1973-2017, il collasso ideologico della “sinistra” francese (ed europea)
di SINISTRA IN RETE (Bruno Guigue)
Nel 1973, il colpo di stato del generale Pinochet contro il Governo di Unità Popolare in Cile provocò un’ondata di indignazione senza precedenti nei settori progressisti del mondo intero. La sinistra europea ne fece il simbolo del cinismo delle classi dominanti che avevano appoggiato questo “pronunciamiento”.
Accusò Washington, complice del futuro dittatore, di aver ucciso la democrazia armando le braccia assassine dei militari golpisti. Nel 2017, al contrario, i tentativi di destabilizzazione del potere legittimo in Venezuela hanno raccolto nel migliore dei casi un silenzio infastidito, un sermone moralizzatore, quando non una diatriba antichavista da parte degli ambienti di sinistra, che si trattasse di responsabili politici, di intellettuali che godono di appoggi o di organi di stampa a grande tiratura.
Dal Ps all’estrema sinistra (ad eccezione del “Pôle de renaissance communiste en France”, che ha le idee chiare), si rimesta, si mette insieme capra e cavoli, si rimprovera al Presidente Maduro il suo “autoritarismo” il tutto mentre si accusa l’opposizione di mostrarsi intransigente. Nel caso migliore, si chiede al potere legale di fare dei compromessi, nel peggiore si esige che si dimetta. Manuel Valls, ex primo ministro “socialista”, denuncia la “dittatura di Maduro”.
Il suo omologo spagnolo, Felipe Gonzalez, trova scandaloso l’appello alle urne, e incrimina “il montaggio truccato della Costituente”. Il movimento diretto dalla deputata della France Insoumise, Clementine Autain, “Ensemble” condanna il “caudillismo” del potere chiavista. Eric Coquerel, anche lui deputato della France Insoumise e portavoce del Parti de Gauche (il partito fondato da Mélenchon NdT) mette fianco a fianco i violenti che sarebbero dai due lati, pur avvertendo ingenuamente che “non vuole criticare Maduro”.
Cos’è successo tra il 1973 e il 2017? Mezzo secolo fa, la sinistra francese ed europea era generalmente solidale – almeno a parole – con i progressisti e i rivoluzionari dei paesi del Sud. Senza ignorare gli errori commessi e le difficoltà impreviste, non sparava alla schiena dei compagni latinoamericani. Non distribuiva responsabilità ai golpisti e alle loro vittime con giudizi salomonici. Si schierava, a costo di sbagliare, e non praticava, come fa la sinistra attuale, l’autocensura codarda e la concessione all’avversario a mo’ di difesa.
Non diceva: tutto questo è molto brutto, e ognuno ha la sua parte di responsabilità in queste violenze riprovevoli. La sinistra francese ed europea degli anni ‘70 era certamente ingenua, ma non aveva paura della sua ombra, e non beatificava a ogni piè sospinto quando si trattava di analizzare una situazione concreta. È incredibile, ma pure i socialisti, come Salvador Allende, pensavano di essere socialisti al punto da rimetterci la vita.
A guardare l’ampiezza del fossato che ci separa da quell’epoca, si hanno le vertigini. La crisi venezuelana fornisce un comodo esempio di questa regressione perché si presta a un confronto con il Cile del 1973. Ma se si allarga lo spettro dell’analisi, si vede bene che il decadimento ideologico è generale, che attraversa le frontiere. Nel momento della liberazione di Aleppo da parte dell’esercito nazionale siriano, nel Dicembre 2016, gli stessi “progressisti” che facevano gli schizzinosi davanti alla difficoltà del chavismo, hanno cantato insieme ai media detenuti dall’oligarchia per accusare Mosca e Damasco delle peggiori atrocità. E la maggior parte dei “partiti di sinistra” francese (Ps, PCF, Parti de Gauche, Npa, Ensemble, i Verdi) hanno organizzato una manifestazione davanti all’ambasciata russa a Parigi, per protestare contro il “massacro” dei civili “presi in ostaggio” nella capitale economica del paese.
Certo, questa indignazione morale a senso unico nascondeva il vero significato di una “presa di ostaggi” che c’è stata, in effetti, ma da parte delle milizie islamiste, e non da parte delle forze siriane. Lo si è visto non appena sono stati creati i primi corridoi umanitari da parte delle autorità legali: i civili sono fuggiti in massa verso le zone governative, a volte sotto le pallottole dei loro gentili protettori in “casco bianco” che giocavano ai barellieri da una parte, e ai jihadisti dall’altra.
Per la sinistra, il milione di siriani di Aleppo Ovest bombardata dagli estremisti abbigliati da “ribelli moderati” di Aleppo Est non contano, la sovranità della Siria nemmeno. La liberazione di Aleppo resterà negli annali come un tornante della guerra per procura combattuta contro la Siria. Il destino ha voluto che, purtroppo, segnasse un salto qualitativo nel degrado cerebrale della sinistra francese.
Siria, Venezuela: questi due esempi illustrano le devastazione causati dalla mancanza di analisi unita alla codardia politica. Tutto avviene come se le forze vive di questo paese fossero state anestetizzate da chissà quale sedativo. Partito dalle sfere della “sinistra di governo”, l’allineamento alla doxa diffusa dai media dominanti è generale. Convertita al neoliberismo mondializzato, la vecchia socialdemocrazia non si è accontentata di sparare alla schiena degli ex compagni del Sud, si è anche sparata nei piedi.
Trasformata in corrente minoritaria – socialiberale – dentro una destra francese più devota che mai al capitale, il Ps si è lasciato sbranare da Macron, il tuttofare dell’oligarchia capitalista euroatlantica. Negli anni ‘70, la stessa destra francese “chiaramente liberale”, con Giscard d’Estaing”, era più a sinistra del Ps di oggi, e di questo residuo verminoso la cui unica funzione è quella di distribuire scranni ai fuggitivi dell’hollandismo.
Una volta voltata la pagina di Via Solferino (la sede del Ps NdT), si poteva sperare che la “sinistra radicale” ne avrebbe raccolto il testimone, saldando il conto con gli errori passati. Ma la “France Insoumise”, nonostante il suo successo elettorale del 23 Aprile 2017, è un grande corpo molle, senza colonna vertebrale. Si trovano alcuni che pensano che Maduro è un dittatore e altri che pensano che difende il popolo. Quelli che denunciano l’adesione della Francia alla Nato piangevano lacrimoni per la sorte dei mercenari wahabiti di Aleppo.
Con la mano sul cuore, si proclama contro l’ingerenza straniera e l’arroganza neocoloniale in Medio Oriente, ma vuole “mandare Assad davanti alla Corte Penale Internazionale”, questo tribunale speciale riservato ai paria del nuovo ordine mondiale. Il Presidente siriano, ci hanno detto, è un “criminale”, ma ci si affida comunque al sacrificio dei suoi soldati per eliminare l’Isis e Al-Qaeda. Queste contraddizioni sarebbero risibili, se non testimoniassero un decadimento più profondo, un vero collasso ideologico.
Potrà anche rompere con la socialdemocrazia, ma questa sinistra aderisce alla visione occidentale del mondo e al suo dirittumanismo a geometria variabile. La sua visione delle relazioni internazionali è direttamente importata dalla doxa pseudo-umanista che divide il mondo in simpatiche democrazie (i nostri amici) e abominevoli dittature (i nostri nemici). Etnocentrica, guarda dall’alto l’antimperialismo lascito del nazionalismo rivoluzionario del Terzo Mondo e del movimento comunista internazionale. Invece studiare Ho Chi Min, Lumumba, Mandela, Castro, Nasser, Che Guevara, Chavez, Morales, legge “Marianne”(una sorta di “l’Espresso” francese NdT) e guarda France 24 (la rainews 24 francese NdT). Pensa che ci siano i buoni e i cattivi, che i buoni ci somigliano e che bisogna bastonare i cattivi.
È indignata – o disturbata – quando un capo della destra venezuelana, formata negli Usa dai neoconservatori per eliminare il chavismo, viene incarcerato per aver tentato un colpo di stato. Ma è incapace di spiegare le ragioni della crisi economica e politica del Venezuela. Per evitare le critiche, è restia a spiegare come il blocco degli approvvigionamenti sia stato provocato da una borghesia importatrice che traffica con i dollari e organizza la paralisi delle reti di distribuzione sperando di abbattere il legittimo presidente Maduro.
Indifferente ai movimenti di fondo, questa sinistra si contenta di partecipare all’agitazione di superficie. In preda a una sorta di scherzo pascaliano che la distrae dall’essenziale, essa ignora il peso delle strutture. Per lei, la politica non è un campo di forze, ma un teatro di ombre. Parteggia per le minoranze oppresse di tutto il mondo dimenticando di domandarsi perché certe sono visibili e altre no. Preferisce i curdi siriani ai siriani tout court perché sono una minoranza, senza vedere che questa preferenza serve alla loro strumentalizzazione da parte di Washington che ne fa delle suppellettili e prepara uno smembramento della Siria conformemente al progetto neo-conservatore.
Rifiuta di vedere che il rispetto della sovranità degli Stati non è una questione accessoria, che è la rivendicazione principale dei popoli di fronte alle pretese egemoniche di un occidente vassallo di Washington, e che l’ideologia dei diritti umani e la difesa del LGBT serve spesso come paravento per un interventismo occidentale che si interessa soprattutto agli idrocarburi e alle ricchezze minerarie.
Si potrebbe cercare a lungo, nella produzione letteraria di questa sinistra che si dice radicale, degli articoli che spieghino perché a Cuba, malgrado il blocco, il tasso di mortalità infantile sia inferiore a quello degli Usa, la speranza di vita è quella di un paese sviluppato, l’alfabetizzazione è al 98% e ci sono il 48% di donne all’Assemblea del potere popolare. Non leggeremo mai, nemmeno perché il Kerala, questo stato di 33 milioni di abitanti diretto dai comunisti e dai loro alleati dagli anni ‘50, ha l’indice di sviluppo umano di lunga più elevati dell’Unione Indiana, e per quale ragione le donne giocano qui un ruolo sociale e politico di primo piano. Perché le esperienze di sviluppo autonomo e di trasformazione sociale costruiti lontano dai riflettori in angoli esotici non interessano affatto i nostri progressisti, affascinati dalla spuma televisiva e dalle peripezie del circo politico.
Drogata di “moralina”, intossicata da formalismo piccolo-borghese, la sinistra radical-chic firma petizioni, intenta processi e lancia anatemi contro i capi di stato che hanno la brutta abitudine di difendere la sovranità del proprio paese. Questo manicheismo le impedisce il compito di analizzare ciascuna situazione concreta e di guardare oltre il proprio naso. Pensa che il mondo sia uno, omogeneo, attraversato dalle stesse idee, come se tutte le società obbedissero agli stessi principi antropologici, evolvessero secondo gli stessi ritmi. Confonde volentieri il diritto dei popoli all’autodeterminazione e il dovere degli stati di conformarsi ai requisiti di un Occidente che si erge a giudice supremo.
Fa pensare all’abolizionismo europeo del XIX secolo, che voleva sopprimere la schiavitù presso gli indigeni, portando la luce della civiltà con la canna del fucile. La sinistra dovrebbe sapere che l’inferno dell’imperialismo oggi, come il colonialismo ieri, è sempre lastricato di buone intenzioni. Nel momento dell’invasione occidentale dell’Afghanistan, nel 2001, non abbiamo mai letto tanti articoli, nella stampa progressista, sull’oppressione delle donne afghane e sull’imperativo morale della loro liberazione. Dopo 15 anni di emancipazione femminile al cannone da 105, queste sono più coperte e analfabete che mai.
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