Il Reset della scuola
di CRITICA SCIENTIFICA (Enzo Pennetta)
La scuola per come la conosciamo non esiste più (articolo e video)
Il reset della scuola, articolo sul perché e a seguire video della conferenza sull’argomento svoltasi a Treviso il 3 marzo 2022 con Elisabetta Frezza.
Parliamo di scuola è bene quindi definire l’oggetto, scuola deriva dal greco scholè che significa ozio.
L’ozio è il tempo libero dal lavoro, è quindi il tempo delle occupazioni degli uomini liberi il che è profondamente diverso dal concetto di tempo libero, sono le attività degli uomini liberi in contrapposizione a quelle servili proprie appunto dei servi o degli schiavi.
Il tempo libero è nell’accezione attuale un tempo di svago e distrazione, divertimento, ed evidentemente la scuola non può essere questo, il tempo libero dalle occupazioni è nell’antichità l’ozio, è un tempo in cui gli uomini sono liberi e in quanto tali si occupano delle cose di cui si occupano gli uomini liberi e cioè la arti liberali che furono codificate nel medioevo in quelle del Trivio e del Quadrivio:
Grammatica, retorica, dialettica – aritmetica, geometria, astronomia, musica.
Le arti liberali sono quelle nelle quali l’uomo libero si realizza nel senso aristotelico del compimento di una potenzialità in atto, questo è anche lo scopo della scholè, questo è ancora oggi lo scopo di quell’istituzione che chiamiamo scuola.
La scuola deve in definitiva essere il luogo della cultura che etimologicamente ha la stessa radice di coltivare, in questo senso nella scuola è l’uomo che viene coltivato e fatto crescere ancora una volta esprimendo il passaggio dalla potenza all’atto.
Se invece l’oggetto di cui trattiamo è un’istituzione che prepara al mondo del lavoro, fosse pure di alto livello, non possiamo parlare di scholè ma di istituti di formazione al lavoro, rispettabilissimi ma etimologicamente non sono scholè, si tratta di luoghi dove non è l’uomo ad essere coltivato ma il lavoratore, si passa dall’essere fine a se stesso ad essere finalizzato ad un uso.
In perfetto stile da neolingua si lascia dunque il termine scuola per svuotarlo di significato e riempirlo con un altro; la confezione dall’esterno è la stessa ma è cambiato il contenuto.
Si tratta dunque di decidere quale tipo di percorso vogliamo, l’uno vede la persona come centro intorno a cui ruota tutta l’attività ed è orientato allo sviluppo delle potenzialità umane, l’altro è orientato alla fornitura di personale al mondo del lavoro; in questo secondo sistema il centro è il mercato e lo studente è la merce grezza che la scuola deve valorizzare. In definitiva in questa seconda accezione la scuola diventa un’industria manifatturiera di trasformazione di materie prime grezze (i vostri figli) in semilavorati di maggiore o minore pregio.
In questa ottica ha ad esempio senso la consuetudine in voga negli Stati Uniti di investire, eventualmente con denaro preso in prestito, nell’istruzione dei figli che poi diverranno fonte di reddito proporzionata, in caso contrario si dichiarerà il fallimento per disavanzo economico.
Quella che è in gioco nelle due visioni è propriamente una diversa antropologia; nella scuola l’essere umano è il fine in quanto nulla esiste di più importante dell’uomo, nella seconda il fine è il mercato eletto a principio naturale fondamentale e l’uomo è solo uno dei tanti esseri viventi che si deve adeguare a tale principio.
Si tratta di passare da essere un animale politico, zòon politikòn, per fare riferimento ad Aristotele, ad animale e basta, cioè zòon; si tratta quindi di passare dalla dimensione della politica a quella della zootecnica, questa è l’antropologia che fa da sfondo allo snaturamento della scuola avvenuto negli ultimi decenni.
La visione antropologica mercatistica coincide con quella di una dinamica animale attraverso la darwiniana legge della competizione e selezione naturale posta a principio della biologia, una legge senza la quale nulla in biologia avrebbe più senso in accordo ad un celebre, tra i naturalisti, detto del genetista Theodosius Dobzhansky.
L’animale politico è caratterizzato dalla parola, il linguaggio simbolico che è caratteristica della sola specie umana e che permette la comunicazione di ciò che è giusto e ciò che è ingiusto e quindi permette di decidere le leggi dello stato; chi non ha bisogno di comunicare, restando sempre ad Aristotele, o è un dio oppure un animale, l’alternativa allo zòon politikòn è dunque solamente lo zòon, cioè l’animale senza parola, ed ecco quindi che dall’istruzione tende a scomparire proprio la parola per far posto a modelli esteri celebrati come desiderabili che usano le crocette da apporre a frasi preconfezionate, ecco scomparire il tema di italiano per lasciare posto ad articoli giornalistici o saggi pre-orientati verso un determinato e conveniente giudizio, si pensa ma solo come si deve pensare prima di non pensare più affatto e diventare solo contenitori da riempire con idee preconfezionate e propaganda politicamente corretta.
Viene così introdotta la nuova educazione civica che altro non è che la dichiarata “agenda” 2030, cioè un vero e proprio programma politico imposto ma spacciato come qualcosa di universalmente desiderabile e ovviamente non criticabile, un’agenda fumosa quanto basta per non far capire che si tratta di un rimodellato sociale o “reset” come è più corretto dire oggi.
Il linguaggio del mercato si è impadronito del luogo della cultura introducendo dirigenti scolastici al posto dei presidi, i debiti e i crediti formativi e sopra ogni cosa l’alternanza scuola lavoro, gli esami sono via via svuotati divenendo delle pratiche burocratiche cavillose dove il timore di ricorsi determina il voto finale più della valutazione dei docenti, una istituzione didattica di questo tipo non ha più la funzione della scuola se non in maniera residuale e progressivamente in diminuzione.
Il movimento graduale di destrutturazione dell’istituzione scolastica ha infine subito un’accelerazione impressa sotto la spinta dell’emergenza Covid; lo stesso Klaus Schwab, direttore del WEF, nel suo “The Great reset” indica nella crescita esponenziale la caratteristica di questi fenomeni, la Didattica a distanza ha aperto una finestra che mostra un mondo dove un insegnante può bastare per centinaia di studenti e che può essere anche sostituito da una registrazione video, le valutazioni potranno essere effettuate con test centralizzati sviluppati e messi a punto in anni di prove dall’INVALSI.
Questa istituzione educativa che abbiamo visto non può più essere definita scuola non è evidentemente un incidente di percorso e niente lascia presagire un ripensamento e tantomeno un cambio di rotta, la residua possibilità di fare “scholè” è lasciata alla libera iniziativa di gruppi sempre più diradati di insegnanti.
La scuola potrà essere ripristinata solo con una inversione a livello legislativo e di quello che si chiama “stato profondo” la quale non potrà verificarsi se non dopo profondi rivolgimenti sociali e geopolitici.
Nel frattempo quello che resta da fare è la realizzazione di strutture autonome dal Ministero nelle quali venga preservata la “scuola”, si tratta di riproporre quello che avvenne al tempo delle invasioni barbariche con i monasteri in cui la civiltà veniva preservata in attesa di poterla nuovamente edificare su un terreno più favorevole.
Questo sarà un terreno fondato su una diversa antropologia dove l’essere umano è tornato ad essere un animale politico il quale è a sua volta fondato sulla parola, il logos, e non un homo oeconomicus fondato sul mercato, uno zoòn senza parola destinato alla zootecnia.
Video Della conferenza con Elisabetta Frezza:
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