Meglio un immunologo emiliano o un Emiliano immunologo?
di ANDREA COSSARIZZA*
Il Presidente di una meravigliosa regione del sud Italia si è recentemente esibito in una disquisizione immunologica che avrebbe potuto, e dovuto, evitare. Non discuterò quanto detto a proposito della obbligatorietà delle vaccinazioni o delle eventuali sanzioni, argomento che è di natura politica, e appartiene a una sfera del tutto diversa da quella della Sanità pubblica o del dibattito tra persone competenti nel settore. Il problema che è stato sollevato qualche giorno fa è quello del numero di vaccinazioni: 10 vaccinazioni insieme sono troppe, bisogna farne di meno. La natura della problematica in cui si è avventurato il nostro neo-non collega è però squisitamente immunologica, quindi, con rispetto parlando, di competenza mia e di ricercatori come me. Non certamente di persone anche molto gradite ai cittadini e votate, ma con conoscenze immunologiche non molto approfondite. Cerchiamo di capire per quale motivo quanto è stato sostenuto è proprio sbagliato, e provocherebbe inevitabilmente la bocciatura all’esame di Immunologia.
In primo luogo, facciamo una iper-semplificazione di cui mi scuso subito con gli esperti del settore. Se ci occupiamo di vaccinazioni, dobbiamo fare in modo che il sistema immunitario produca anticorpi (chiamati anche immunoglobuline), cosa che fanno i linfociti B quando sono diventati plasmacellule. Devono però entrare in ballo e funzionare bene anche delle altre cellule, chiamate linfociti T, che producono molecole solubili (citochine) e aiutano i linfociti B a maturare e a produrre anticorpi. Ovviamente, più anticorpi sono prodotti contro un determinato antigene (la molecola che induce la produzione di anticorpi, ad esempio: un vaccino), meglio è. Da notare che ogni antigene può contenere diversi epitopi, cioè diversi punti in cui possono legarsi anticorpi.
Parlo arabo? Un pochino…. Allora provate a chiudere il pugno della mano sinistra, e immaginate che sia una molecola. Ci sono molte parti della mano/molecola esposte all’esterno (che il sistema immunitario riconosce) e molte all’interno (che non sono riconoscibili perché nascoste). Adesso con la destra fate il segno della vittoria usando l’indice e il medio, e immaginate che sia un anticorpo. Provate ora a infilare il pugno dentro alla “V”. Ci saranno posizioni delle due mani in cui riuscite ad avere una forte complementarietà (cioè riuscite a far toccare al pugno chiuso la base della V della mano destra, e la parte interna della V è a stretto contatto con il pugno), altre posizioni in cui non ci si riesce. Quelle dove c’è il maggiore contatto tra il pugno e la V sono le regioni in cui avviene una buona reazione antigene-anticorpo. Il principio è quello “chiave-serratura”. Come avrete certamente capito, il pugno (molecola) ha diversi punti ottimali (siti antigenici) in cui si può legare bene la V (l’anticorpo). Ogni molecola quindi può avere più di epitopo, ovvero più di un punto dove, in modo complementare e assolutamente specifico, può legarsi un anticorpo. Allora, se iniettiamo una proteina (ad esempio, un vaccino), questa possiede più di un sito antigenico, e può mettere in moto la produzione di più di un anticorpo. Il vantaggio di questa strategia è piuttosto ovvio: il sistema immunitario può fare anticorpi diversi contro la stessa molecola, e inattivarla molto più facilmente. Ma per semplicità, da adesso in poi consideriamo solo il concetto di antigene.
Come siano fatti, prodotti e funzionino gli anticorpi non è proprio semplice, ed è stato svelato dal lavoro di moltissimi ricercatori, tra cui i premi Nobel Edelman e Porter (che hanno chiarito la struttura degli anticorpi) e Tonegawa (che ha identificato i meccanismi della generazione della diversità anticorpale). Questi scienziati hanno capito che durante l’Evoluzione (in qualche milione di anni) è nato il meccanismo del riarrangiamento dei geni delle immunoglobuline, cioè un complesso lavoro di taglia e cuci del DNA. La generazione e produzione degli anticorpi avviene in un primo momento a caso, poi è guidata dall’antigene. Grazie a questo meccanismo, utilizzando poche centinaia di geni diversi possiamo produrre molecole (gli anticorpi) che riescono a riconoscere fino a centomila miliardi (10 elevato alla 14, ovvero 100.000.000.000.000) di molecole diverse. Detto in altre parole, se uno di noi campa 100 anni il suo repertorio anticorpale gli permette il teorico riconoscimento di oltre 30,000 molecole al secondo. Anche se il 99% delle molecole contro le quali reagiscono gli anticorpi fossero self (e ben sappiamo che i linfociti non producono anticorpi contro il self), potremmo sempre riconoscere 300 molecole estranee e diverse ogni secondo, per cent’anni. Direi che non c’è male.
Non è finita qui: come dicevo, per produrre anticorpi i linfociti B devono maturare e diventare plasmacellule, ricevendo aiuto da parte dei linfociti T helper, che, semplificando molto, sono diretti contro lo stesso antigene. Quindi per essere riconosciuta come estranea una molecola deve essere vista da più tipi di cellule. Questo permette al sistema immunitario di controllare bene possibili fenomeni autoreattivi, proprio poiché un antigene deve essere legato da un anticorpo presente sulla superficie di un linfocita B, quindi essere presentato a un linfocita T specifico per lo stesso antigene. Se ciò non avviene, non sono prodotti anticorpi (ci sono delle eccezioni, ma non è il caso di complicarci ancora la vita).
Ma come e soprattutto dove avviene la maturazione dei linfociti B, e poi la produzione di anticorpi? Come spiegato prima, i linfociti B possiedono sulla loro superficie gli anticorpi di membrana che devono legare gli antigeni (in questo caso, molecole solubili che circolano nell’organismo oppure che sono state iniettate, come un vaccino) e portarle al loro interno. Questi antigeni sono quindi degradati e fatti vedere a una cellula molto specializzata, il linfocita T Helper. Il linfocita T Helper riconosce quello che gli viene presentato e produce le citochine che servono al linfocita B a maturare, diventare plasmacellula, e produrre anticorpi. Sono quindi prodotti gli stessi anticorpi che inizialmente si trovavano sulla membrana e avevano legato l’antigene (in realtà durante questo processo gli anticorpi migliorano moltissimo, e alla fine hanno una maggiore affinità, ovvero una maggiore capacità di legare l’antigene). Tutto questo fenomeno avviene negli organi linfoidi secondari, come i linfonodi, in uno spazio molto limitato, dove linfociti B e T sono in stretto contatto.
Qual è il punto cruciale, e perché ho fatto questa lunga e complessa disquisizione su come sono prodotti gli anticorpi e su chi interviene in questo processo?
Semplice. Se in un linfonodo arrivano più antigeni (esempio: se si fanno 6 vaccini insieme, possono arrivare al linfonodo circa 25 antigeni diversi), in uno spazio microscopico ci saranno più linfociti B attivati, più linfociti T attivati, e molte citochine utilizzabili da tutte queste cellule. Quindi, abbiamo alcuni aspetti importanti, che chi conosce l’immunologia sa bene:
1. se dovesse mancare il linfocita T che aiuta il linfocita B a produrre anticorpi contro la molecola X, allora l’aiuto potrebbe arrivare da un diverso linfocita T che sta aiutando un diverso linfocita B a produrre anticorpi contro la molecola Y. Tutto questo perché le citochine prodotte dai linfociti T possono essere utilizzate da tutte le cellule B attivate presenti nel microambiente. Il fenomeno è quindi descrivibile come un potenziamento della risposta immunitaria che avviene quando ci sono più antigeni e cellule specifiche in uno spazio molto limitato;
2. un fenomeno analogo di potenziamento può avvenire non solo grazie alla secrezione di citochine, ma anche per un contatto cellula-cellula, che avviene sempre nello stesso spazio ristretto;
3. gli effetti delle citochine sono spesso moltiplicativi più che additivi. Piccoli aumenti della concentrazione di una certa molecola nel microambiente possono avere effetti non lineari, potenziati dalla presenza di altre molecole solubili. In altre parole, in questo caso 4+4 non fa 8, ma 16;
4. ogni risposta immunitaria inizia con un processo infiammatorio. Concentrare più vaccini ha come effetto non solo quello di far soffrire di meno il bambino riducendo il numero di punture, ma anche quello di provocare questo effetto pro-infiammatorio il minor numero di volte possibile.
Perché quindi un immunologo emiliano (di adozione, e geneticamente furlan) boccia un Emiliano immunologo? Semplicemente perché dire che 10 vaccinazioni contemporanee potrebbero essere pericolose non ha alcuna base razionale, non ha alcuna evidenza sperimentale, non tiene conto dell’effetto moltiplicativo dell’aiuto tra cellule descritto sopra, e in ultima analisi dimostra una conoscenza pressoché nulla della logica con cui funziona la risposta immunitaria. Vaccinare con un po’ di antigeni simultaneamente (che comunque sono mille volte meno di quanto si usava anni fa) facilita la risposta immunitaria contro tutti i vaccini che sono stati iniettati, e sopperisce eventuali mancanze delle cellule che devono aiutare a produrre anticorpi.
Presidente Emiliano, prego, torni al prossimo appello.
* MD PhD, Full Professor of Pathology, Immunology and Clinical Immunology at the University of Modena and Reggio Emilia, Italy.
CV (http://personale.unimore.it/rubrica/curriculum/cossariz)
fonte: https://www.facebook.com/guidosilvestriMD/posts/1845355842442762
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