In Gran Bretagna le famiglie stanno rompendo il salvadanaio: il tasso di risparmio torna agli anni ’60
di VITO LOPS
Il percorso della Gran Bretagna verso la Brexit è ancora lungo ma per l’economia qualcosa è già profondamente cambiato. La svalutazione della sterlina seguita al referendum del 23 giugno 2016 – con cui una maggioranza risicata del popolo del Regno Unito ha votato per l’uscita dall’Ue – ha difatti spinto immediatamente all’insù il tasso di inflazione (le merci importate costano di più a fronte di una moneta svalutata) che ora viaggia stabilmente sopra la soglia di guardia, nonché obiettivo di medio termine per le principali banche centrali, del 2%.
A luglio l’indice dei prezzi al consumo si è attestato al 2,6%, stabile rispetto a giugno e in leggero calo rispetto a maggio quando l’inflazione aveva addirittura toccato il 2,9%, decisamente più in alto rispetto ai livelli pre-referendum quando invece l’inflazione era fin troppo bassa (0,5%). La svalutazione della sterlina (ieri il cambio euro/pound è balzato oltre quota 92 centesimi segnando i massimi dal 2009; dal referendum la sterlina ha perso il 16% nei confronti dell’euro e il 14% sul dollaro) non ha poi avuto al momento un effetto volano sul Pil, nella componente in cui rende obiettivamente più competitivi beni e servizi da esportare. Nel secondo quarto dell’anno il Pil è cresciuto dell’1,7% (su base annua), in linea con i valori tendenziali archiviati a giugno 2016.
Tuttavia, la svalutazione della sterlina, nella misura in cui ha influenzato l’inflazione, sta impattando anche sui redditi reali dei cittadini britannici. Il reddito a disposizione delle famiglie nei primi tre mesi del 2017 è diminuito dell’1,4%. È il terzo calo trimestrale di fila. È la più grande contrazione del potere d’acquisto per le famiglie dal 1970.
Questo dato rischia di fare pericolosamente il paio con quanto sta accadendo nel settore del credito al consumo dove negli ultimi anni in Gran Bretagna è tornata la “manica larga”. A giugno i prestiti catalogabili come credito al consumo (quindi i mutui ipotecari sono esclusi) sono aumentati di 1,45 miliardi di sterline (portando lo stock a 200,9 miliardi), il 10% annuo in più. Se i prestiti crescono a fronte di redditi reali decrescenti (perché appesantiti da inflazione e un aumento delle tasse) si fa presto a immaginare quali potrebbero essere i rischi, ovvero la proliferazione di debitori subprime.
In linea generale va detto che al momento il tasso di default nel credito al consumo – stando alla Bank of England – si attesta intorno a un non preoccupante 2%. Ma qualche segnale di apprensione in proiezione c’è. Una spia arriva dai dati del Financial Ombudsman service, relativi all’apertura di reclami extra-giudiziari nel settore dei prestiti a breve. Nell’esercizio finanziario 2016-2017 i reclami sono cresciuti di nove volte rispetto agli ultimi due anni.
La seconda spia arriva dal tasso di risparmio, crollato nel primo trimestre all’1,7% rispetto al 6% dell’estate 2016. Mai così in basso dagli anni ’60.
Segnale che molti inglesi hanno stanno rompendo il salvadanaio per sbarcare il lunario.
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