L’INTERVISTA/ Di Pietro: con Mani pulite ho distrutto la politica senza costruire nulla
di SUSSIDIARIO.NET (Paolo Vites)
Antonio Di Pietro (LaPresse)
“Ho fatto l’inchiesta Mani Pulite con cui si è distrutto tutto ciò che era la cosiddetta Prima Repubblica: il male, che era la corruzione e ce n’era tanta, ma anche le idee”. A dire così è Antonio Di Pietro, in diretta televisiva al programma di La7, “L’aria che tira estate”, scatenando l’incredulità dei presenti, per primo l’imprenditore Luigi Crespi che mormora “pazzesco”. “Ho fatto politica basandola sulla paura e ne ho pagato le conseguenze” ha aggiunto sempre nella diretta televisiva Di Pietro, “ho costruito la mia politica sulla paura delle manette, sul concetto che erano tutti criminali”. Parole che riscrivono un’epoca storica. Abbiamo raggiunto Di Pietro al telefono per approfondire l’argomento.
Come è giunto a queste riflessioni? Ci sono stati degli episodi particolari che hanno smosso la sua persona?
Sono arrivato a queste riflessioni prima ancora che sul piano individuale, su quello collettivo.
Cosa intende?
Nella mia vita ho cambiato mille mestieri cercando ogni volta di imparare qualcosa di nuovo e cercando di fare qualcosa di diverso. Nella mia attività di magistrato ritengo di aver fatto il mio dovere e non ho da sentirmi colpevole. Anche l’inchiesta Mani Pulite non la rinnego, rifarei oggi tutto quanto feci allora. E stata invece la mia attività politica a portarmi a queste riflessioni.
Un’attività politica cominciata grazie alla spinta ricevuta dalle inchieste, però. Ci spieghi cosa intende.
Nel fare politica ho accentrato su di me tutte le decisioni senza costruire una idea politica di governo, di responsabilità, ma solo di contrapposizione e di opposizione. Questo ha comportato che nel breve tempo io ottenessi il consenso, ma poi, nel momento in cui dovevo assumermi le responsabilità, mi venissero a mancare la squadra, la professionalità, l’esperienza. In questo senso, se dovessi tornare in politica, la rifarei in modo diverso.
Come farebbe politica oggi?
Innanzitutto scegliendo diversamente i collaboratori, in secondo luogo presentando me stesso in un altro modo. Mi sono presentato in modo confuso e confusionario. Ho fatto contemporaneamente l’uomo di governo e l’oppositore. Stavo nelle piazze a manifestare contro le decisioni in materia di giustizia prese dallo stesso governo di cui facevo parte.
Non mi ha risposto del tutto: la sua avventura politica è stata o no una conseguenza del suo modo di fare il magistrato?
Mani Pulite doveva essere fatta anche prima di quando la facemmo noi. L’anno prima, nel 1991, uscì il film di Nanni Moretti “Il portaborse”: raccontava per filo e per segno tutto quello che è stata Mani Pulite. Tutti sapevano il livello a cui si era arrivati.
Se è per questo Gassman e Sordi già negli anni Sessanta facevano film in cui si denunciavano le tangenti e la politica corrotta.
Esatto, tutti sapevano, ma nessuno riusciva a trovare il bandolo della matassa. Noi lo abbiamo trovato.
E poi cosa è successo? Via i cattivi, avanti i buoni?
Purtroppo da quell’inchiesta si è creato un vuoto, non solo un vuoto di figure politiche, ma dell’idea stessa della ricostruzione della politica. L’inchiesta era doverosa, ma chi voleva fare o restare in politica doveva costruire una idea politica. Invece si è cercato il consenso sul piano individuale, sul personalismo. Sono nati i Bossi, i Berlusconi, i Di Pietro, i Salvini, i Renzi. Persone che basano il loro consenso su chi urla più forte. Io sono stato uno di quelli. Ho peccato di personalismo, senza creare un’idea politica.
Non ha citato Grillo…
Guardi, io i grillini li ringrazierò sempre per essere riusciti a portare la protesta e la disperazione della gente nelle urne invece che nelle strade, tra macchine sfasciate e vetrine infrante. Oggi però, nel momento in cui devono assumersi una responsabilità di governo, non possono pensare di farlo senza idee, senza un programma, senza sapere con chi farlo.
E’ d’accordo nel dire che con la vostra inchiesta avete colpito sì il male, ma anche il bene che c’era nella Prima Repubblica?
La colpa non la do all’inchiesta, la do a una mancanza di idee politiche. Allora c’erano idee, c’erano liberali, cattolici, comunisti, gente che veniva dall’esperienza dei padri costituenti. Invece dopo di loro sono arrivati il dialetto di Bossi, la sgrammaticatura di Di Pietro, il tupé di Berlusconi e l’idea politica è sfumata. Come ha detto il mio amico imprenditore Luigi Crespi: “Chi realizza successo sull’urlo ha un successo effimero”. Sono d’accordo, ho avuto molto successo ma perché era tutto basato sulla mia persona e così è finito nel nulla.
Il personalismo in politica oggi va di moda non solo in Italia, pensiamo a Trump ad esempio…
O a Macron, uno che spende 30mila euro per truccarsi. Fino a prima delle elezioni era osannato perché si presentava bene, dopo le elezioni tutti si chiedono: e adesso che fa? Che programma ha?
Recuperare i valori fondanti della nostra Repubblica, come il dialogo fra forze diverse, è la strada per uscire dal pantano in cui ci troviamo?
Nelle loro diverse forme, in quel pentapartito pieno di corruzione, le idee erano giuste, erano i comportamenti a essere sbagliati. Allora ci si basava sul senso di democrazia, solidarietà, economia, bene del popolo. La Democrazia cristiana è nata sull’idea delle convergenze popolari, il Partito comunista si basava sull’idea di solidarietà popolare. Tutti valori ottimi e necessari.
Oggi invece?
Bisogna superare la mentalità, così di moda, che chi non la pensa come te è un delinquente e non capisce niente; bisogna saper ascoltare. Oggi sono più propenso ad ascoltare che a parlare.
Con chi dialogherebbe oggi?
Non pongo riserve, vorrei dialogare anche con chi mi ha contrastato. Per capire dove ho sbagliato. Alla mia età bisogna tirare i conti.
C’è personalismo in politica, ma anche in magistratura. Che ne pensa?
Tra i tanti effetti di Mani Pulite c’è stato anche l’effetto emulazione, sono nati i magistrati dipietristi. E’ uno dei rischi che la magistratura deve evitare. La magistratura fa lo stesso lavoro che fa il becchino. Il becchino interviene quando c’è il morto, la magistratura deve intervenire quando c’è il reato, la magistratura invece che vuole sapere se c’è il reato è una magistratura pericolosa, perché con le indagini esplorative si crea il delinquente prima che ci siano le prove.
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