove strumentali accuse al governo di Raúl Castro dimenticandosi che, di fatto, la strada per un miglioramento dei diritti umani sull’isola caraibica non può non passare per la chiusura delle prigione-lager a guida statunitense di Guantanamo. Agli osservatori più attenti non può non sfuggire il doppio standard di Trump e del suo governo: Washington ha di recente rafforzato l’alleanza con Paesi come Arabia Saudita ed Egitto senza preoccuparsi in alcun modo delle palesi, evidenti e largamente ingiustificate violazioni arbitrarie degli stessi diritti umani compiute sul loro territorio.
La forte ostilità statunitense verso Cuba segna il solco della politica latinoamericana della Casa Bianca, che a partire da gennaio ha conosciuto un deciso irrigidimento, sebbene in larga misura continui a percorrere le linee guida sviluppate dalle precedenti amministrazioni: per l’amministrazione Obama Cuba era fondamentalmente un paravento utile a celare la sua reale proiezione nei confronti dei Paesi situati a sud del Rio Bravo. Il riavvicinamento a L’Avana è stato utile per celare le contemporanee manovre statunitensi di avvallo alla destituzione di Dilma Rousseff in Brasile e di aperto supporto all’opposizione golpista in Venezuela: mentre visitava Cuba, Obama avvallava il regime change nel suo “Paese fratello”.
Nell’era Trump, la linea latinoamericana è stata ampiamente definita: rilancio dell’interventismo geopolitico nella regione, sviluppo di una versione aggiornata della “dottrina Monroe” e aperto sostegno ai governi conservatori e liberali come quelli di Michel Temer in Brasile e Mauricio Macrì in Argentina in aperta opposizione al “socialismo del XXI secolo” e alle sue volontà di autonomia regionale. In questo contesto, la strategia che passa per il varo di esercitazioni militari congiunte con le forze armate brasiliane nella regione amazzonica vicina al confine col Venezuela attraversa inevitabilmente anche il nodo dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba: Trump è deciso a reciderlo in modo netto, dimostrando una volta di più di avere scarsa consapevolezza delle dinamiche storiche e geopolitiche dello scenario regionale.
Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford, Carter, Reagan, Bush sr., Clinton, Bush jr., Obama: a partire dalla vittoria della Rivoluzione, la Cuba dei Castro ha fronteggiato, prima di Trump, undici diversi Presidenti degli Stati Uniti e sopportato il più lungo assedio della storia riuscendo a mantenere una sostanziale indipendenza in materia di politica estera. La conquista di L’Avana da parte dei rivoluzionari e, ancora di più, la resistenza delle forze armate cubane allo sbarco nella Baia dei Porci del 1961 non hanno solo sancito il definitivo affrancamento di Cuba da un destino di dominazione coloniale iniziato con la fondazione del primo insediamento spagnolo del 1511: esse hanno avviato una fase storica importantissima in cui Cuba ha saputo fronteggiare l’ostilità e la perenne minaccia della principale potenza planetaria senza mai dover recedere dalla sua posizione.
Nonostante alcune fasi di acuta difficoltà come il periodo especial degli Anni Novanta, l’embargo non ha mai isolato completamente Cuba: Trump si avvia sulla strada del fallimento, non conscio del fatto che l’esperienza storica dimostri in maniera palese quanto futile possa essere il rilancio di un’ostilità statunitense a senso unico. Tanto più che Cuba, nonostante abbia subito negli ultimi tempi alcune ripercussioni indirette della crisi venezuelana, non è affatto isolata nello scenario geopolitico: il governo di L’Avana è membro attivo dell’ALBA, si trova ben inserito nella dialettica multipolare e prosegue nell’incentivazione dei rapporti con la Russia, cementati di recente da importanti accordi sulle forniture petrolifere, e la Cina, oggi principale fornitrice delle forze armate di L’Avana. L’obiettivo di Trump di isolare politicamente Cuba è destinato a naufragare in partenza: la scarsa conoscenza delle dinamiche latinoamericane da parte dell’attuale inquilino della Casa Bianca porteranno il tycoon, sul lungo periodo, a non esser ricordato a Cuba se non come il numero dodici di una lunga lista.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/cuba-stati-uniti-trump/
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