Altamente significativa, diremmo simbolica, la reazione della letteratura anglosassone alla rivoluzione industriale: il naufragio. Defoe è il primo a capirlo, spoglia Robinson Crusoe di tutte le conquiste della civiltà occidentale e britannica e lo sbatte su un’isola deserta. Il naufrago deve cominciare da capo, addomesticare la natura, tutta: vegetale, animale e umana. Crusoe impone infatti il suo controllo sull’uomo selvaggio e lo chiama Venerdì. Fa cultura, ovvero non lascia la natura così com’è. Di quella lotta fra cultura e natura vi sono appunto molte tracce nella letteratura in lingua inglese. Dalla caccia alla balena di Melville al cyberpunk di William Gibson la questione rimane quella. Con non pochi interrogativi morali. Si parte comunque e spesso da un naufragio, come il Gordon Pym di Edgar Allan Poe, maestro nel racconto di naufragi della psiche. Il romanzo gotico è poi il grande naufragio della realtà concepita dagli Illuministi, dalle sovrastimate garanzie dei cinque sensi.
Con un naufragio ha inizio anche L’isola del dottor Moreau di H. G. Wells che abbiamo riletto in edizione Fanucci, tradotta da Giuseppe Zito. Wells in compagnia di Jules Verne, è il riconosciuto padre della fantascienza. Comincia a scrivere nel tramonto dell’epoca vittoriana e fa in tempo a sapere di Hiroshima. Socialista, progressista, a modo suo positivista, ma non privo di dubbi etici sulle forzature che cultura, scienza e tecnica possono infliggere alla natura. Neanche ventenne era stato iniziato alle teorie evoluzioniste da T. H. Huxley, soprannominato il mastino di Darwin e nonno di quell’Aldous Huxley che alternò eucarestie con funghi allucinogeni alle visioni della distopia eugenetica nel Brave New World.
Non stupisce insomma che Wells già ad inizio carriera, nel 1895, abbia dato alle stampe la storia del dottor Moreau che sullo scontro fra natura e cultura sembra dire già tutto, o perlomeno mettere sul piatto gli interrogativi che oltre cent’anni dopo sono ancor più oggetto di dibattito pubblico. Perché tutte le domande sulla bioetica, sulle medicine alternative, sulle scelte alimentari sono espressioni del dilemma sui limiti dell’intervento dell’uomo nell’ambiente intorno e sui propri simili. A certi lettori potrebbero non sfuggire anticipazioni di carattere biopolitico, perfino riflessioni sulla casta medica e l’industria relativa.
Insomma, come e fino a che profondità è lecito fare cultura? Con la consapevolezza che far cultura può far male, creare sofferenza ad esseri viventi, come nel caso della vivisezione. Il naufrago di Wells si chiama Edward Patrick, narra la sua vicenda in prima persona (e vale il dubbio che merita ogni narratore interno, così tipico del romanzo gotico: quanto c’è di vero? quanto di delirio?). Sperduto nell’Oceano Pacifico, Patrick viene raccolto da una nave guidata da un capitano alcolizzato e con un carico misterioso di bestie. Sono appunto diretti all’isola del dottor Moreau e Patrick non tarderà molto a capire cosa si combina in quell’universo separato, lontano dalla civilissima Londra.
Laggiù, nel mezzo dell’Oceano si porta al parossismo, senza freni etici e legali, ciò che la tecnica chirurgicae medica permettono. O almeno così la pensa Moreau, ostracizzato da tutta la comunità scientifica e costretto ad un esilio che però vive con un certo gusto. Patrick è voce narrante non sprovveduta riguardo l’argomento, ha studiato anche lui T. H. Huxley. Non ha remore nel definire abominio ciò che Moreau chiama:
la mia dottrina fisiopsicologica.
Il dottore fa a pezzi animali e li ricombina per creare nuovi esseri. L’isola è un trionfo della vivisezione, una fabbrica di bestie un po’ umanizzate, in processo di umanizzazione. Moreau esalta la plasticità della formeviventi e l’attivismo, il ruolo demiurgico, magico dello scienziato. Non solo di mera chirurgia si tratta, non ci si ferma al mero materialismo, anzi la struttura mentale è ancora meno rigida rispetto al corpo. È possibile sostituire vecchi istinti ancestrali con nuovi stimoli (e viene in mente Crusoe con Venerdì). Basta un po’ di ipnosi, forse qualche siero, una solida educazione, una programmazione neurolinguistica (altro tema poi assai saccheggiato dalla fantascienza).
Moreau non ha problemi etici, relativizza il dolore fisico: piacere e dolore non hanno niente a che fare con il cielo e l’inferno. Simili preoccupazioni ci riguardano soltanto fino a che rotoliamo nell’immondizia, dichiara con toni alla Nietzsche. Il prometeismo di questa versione aggiornata del dottor Frankenstein non può che naufragare nella rivolta degli uomini-bestie. Moreau si è spinto troppo in là, ci avverte Wells. E lascia a noi un’ennesima versione del crollo archetipico della Torre di Babele e il compito di capire fino a dove spingerci.
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