La trasparenza e la sovranità
di STEFANO ROSATI (FSI Rieti)
Negli ultimi anni è diventato sempre più difficile comprendere le decisioni assunte a livello europeo.
Emblematico il caso della chiusura unilaterale delle frontiere da parte di alcuni Paesi membri e la mancata solidarietà all’Italia, lasciata sola a fronteggiare una situazione drammatica. In merito sono state rilasciate solo dichiarazioni oscure, frammentarie, indecifrabili. Se è lecito dubitare che la scelta del Governo italiano sia dovuta a puro slancio ideale verso i bisognosi, pare altrettanto lecito sospettare che tale scelta sia il corrispettivo da pagare per le graziose concessioni ottenute su altre questioni.
Altro caso è la questione della nazionalizzazione da parte del Governo francese dei cantieri navali STX – ma poco chiaro era stato pure l’operato delle autorità europee nella la vicenda “Vivendi”. I principi generali del diritto europeo non ostano a che un’impresa possa essere di proprietà pubblica e quindi non vietano, in astratto, la nazionalizzazione di un’impresa. È chiaro però che la nazionalizzazione di un’impresa costituisce un fatto che altera gravemente il libero gioco del mercato (oltre a turbare i rapporti tra i Paesi membri).
All’Università i professori magnificavano l’amministrazione europea “palazzo di vetro”. Trasparenza necessaria a colmare il pacifico, arcinoto (ma mai nemmeno affrontato) deficit democratico che caratterizza l’Unione Europea: in sostanza, si diceva, poiché i pubblici poteri europei non hanno legittimazione democratica, recuperano istruendo procedimenti amministrativi trasparenti, di modo che i cittadini possano comprendere le decisioni assunte.
Tuttavia, l’immagine della pubblica amministrazione “casa di vetro” in realtà è di Filippo Turati ed era riferita ad un’amministrazione pubblica (in Atti del Parlamento Italiano, Camera dei Deputati, 17 giugno 1908, p. 22962), non trasparente (che è di meno, non di più di pubblico; così, tanto per dire). Turati diceva, e la Costituzione dice ancora, che l’amministrazione pubblica, ossia quella legittimata dal popolo sovrano ad amministrarlo, deve essere appunto “pubblica”: perché è ovvio che, salvo casi eccezionalissimi connessi con il pubblico interesse (MAI con quello privato), ogni atto che faccia parte del procedimento amministrativo di una pubblica amministrazione partecipi della sua stessa natura e sia, quindi, un atto anche esso pubblico e quindi conoscibile. Sempre.
La privacy, il diritto stupido, è invece un prodotto di importazione, ce l’hanno portata, dopo, quelli più evoluti.
D’altra parte, il miglior rappresentante della trasparenza dei pubblici poteri europei è Monsieur Juncker, il quale descrisse magistralmente i processi decisionali del “palazzo di vetro” europeo in questo modo:
A parte le beghe di diritto interno (vitalizi etc), quindi, i cittadini non sono posti in grado di comprendere – non di partecipare, si badi, ma anche solo di comprendere – le decisioni assunte dai poteri pubblici. Il trasferimento dei processi decisionali dallo Stato all’Unione europea ha quindi indiscutibilmente aumentato “gli ostacoli… che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, venendo in rilievo quindi non solo una macroscopica violazione permanente dell’articolo 3, comma 2, della Costituzione, ma anche soprattutto dell’articolo 1 della Costituzione, essendo ormai chiaro che la sovranità è stata sottratta e non condivisa.
Un’amministrazione non pubblica, nel senso sopra visto, ma trasparente, semplicemente non è l’amministrazione del popolo. Rappresenta e cura altri interessi.
L’amministrazione del popolo sovrano è pubblica, non trasparente.
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