I fasciocomunisti
di LUCA MANCINI (FSI Roma)
Budapest. Estate 1939.
Il partito delle Croci Frecciate, d’ispirazione fascista, era sempre più protagonista nel dibattito politico. Pochi mesi prima, alle ultime elezioni, esso era diventato la principale forza di opposizione al Partito dell’Unità Nazionale, che guidava l’Ungheria dal 1919, ossia dalla soppressione della Repubblica dei Consigli d’ispirazione sovietica. La sua era un’opposizione pugnace, ricca di manifestazioni eclatanti, articoli aggressivi sulle colonne del giornale di partito, dove si parlava di riforme radicali in favore dei ceti popolari.
Un’opposizione nettamente diversa da quella sterile che perpetuava da vent’anni il Partito Socialdemocratico, il quale aveva serenamente accettato lo status quo e non faceva molto per cambiarlo, tant’è che alle suddette elezioni il successo delle Croci Frecciate fu proprio nei cosiddetti quartieri rossi dove vivevano perlopiù operai, studenti, piccoli artigiani e laureati senza lavoro. Basti pensare al caso della “rossa Csepel”: un’isola sul Danubio all’interno di Budapest, dove vi era un’alta concentrazione di fabbriche e case operaie e dove si consumò buona parte del successo delle Croci Frecciate, anche se essa era considerata tradizionalmente una roccaforte socialdemocratica.
Improvvisamente gli operai votavano a destra e nessuno riusciva a comprendere perché; eppure la risposta era davanti ai loro occhi: il Partito dell’Unità Nazionale aveva sempre promesso riforme radicali per i ceti popolari, ma queste promesse erano state costantemente disattese; i socialdemocratici non facevano più nessuna opposizione da anni, tanto che la gente iniziò a pensare che fossero d’accordo con il partito al governo; il Partito Comunista, invece, viveva in clandestinità dal 1921, quando una legge lo mise al bando come socialmente pericoloso, in quanto voleva sovvertire violentemente l’ordine costituito. In pratica, l’unica forza che propugnava un reale cambiamento erano le Croci Frecciate e la gente affamata non badava alle sottigliezze ideologiche, come pensava l’intellettuale di sinistra.
Durante quell’estate il leader delle Croci Frecciate, Ferenc Szalasi, era in prigione. Poco tempo prima, egli e altri membri del suo partito erano stati condannati per vilipendio alla nazione, utilizzando proprio quella legge III del 1921 che metteva al bando il Partito Comunista. La corte affermò: “il crimine di vilipendio alla nazione può essere commesso non solo da un bolscevico, ma anche da un ben noto antibolscevico e studioso patriottico”(1). Com’è possibile che fascisti e comunisti potevano esser condannati per lo stesso crimine dalla stessa legge? La risposta era piuttosto semplice: essi erano considerati entrambi due partiti rivoluzionari perchè volevano abbattere il sistema liberale e capitalista.
Erano gli stessi militanti croce-frecciati a cogliere questa affinità con i comunisti, tanto che all’indomani della stipula del Patto Ribentropp-Molotov avvenne per le vie di Budapest qualcosa di incredibile: le Croci Frecciate organizzarono una grande manifestazione portando in piazza una massa di persone con i ritratti di Hitler, Szálasi e Stalin!
Il patto venne interpretato da molti come la prova della formazione “di un fronte comune degli stati proletari contro le plutocrazie”(2), come scrisse il giornale del partito, e pertanto chiedevano l’abrogazione della legge III del 1921 che teneva prigionieri molti comunisti, ma soprattutto molti loro compagni di partito, tra cui il loro leader Szálasi, che finì di scontare la sua pena detentiva solo un anno dopo, nell’autunno del 1940. C’è da immaginarsi lo sgomento dell’elite intellettuale socialdemocratica o liberale, quando vide militanti di ispirazione fascista scendere per le strade con i ritratti di Stalin chiedendo di liberare i militanti comunisti.
Tuttavia, questo aspetto è sempre stato sottovalutato sia dall’analisi politica che dalla storiografia, eccessivamente concentrate ad analizzare l’eccessivo nazionalismo e l’anticomunismo dei partiti fascisti, tralasciando altri importanti aspetti che li caratterizzavano, quali il corporativismo e soprattutto l’antiliberalismo. Questa visione probabilmente si perse nella seconda metà del ‘900 per evidenti motivi di opportunità ideologica da parte delle due superpotenze, ma invece era chiarissima negli anni ’30 e ’40.
Ad ogni modo, Szalasi non giunse mai al potere per via democratica: divenne primo ministro soltanto nell’autunno del 1944 quando l’Ungheria era già stata occupata dalla Wehrmacht per via del tentativo di sganciamento dall’Asse. I tedeschi deposero il governo precedente e scelsero le Croci Frecciate come partner politico. Szalasi, nonostante il suo potere fosse notevolmente limitato dalle contingenze belliche, si adoperò sin dall’inizio per una serie di riforme che avrebbero costituito l’inizio della rivoluzione sociale, tanto attesa dal popolo.
Successivamente, diversi storici marxisti ungheresi evidenziarono una certa continuità rivoluzionaria tra il governo di Szálasi e il successivo governo comunista: lo storico marxista István Deák affermò che “la vittoria finale delle Croci Frecciate nell’ottobre del 1944 significò l’inizio di una rivoluzione sociale che continuò e continua”(3), evidenziando una certa continuità tra le politiche sociali iniziate da Szálasi e quelle adottate dal successivo regime comunista. Questo sottolineava, ancora una volta, lo spirito antiliberale e rivoluzionario che accomunava le due ideologie.
Non è un caso, infatti, che molti degli iscritti e dei sostenitori del partito di Szálasi passarono successivamente tra le fila del Partito Comunista e divennero sostenitori attivi del neonato regime filo-sovietico. Questa non è un eccezione, ma un avvenimento piuttosto comune che avvenne anche in altri parte d’Europa, prima fra tutte l’Italia, dove molti vecchi sostenitori del regime fascista entrarono nel PCI, considerato il partito più vicino alle loro idee sociali, come sottolineava il repubblichino Barna Occhini nell’ultimo numero della rivista culturale della RSI “Italia e Civiltà”, il 17 giugno 1944:
Roosevelt, Churchill, Stalin. Il gran discorrere di Roosevelt e Churchill e la forma e la sostanza dei loro discorsi hanno invariabilmente l’effetto di accrescere in noi, al confronto, la stima verso Stalin. Rispettiamo al confronto la serietà di Stalin, la sua semplicità di parole e di gesto, il suo andare allo scopo con energica silenziosa durezza. (…)
E sappiano finalmente Roosevelt e Churchill, e tutti i loro compari, che i fascisti più consapevoli, i quali hanno sempre riconosciuto nel comunismo la sola forza viva contraria alla propria, non tanto nella Russia, quanto nella plutocratica Inghilterra e nella plutocratica America hanno individuato il vero nemico. Sempre essi hanno sentito di discordare, sì, dai comunisti su molti punti, ma anche di concordare con essi su molti altri, e precisamente e soprattutto di concordare su ciò che non vogliono. Vale a dire, noi e i comunisti concordiamo nel non volere più, né l’uni né gli altri, la vecchia società liberale, borghese capitalistica.
E sappiano anche i Roosevelt, i Churchill e i loro compari, che quando la vittoria non toccasse al Tripartito, i più dei fascisti veri che scampassero al flagello passerebbero al comunismo, con esso farebbero blocco. Sarebbe allora varcato il fosso che oggi separa le due rivoluzioni. Avverrebbe tra esse uno scambio e un’influenza reciproca, fino alla fatale, armonica fusione. (4)
1 G. Barany, The roots of hungarian fascism, in P. Sugar, Native fascism in the successor states, Clio Press, Santa Barbara 1971, p. 76.
2 M. Ambri, I falsi fascismi, Ungheria, Jugoslavia, Romania. 1919 – 1945. Jouvence, Roma 1980, p.112.
3 I. Deak, Hungary, in The European Right, Berkeley, Los Angeles 1966, p.405.
4 G. Parlato, La sinistra fascista, Bologna, Il Mulino 2000, p. 7.
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