I cinque operai Fiat e la Costituzione vincono, Marchionne perde
di GIORGIO CREMASCHI
“…la rappresentazione scenica realizzata, per quanto macabra, aspra, forte e sarcastica, non ha travalicato i limiti di continenza del diritto di svolgere, anche pubblicamente, valutazioni e critiche dell’operato altrui (quindi anche del datore di lavoro), che in una società democratica deve essere sempre garantito…”
Con questo giudizio semplice ed inequivocabile la Corte di Appello di Napoli ha dichiarato che il licenziamento di Mimmo Mignano e di altri quattro operai dello stabilimento Fiat di Nola è nullo e che, in base all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, quegli operai devono tornare al lavoro. I giudici di Napoli hanno così riformato le due precedenti sentenze del Tribunale di Nola, che avevano invece dato ragione all’azienda.
Mignano e gli altri, dopo il tragico suicidio di Maria Baratto, ennesimo tra gli operai cassaintegrati in Fiat, avevano protestato con una rappresentazione satirica esterna ai cancelli, e senza alcun danno all’attività, dell’azienda. Essi avevano prima inscenato la loro stessa morte, poi il suicidio per impiccagione, ricordando così quello vero dell’operaio Peppino De Crescenzo, di un pupazzo con la maschera di Sergio Marchionne. Pupazzo che nella rappresentazione si pentiva del male procurato. Per questo la Fiat aveva licenziato in tronco i cinque, accusandoli di danno morale e di rottura sia dell’obbligo di fedeltà che del vincolo di fiducia verso l’azienda.
Quale vincoli fossero stati rotti da operai che da più di 6 anni la Fiat teneva in costante cassaintegrazione è impossibile dirlo. Era invece chiaro che quello dell’azienda era un licenziamento politico che colpiva la libertà d’opinione degli operai in quanto cittadini della Repubblica. Questo avevano sostenuto in questi mesi militanti e rappresentanti sindacali e politici, giuristi, intellettuali, artisti. Questo aveva dimostrato l’avvocato Pino Marziale nella sua argomentatissima arringa in difesa degli operai. Ora il giudice ha sanzionato che è proprio così.
Per l’arroganza di Marchionne e del suo modo di pensare ed agire è un duro colpo. I lavoratori non sono ancora sudditi medioevali sui quali l’impresa abbia diritto di potere assoluto, dentro e fuori il posto di lavoro. Oltre mercato, il profitto, il potere ci sono i diritti sanciti dalla nostra Costituzione. Costituzione che non a caso non piace al capo della Fiat, alla banca Morgan e naturalmente al loro referente politico, Matteo Renzi.
La sentenza di Napoli mostra la forza che si può creare, quando la mobilitazione democratica incontra e sostiene persone che non si arrendono e che sono disposte a rischiare tutto per la giustizia. È doveroso ricordare, a tale proposito, i terribili giorni trascorsi da Mimmo Mignano a cinquanta metri di altezza su una gru nel centro di Napoli.
Quando la determinazione di un gruppo di operai che crede nelle sue e nelle nostre ragioni diventa un movimento civile e morale, quando chi lotta dalla parte e per le ragioni della giustizia incontra finalmente un giudice sensibile solo alle ragioni del diritto, e non a quelle del mercato, dell’impresa, del potere. Quando tutto questo su verifica, la libertà si afferma e il potere autoritario e prepotente viene sconfitto.
Grazie a Mignano e agli altri quattro operai, che ci hanno dato ragioni e forza in più per lottare. Grazie a chi si è mobilitato per loro. E grazie ai giudici di Napoli che hanno tenuto la schiena dritta.
E come è stato affermato nelle tante iniziative di solidarietà, da questa vicenda emergono tante ragioni per cui è necessario che al referendum del 4 dicembre vinca il No. Bisogna sconfiggere Marchionne, Renzi e tutti coloro per i quali i principi della nostra Costituzione non dovrebbero più valere nulla di fronte all’impresa e ai suoi affari.
Post scriptum:
È bene sottolineare che i cinque operai sono stati reintegrati in Fiat perché assunti ancora con le vecchie regole. Se fossero stati invece assunti con il Jobs Act che Renzi esalta in ogni momento, il giudice non avrebbe potuto fare nulla per riportarli al lavoro. Perché i nuovi assunti non usufruiscono più della tutela dell’articolo 18. Ricordiamo anche questo quando andremo a votare il 4 dicembre.
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