Ilva, il dramma (annunciato) di Taranto
di MICRO MEGA (Antonia Battaglia)
Premessa.
L’articolo è del 9 ottobre. anche se in ritardo ci è sembrato che valesse la pena pubblicarlo per fare il quadro sulla situazione che concerne i rapporti tra Stato e UE.
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Si svolge a Taranto in queste ore quello che sembra essere il più grande dramma occupazionale che abbia mai investito la città. E che riguarda non solo Taranto ma anche gli stabilimenti Ilva di Genova Cornigliano e di Novi Ligure.
La nuova proprietà dell’Ilva, la cordata Am Investco, formata dal leader mondiale della siderurgia Arcelor Mittal e dal gruppo Marcegaglia, ha infatti annunciato un piano di ristrutturazione aziendale che prevede 4mila esuberi sui 14.200 lavoratori totali del Gruppo, di cui 3.330 a Taranto.
L’adesione allo sciopero indetto da Fim, Fiom, Uilm e Usb contro i tagli annunciati e contro le nuove condizioni di inquadramento contrattuale dei lavoratori, è stata quasi totale ed ha coinvolto anche le aziende dell’indotto.
Il Gruppo Ilva era stato ceduto alla cordata Arcelor Mittal-Marcegaglia, divenuto appunto Am Investco, pochi mesi fa. Arcelor Mittal, il gruppo mondiale leader nell’approccio combinato tra estrazione di minerali e produzione siderurgica, è al momento il più grande produttore nelle Americhe, in Africa ed in Europa, dove vanta una presenza molto importante in diverse aree (ricordiamo il reportage realizzato per MicroMega sulla riconversione delle acciaierie di Belval in Lussemburgo, dove Arcelor Mittal ha avuto un ruolo centrale).
La strategia ambientale e industriale della Am Investco per Taranto sembrava molto dubbia già al momento della cessione del Gruppo. Ma come si è potuti arrivare ad una crisi così grave, e tuttavia annunciata, senza che il Governo sia stato coinvolto nei piani di ristrutturazione che la cordata aveva già progettato? Quello che accade adesso è davvero una sorpresa?
Mittal aveva dichiarato già prima dell’estate di esser pronto ad investire a Taranto circa 4 miliardi di euro. L’obiettivo delineato nelle linee guida del piano industriale era di operare un veloce rilancio delle attività dell’Ilva attraverso il ripristino della capacità produttiva. Da 5.7 milioni di tonnellate di bramme prodotte da Ilva nel 2016, AM Investco prevedeva di arrivare a 8 milioni nel 2024 con ricavi raddoppiati, che da 2.2 miliardi di euro annui dovrebbero passere a 4.
Le linee guida che erano circolate parlavano di una “profonda ristrutturazione dell’area a caldo” (la parte la più inquinante), il mantenimento in vita di tre altoforni e la messa a nuovo dell’Afo5, l’altoforno più grande d’Europa.
Ma nel documento si illustravano anche i punti salienti di quello che veniva chiamato il “mantenimento dei livelli occupazionali” e che in realtà prevedeva migliaia di esuberi: infatti, solo pochi giorni dopo Fiom, Fim e Uilm dichiaravano che i piani industriali e occupazionali presentati erano inaccettabili. Ilva oggi impiega oltre 14mila addetti, mentre Mittal stimava nel 2018 di avere 9.407 dipendenti, cifra che nel 2023 sarebbe dovuto scendere a 8.480 addetti. Quello che accade oggi è, quindi, davvero inaspettato?
Dal punto di vista ambientale, il Gruppo scriveva di voler investire circa 1,140 miliardi circa per realizzare l’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) ma la data prevista per il completamento delle prescrizioni è il 2023, una data spaventosa perché vuol dire procrastinare ulteriormente una situazione già molto pericolosa al momento attuale. Ed inoltre, la somma indicata per i lavori di adeguamento appare assai esigua rispetto alla natura e all’urgenza degli interventi previsti. Si ricorda che la somma stimata dal Gip Todisco nel 2013 per porre rimedio al disastro ambientale ammontava a circa 8,1 miliardi di euro.
La situazione ambientale a Taranto rimane ancora drammatica. Ciò che preoccupava e preoccupa maggiormente è lo stato di attuazione dell’AIA, le cui prescrizioni sono state dilazionate nel tempo, man mano che sono arrivate alla scadenza prevista per la loro attuazione e gli interventi di proroga hanno periodicamente salvato la produzione dello stabilimento, facendo venire meno la certezza dello stato di diritto.
Ad oggi, purtroppo, non vi è ancora alcuna evidenza che sia venuto meno l’impatto sanitario delle emissioni dell’Ilva e che l’inquinamento della falda superficiale e profonda non prosegua. Nessun intervento cospicuo e risolutivo è stato fino ad ora messo in atto per arginare il fenomeno, nonostante l’AIA preveda la decontaminazione del suolo e della falda e una serie di altre misure da sempre urgenti.
Si attende anche il parere europeo in merito all’acquisizione di Ilva da parte di AM Investco, manca infatti l’ok definitivo dell’Antitrust europeo.
La politica europea in materia, infatti, si articola intorno a due nodi centrali definiti dal Trattato EU: 1. l’articolo 101, che stabilisce che sono incompatibili con il mercato interno europeo tutti gli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni e le pratiche che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza; 2. l’articolo 102, che stabilisce che è incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale dello stesso.
Oggi Arcelor controlla, secondo le ultime stime, circa il 35% del mercato europeo. L’Antitrust, quindi, farebbe scattare un’investigazione per regime di monopolio sul mercato nel caso in cui venisse superata la soglia del 40%, il che vorrebbe dire che AM Investco non potrebbe produrre a Taranto più di cinque o sei milioni di tonnellate d’acciaio, e che quindi, restando sotto la soglia permessa dal diritto europeo, si potrebbero mettere a rischio la produttività e la sopravvivenza stessa dell’impianto tarantino.
Considerati tutti questi elementi, ci si chiede quando arriverà il momento della presa di coscienza del fatto che lo stabilimento di Taranto è una bomba a cielo aperto per motivi sanitari, ambientali, ed anche per ragioni di sostenibilità economica e produttiva e, di conseguenza, occupazionale.
Taranto è un boomerang politico per il governo attuale e per quelli futuri e, restando in un’ottica di realpolitik, anche volendo tralasciare le fondamentali questioni sanitaria ed ambientale, una gestione cosi tentennante, con orizzonti sempre brevi e piani poco vincenti, si conferma inadeguata.
Vista la gravità della situazione ambientale e sanitaria e considerata anche l’impossibilità di raggiungere un equilibrio economico produttivo in grado di assicurare una stabilità occupazionale, non sarebbe arrivato il momento di un cambio di paradigma profondo, che veda rinascere Taranto orientando su altre direttrici di sviluppo la realtà del comprensorio?
Vista l’impossibilità o la non volontà di dotare lo stabilimento di impianti e processi di produzione moderni e non inquinanti ed economicamente competitivi, appare improrogabile un intervento profondo e risolutivo che possa ridare speranze e respiro alla città.
Progettare un futuro nuovo per Taranto deve essere un’operazione da affrontare allontanandosi dal modello che ha portato alla disastrosa esperienza di Bagnoli, lasciata in mano alle mafie per troppo lungo tempo. La situazione di quella che era la ricchissima mitilicoltura appare anche difficile, e a soffrire della questione inquinamento e dei conseguenti danni causati all’immagine sono anche le numerose ed eccellenti aziende del settore turistico e dell’agroalimentare, di cui la regione è ricchissima.
É il momento di immaginare e disegnare un futuro diverso e completamente nuovo. L’Ilva può ancora davvero definirsi un asset strategico nazionale a cui sacrificare lo sviluppo della città?
Ci si augura che il Governo voglia dar vita ad un gruppo di riflessione sul futuro di Taranto e cominciare a raccogliere idee e contributi per costruire un progetto valido, economicamente vincente e che possa rendere la città di nuovo protagonista del proprio destino a partire dalle ricchezze già presenti e non valorizzate.
Fonte:http://temi.repubblica.it/micromega-online/ilva-il-dramma-annunciato-di-taranto/
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