Il franco CFA, fra ‘sinistra imperiale’ e ‘Materialismo Storico’: quando i marxisti si schierano col ‘Negus Macron’ pur di andar contro ai 5Stelle
di L’ANTIDIPLOMATICO (Matteo Luca Andriola)
In questi due giorni s’è ampiamente parlato sui social network – la nuova agorà virtuale che oramai ha sostituito i vecchi spazi d’aggregazione – del cosiddetto franco CFA (originalmente franco delle Colonie Francesi d’Africa, ora “…della Comunità Finanziaria Africana”).. Il tutto è nato quando l’esponente del M5S Alessandro Di Battista, intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa (Rai 1 ), nel parlare sull’annoso tema delle migrazioni, ha espresso forti perplessità su questa valuta, individuandola come uno dei motivi dei flussi migratori verso l’Europa, dicendo che
“Attualmente la Francia, vicino Lione, stampa la moneta utilizzata in 14 paesi africani, tutti paesi della zona subsahariana. I quali, non soltanto hanno una moneta stampata dalla Francia, ma per mantenere il tasso fisso, prima con il franco francese e oggi con l’euro, sono costretti a versare circa il 50 per cento dei loro denari in un conto corrente gestito dal tesoro francese…. Ma soprattutto la Francia, attraverso questo controllo geopolitico di quell’area dove vivono 200milioni di persone che utilizzano le banconote di una moneta stampata in Francia, gestisce la sovranità di questi paesi impedendo la loro legittima indipendenza, sovranità fiscale, monetaria, valutaria, e la possibilità di fare politiche economiche espansive.”
L’esponente grillino ha poi strappato in diretta televisiva una banconota di 10mila franchi CFA, sostenendo che, finché non saranno tolte queste ‘manette’ all’Africa mai si risolverà l’annoso problema delle migrazioni. È seguita un’esternazione simile da parte di Giorgia Meloni, leader della destra populista Fratelli d’Italia, erede del Msi e di An. Il franco CFA, indica due valute che accomunano 14 stati africani quali Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo, che costituiscono la cosiddetta “zona franco”, tutti, eccezion fatta per Guinea-Bissau e Guinea Equatoriale, ex colonie francesi. Alcuni degli stati sono membri dell’Uemoa (https://it.wikipedia.org/wiki/Unione_economica_e_monetaria_ovest-africana), altri della Cemac (https://it.wikipedia.org/wiki/Comunit%C3%A0_economica_e_monetaria_dell%27Africa_centrale), usando tali valute.
Se è vero che la Francia ufficialmente rinunciò ai suoi poteri sull’Africa, fanno riflettere le parole dell’ex presidente francese Jacques Chirac, secondo cui “senza l’Africa, la Francia scivolerà al rango di potenza del terzo mondo”. La storia conferma che la colonizzazione d’Africa, più che per espandere un determinato way of life, è servita per sovvenzionare, acquisendo le locali materie prime, lo sviluppo industriale europeo. Ciò significa che ben quattordici paesi africani non hanno una propria politica monetaria, ergo economica e indipendente, dato che dipendono da Parigi, una forma di neocolonialismo dichiarato, più esplicito che altrove del meccanismo citato dell’indebitamento e dell’ingerenza interna nei singoli stati, visto che questi paesi sono obbligati a depositare il 65% delle loro riserve valutarie nella Banca centrale francese, non potendo però accedervi a piacere ma, qualora un paese abbia bisogno di una quota pari al 20% del 65% depositato, scatta la richiesta di un prestito a Parigi, pagando ovviamente gli interessi di mercato. La Francia ha pure il diritto di prelazione su tutte le commesse pubbliche bandite dai governi africani, ergo, se un governo della ‘zona franco’ avesse bisogno di un finanziamento estero, il tutto passa ai soggetti francesi, che hanno la priorità su tutti.
Insomma, nessuna delle ex potenze colonizzatrici, Italia compresa, ha direttamente le mani sulle ex colonie d’Africa. Vi sono legami senz’altro grazie a fondi per lo sviluppo che i locali governi devono restituire con gli interessi innescando così il meccanismo dell’indebitamento che portano a successive privatizzazioni a vantaggio delle multinazionali euro-occidentali, ma confrontati con gli altri paesi, quelli della Franciafrique stanno peggio. Ora, il franco Cfa è alla base delle migrazioni dall’Africa? Beh, onestà intellettuale e dati ufficiali alla mano possiamo dire che il franco CFA è una delle cause, almeno limitate ai paesi della Françafrique, che si concatena ad altre che spiegheremo nella conclusione. Tenendo però presente che Macron, che s’è detto più volte favorevole a sanzioni verso chi, nell’Ue, non accoglie, spiegandoci che “non ci possono essere paesi che beneficiano massicciamente della solidarietà dell’Ue e che rivendicano poi il loro egoismo nazionale quando si tratta di temi migratori”, escludendo ovviamente l’“intoppo” della chiusura delle frontiere a Ventimiglia nel 2015 e da lui preseguita, che dire del 36% percento dei migranti che dichiarano la loro nazionalità una volta giunti nei porti italiani, che appartiene alle (ex) colonie francesi? Infatti, dati del ministero dell’Interno del 2017, le nazionalità dichiarate dai migranti vengono riassunte di seguito in percentuale: 13% per la Guinea, 12% per la Nigeria, 11% per il Bangladesh, 10% per la Costa d’Avorio, 9% dal Gambia, 8% dal Senegal, 5% dal Marocco, 5% dal Mali, 3% dalla Somalia e 2% dall’Eritrea. Ora, paesi come la Guinea, la Costa d’Avorio, il Senegal e il Mali (oltre un terzo dell’intero flusso migratorio che giunge in Italia) appartengono a Françafrique dove vige il franco CFA. Al lettore le dovute conclusioni sul motivo strutturale, almeno per tale zona del continente africano, della migrazione, e al lettore onesto intellettualmente le riflessioni sulla moralità macroniana (non francese perché va scissa la classe dirigente dai francesi).
Ci soffermeremo nella conclusione agli altri stati africani…
Fra Il Manifesto colonialista e i post-losurdiani macroniani: quando l’anti-gialloverdismo fa rosicare
Una sinistra seria, davanti alle parole di Di Battista e addirittura della Meloni, non solo gli avrebbe dato ragione, ma con onestà intellettuale avrebbe aperto in sede europea un dibattito capace di coinvolgere Parigi per risolvere il tutto. Ma dato che l’onestà intellettuale è merce rara, specie davanti al governo “gialloverde” che scatena pensieri discordanti e cortocircuiti ai più, la sinistra radicale s’è accodata a testate come Il Foglio e Il Sole 24 Ore o al video spaccone dell’on. Luigi Marattin (PD), che con fare revisionista ha detto che l’uscita di Di Battista è l’“ennesima cialtronata dei 5Stelle. La Francia ci aiuta i paesi con quella moneta”. Ora, che l’esternazione la faccia lo stesso PD del pareggio di bilancio in costituzione, delle cessioni forzate di sovranità all’UE e del Jobs Act che smantella i diritti dei lavoratori favorendo i licenziamenti facili, questo revisionismo – ma oserei dire negazionismo, perché si nega l’evidenza dei fatti del criminoso sistema del franco CFA –, il dato sconcertante è la sinistra radicale che, pur di andare contro al governo Lega-M5S (cosa legittima, il ruolo di opposizione serve a quello), arriva a legittimare in maniera soft li sistema neocoloniale monetario che come un cappio stringe il collo degli africani,impoverendoli e obbligandoli a cercare fortuna altrove, nonostante la ricca presenza di risorse in patria, se si esclude L’AntiDiplomatico, Marx21.it, il Partito Comunista Italiano di Mauro Alboresi e il Partito Comunista di Marco Rizzo. Altrove silenzio o macronismo.
Il titolo peggiore è apparso nella prima pagina del fu ‘quotidiano comunista’ Il manifesto, che scrive che “Il franco CFA è un vantaggio per la Francia ma non è una tassa coloniale” (https://ilmanifesto.it/il-franco-cfa-e-un-vantaggio-per-la-francia-ma-non-e-una-tassa-coloniale/), stigmatizzando il tutto e sorvolando la questione dicendo che i siti ‘complottisti’ lo usano come variante del piano Kalergi, il tutto, mentre la cosa viene denunciata dalla sinistra francese su Le Monde diplomatique (si veda a riguardo Le franc CFA en sursis, ora in https://monde-diplomatique.fr/2010/07/DEMBELE/19360 del 2010 o l’analisi più recente En finir avec le franc CFA?, in https://www.monde-diplomatique.fr/carnet/2017-09-28-franc-CFA, del 2017) che non si fa alcun problema ad attaccare il modello neocoloniale del proprio paese. Ma mentre la sinistra francese ha generato Mélenchon che ha il 19% dei consensi, da noi un onesto socialdemocratico come Stefano Fassina viene crocefisso in sala mensa da la Repubblica, Left e compagnia ragliante come “rossobruno”. Insomma, credi tu forse che la Francia di Macron, che c’ha salvato dal fascismo lepenismo e da quello in gilet giallo, stringe un cappio finanziario sull’Africa? Rossobruno! Dai ragione una volta su cento a Di Battista? Rossobruno! La Francia colonizzava e colonizza tutt’oggi l’Africa, ieri con la Legione straniera e oggi con una valuta stampata da Parigi? Rossobruno! Insomma, oggi il dibattito italiano s’è ridotto a questo! L’onestà intellettuale spinge tale sinistra, che è comunista solo nominalmente, a schierarsi con l’ex banchiere d’affari della Rothschild & Cie Banque ora all’Eliseo, il manganellatore di gilet gialli e con chi, prima di lui, sfrutta l’Africa. E se lo noti, sei ‘complottista’ e ‘razzista’, tanto per non farsi mancare nulla!
Ma l’analisi più deludente, mi sia concesso, è quella del prof. Stefano G. Azzarà sul suo blog Materialismo Storico [materialismostorico.blogspot.com/2019/01/una-faccetta-nera-postmoderna-liberare.html]. Ora, il professor Azzarà, ex tessera del PRC e filosofo discepolo di Domenico Losurdo, ha senz’altro il pregio di aver analizzato le nefaste conseguenze della cultura postmoderna nel marxismo, ma davanti al cortocircuito di parte del mondo marxista italiano che, pur di andare contro al PD s’è scoperta “marxista per Salvini”, il prof. sta da tempo stigmatizzando ogni posizione di ‘sovranismo marxista’, definendolo del tutto funzionale al duo Lega-M5S. Falso! Dipende come viene esposto, cavalcando le palesi contraddizioni del duo…
Sul discorso del franco CFA, Azzarà la definisce “Una Faccetta Nera postmoderna”, dato che l’obiettivo è “Liberare gli Africani dal perfido Negus francese CFA”, ergo le parole di Di Battista, hanno altri scopi. Il prof. a intendere che “si tratta in realtà semplicemente della denuncia di una iniqua distribuzione delle sfere di influenza e dunque della rivendicazione di un posto al sole per l’Italia nell’ambito della spartizione neocoloniale” risultando essere “Una denuncia che individua […] in un altro sub-imperialismo tradizionalmente in conflitto con gli interessi italiani il principale competitore”. Giustissimo, nessuno nega che un partito come il M5S, che non è senz’altro marxista, e che ora è al governo, cerca di mostrare le sole contraddizioni della “zona franco” a fini egemonici davanti alla perdita di potere italiano per la questione Fincantieri, per i pozzi libici sottratti dalla francese Total all’ENI o per il trattato di Aquisgrana fra la Francia di Macron e la Germania di Angela Merkel, che esclude l’Italia e la isola geopoliticamente. Nessuno nega le contraddizioni, ma dire che denunciare la cosa “da sinistra” è, scrive sempre Azzarà, “socialsciovinismo” e “cooptazione competitiva nel sistema Herrenvolk su raccomandazione americana, non internazionalismo. Questo discorso è privo di qualunque vocazione universalistica ed è dunque l’esatto contrario del leninismo, tant’è che si accanisce in primo luogo contro le vittime, e si avvicina invece straordinariamente alla retorica coloniale di un fascismo che voleva “liberare gli schiavi africani” dal cattivissimo negus tramite bombe all iprite”, mentre la “posta in gioco è anche il controllo dei flussi di forza lavoro servile da sfruttare in una “Europa dei popoli liberi” eretta a fortezza, e cioè la loro ‘integrazione’ e ‘civilizzazione’”, è benaltrismo, lo stesso del trockijsta Marco Ferrando che, come Azzarà, sostiene che il tutto è un’arma di distrazione di massa per far dimenticare l’imperialismo italiano dell’ENI “la principale azienda operante in Africa, [che] col regime assassino di al-Sisi in Egitto, si accaparra giacimenti in Nigeria a suon di mazzette, contende alla Total (guarda caso francese) il controllo del petrolio libico e dunque il controllo politico della Libia”. Giustissimo egregi, nessuno nega che l’Italia ha interessi geopolitici e geostrategici nell’Africa, dato che li ha sempre avuti, ma è un controsenso girasi dall’altra parte – le cifre sui flussi migratori dalla “zona franco” sono nel testo a indicarlo – dal momento che se si condivide la necessità di andare oltre all’ordine unipolare creato sulle macerie del Muro di Berlino in prospettiva di un mondo multipolare, non vanno fatte esplodere le contraddizioni? Qualcuno – cioè Azzarà, discepolo di Losurdo, non Ferrando ovviamente – “dimentica” quanto sostenuto fino a pochissimo tempo fa… Non mi pare che Palmiro Togliatti abbia mai contestato alla DC di Amintore Fanfani (più volte presidente del consiglio e ministro degli Esteri) i dialoghi e il commercio con il mondo arabo e addirittura con l’Unione Sovietica, teorizzata anche da figure come La Pira, Valletta e Mattei [rimando al saggio documento di Alessandro Salacone, Le relazioni italo-sovietiche nel decennio 1958-1968. Uno sguardo da Mosca, https://storicamente.org/salacone], ma anzi l’ENI fece affari col paese socialista grazie alla mediazione del PCI e di Armando Cossutta, che nell’inverno 1966-1967 si occupò della questione, assicurando al partito ingenti finanziamenti nei dieci anni successivi a titolo di compenso per la mediazione.
Togliatti fu prono ad una “cooptazione competitiva nel sistema Herrenvolk su raccomandazione americana” tradendo l’internazionalismo dato che favoriva l’ENI, ergo l’Italia, ergo uno Stato dal 1949 nella NATO, ergo il sub-imperialismo italiano che aveva interessi in Nordafrica – sfidante quello anglofrancese, si veda la fine di Mattei – e che così penetrava per conto terzi (leggi “Stati Uniti”) nell’URSS? Ergo abbiamo un Togliatti “socialsciovinista” e “rossobruno”? Mi sa che tale termine c’è ormai sfuggito di mano…
La domanda è perché la sinistra deve farsi sorpassare a sinistra dalla destra? Perché dev’essere una come la leader post-missina Giorgia Meloni, all’opposizione, a denunciare con Di Battista il sistema “franco CFA”? Perché devo leggere queste cose sul Secolo d’Italia, l’ex organo missino e poi finiano che elogiava golpe, parà, colonialismi italiani e non, Legioni straniere ecc. una critica a tale valuta? Perché la sinistra marxista italiana, per anni al governo e con legami con realtà simili di tutto il mondo, Africa compresa, non ha detto nulla e devo sentire il tutto da persone o post-ideologiche o addirittura parafascistoidi? Eppure il franco CFA nasce nel 1945.
Conclusione
Il franco CFA è una delle tante cause dell’impoverimento africano, una con-causa strutturale che favorisce l’immigrazione, almeno nella “zona del franco”, ma che si lega ad altre, parte del neo-colonialismo. Ecco come questo, sempre nel caso africano, viene descritto da Marco Zupi, Direttore scientifico del Centro Studi di Politica Internazionale di Roma in La globalizzazione indebita. Sviluppo economico e debito estero in Africa (Torino, SEI, 2007) alle pp. 141, 143, 144 e 156:
“Nei Paesi africani l’indebitamento estero fu […] il risultato di una politica di espropriazione del surplus da parte delle potenze coloniali, che così accumulavano maggior capitale al loro interno, che portò a un progressivo impoverimento e stagnazione del continente africano. […] Nella fase post- o neo-coloniale degli anni sessanta, il meccanismo perverso dell’indebitamento estero crebbe, in presenza soprattutto di una borghesia locale ridottissima e di recente costituzione nelle capitali del Paesi africani, sprovvista di una missione storica da compiere e confinata in un ruolo di sostegno ai governi, subordinata agli interessi del capitalismo occidentale (o dell’imperialismo sovietico) e con una dipendenza dalla tecnologia e dai prodotti esteri che portava a un ulteriore aggravamento del saldo delle partite correnti”.
Nel decennio successivo, gli anni Settanta, caratterizzati da una crisi economica determinata dal rincaro del petrolio (guerra dello Yom Kippur, 1973) e l’avvio di nuovi scenari della cosiddetta “globalizzazione”,
“la tradizionale piramide gerarchica fra centro e periferia dell’economia mondiale si trasforma in una divisione sociale, più che geografica, tra ricchezza e povertà, che crea esclusione al Nord e al Sud del mondo. Non è più un modello di capitalismo organizzato territorialmente che mira a espandersi progressivamente (come era capitato sin dalle sue origini mercantili del XV e XVI secolo, durante la fase coloniale del XIX secolo e in quella imperialista del XX secolo), ma un capitalismo globale che implode, intensificando le relazioni economiche, finanziarie, culturali e sociali (l’emblema principale ne è la liberalizzazione di movimenti di capitale) ed emargina selettivamente quel che è fuori (anzitutto, buona parte dell’Africa subsahariana)”.
Alcuni, nella loro ignoranza e nella loro opulenta, vigliacca e liberale sensazione di superiorità occidentale, potrebbero chiedersi come mai, dopo tutti i soldi che diamo all’Africa, essa rimane perpetuamente povera. Sono forse “inferiori”? Stavano meglio sotto il dominio coloniale? No caro lettore, dato che la povertà è frutto del nuovo sfruttamento: l’indebitamento estero. In Africa esso è ormai «indebitamento strutturale», dato
“che ancora nei primi anni del duemila, paesi come Camerun, Etiopia, Gambia, Guinea, Madagascar, Malawi, Mauritania, Senegal, Uganda e Zambia spendono più per il servizio del debito che per l’istruzione o la sanità. Oxfam International ha calcolato che l’Uganda ha speso, in media, negli ultimi anni 17 dollari pro capite all’anno per il servizio del debito estero, ma solo 3 dollari per le spese in campo sanitario. Sempre in Uganda, il servizio del debito è arrivato tra gli anni ottanta e novanta a superare annualmente la soglia dell’80 per cento dei proventi totali derivanti dalle esportazioni”.
È inevitabile che con l’«indebitamento strutturale» e con tale classe dirigente, assoggettata culturalmente a quelle occidentali e alle loro politiche neocoloniali, si crei l’immigrazione, un processo che indebolisce ulteriormente quei paesi, dato che le loro “risorse umane” finiscono da noi. È rompendo questo schema e con perversi meccanismi come quello del franco CFA, modificando le relazioni con l’Africa in nome di rapporti paritari atti a creare una partnership con tali paesi capace di favorirne lo sviluppo avremo un naturale freno all’immigrazione che, assieme ad una governance dei flussi, può porsi come unica alternativa alla mera politica ‘law and order’ della Lega o all’accoglientismo senza senso della cosiddetta opposizione.
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