La classifica dei Paesi più insicuri al mondo: lo Yemen è la “nuova Siria”
di LOOKOUT NEWS (Rocco Bellantone)
Nel 2017 lo Yemen è la nazione in cui è aumentato maggiormente il rischio di genocidio e catastrofi umanitarie. Sullo sfondo la crisi nel Golfo, con gli Emirati accusati di comprare armi dalla Corea del Nord
Secondo l’edizione 2017 del rapporto Peoples Under Threat, pubblicato il 20 luglio dal Minority Rights Group International, lo Yemen è il Paese in cui rispetto allo scorso anno è aumentato maggiormente il rischio di genocidio e catastrofi umanitarie.
Nel redigere la classifica dei 70 Paesi più insicuri al mondo, la ong con sede a Londra tiene conto di una serie di indicatori: non solo i numeri di morti, feriti e sfollati causati dai conflitti, ma anche il livello di democrazia, i metodi repressivi adottati dai governi per sopprimere le voci di dissenso, l’impossibilità per i funzionari delle Nazioni Unite di accedere a questi Paesi, l’isolamento internazionale.
Nella graduatoria generale la Siria si conferma al primo posto per il terzo anno consecutivo. Seguono Somalia, Iraq, Sudan, Afghanistan, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Yemen, Pakistan, Myanmar, Libia e Nigeria.
Riferita al 2017, la classifica vede invece in testa lo Yemen, con alle spalle buona parte dei focolai di crisi africani (Libia al secondo posto, Nigeria al terzo, Burundi al quarto, Eritrea al quinto, Angola al sesto, Uganda al settimo, Cameron al nono, Mozambico al decimo), la Turchia del dopo golpe (ottavo posto), il Bangladesh (undicesimo posto) e la Papua Nuova Guinea (dodicesimo posto).
Yemen, una crisi dimenticata
Nonostante gli oltre 10mila morti e i tre milioni di sfollati dall’inizio del conflitto nel 2015 tra i ribelli sciiti Houthi (sostenuti dall’Iran e dalle milizie fedeli all’ex presidente Saleh) e una vasta coalizione di Paesi arabi guidata dall’Arabia Saudita in appoggio al presidente deposto Hadi, lo Yemen resta confinato nelle cronache quotidiane dei media internazionali, offuscato dalle guerre in Siria e Iraq.
Il tutto accade mentre nel Paese proseguono senza sosta i combattimenti e i bombardamenti aerei dei caccia sauditi nelle aree in mano agli Houthi. Gli ultimi scontri si sono registrati lungo la strada che collega Taez e il porto di Houdeida sul mar Rosso, a nord di Mokha e nel distretto di Ain Bamaabad nella provincia meridionale di Shabwa. Qui un uomo si è fatto esplodere a bordo della propria auto nei pressi di una base militare uccidendo tre soldati.
L’operazione militare governativa “Golden Spear”, scattata nel gennaio scorso nel distretto nord-occidentale di Dhubab (situato circa 30 km a nord rispetto allo stretto di Bab el-Mandab) con lo scopo di riprendere possesso delle aree in mano ai ribelli situate lungo i 450 chilometri di coste occidentali sul Mar Rosso, sta incontrando maggiori difficoltà rispetto al previsto. Difficoltà da cui non riesce a divincolarsi ormai da mesi l’Arabia Saudita, capace solo di sganciare bombe dall’alto. Le ultime, il 18 luglio, hanno ucciso venti civili nel distretto di Mawza nella provincia sud-occidentale di Taez.
Ai morti e agli sfollati si sommano una serie di emergenze a cui la comunità internazionale non riesce a dare risposte: dei 20 milioni di yemeniti, circa l’80% necessita di aiuti umanitari; 14 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici; dilaga il colera con oltre 300mila casi che hanno provocato finora più di 1.700 morti.
Emirati accusati di acquistare armi dalla Corea del Nord
Se non per gli sporadici bollettini di guerra, di Yemen si parla quasi esclusivamente per commentare di riflesso lo scontro a distanza sempre più ravvicinata tra Arabia Saudita e Iran. Uno scontro tradottosi nell’ultimo mese nella manovra di accerchiamento saudita ai danni del Qatar, accusato di tessere rapporti “pericolosi” con Teheran e di sostenere militarmente ed economicamente gruppi jihadisti negli scacchieri caldi del pianeta: non solo in Siria e Iraq, ma anche in Libia.
L’ultimo capitolo della crisi del Golfo vede adesso sotto i riflettori soprattutto gli Emirati Arabi Uniti, alleati in questa partita dell’Arabia Saudita insieme a Egitto e Bahrein. Dopo essere stato additato dal Washington Post di aver ordinato un attacco hacker contro l’agenzia ufficiale del Qatar, azione che avrebbe di fatto innescato la crisi diplomatica, il governo di Abu Dhabi deve ora difendersi da un’altra accusa che arriva sempre dagli Stati Uniti, questa volta dall’Institute for Gulf Affairs con sede a Washington. Secondo il think thank, notoriamente critico nei confronti della monarchia saudita, una società direttamente collegata ai vertici governativi degli Emirati avrebbe acquistato armi per il valore di 100 milioni di dollari dalla Corea del Nord: missili, mitragliatori e fucili destinati ai soldati emiratini impegnati in Yemen al fianco di Riad – seppur su posizioni sempre più divergenti – contro gli Houthi, ma anche a gruppi estremisti sunniti foraggiati da Abu Dhabi in funzione anti-sciita.
(Un aereo militare degli Emirati atterra a Marib, nella parte centrale dello Yemen)
La notizia ha provocato l’immediata reazione del Dipartimento di Stato americano, che ha accusato gli Emirati di finanziare il programma nucleare nordcoreano con questa commessa. In attesa di prevedibili smentite, non resta che attendere il prossimo scambio di accuse. Lo Yemen continuerà a subire gli effetti collaterali di questa strategia della tensione provocata dagli USA in funzione anti-iraniana, in accordo con Riad e Israele.
Fonte: http://www.lookoutnews.it/yemen-rischio-genocidio-classifica-paesi-meno-sicuri-2017/
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