L’inganno delle pseudoindipendenze
di LUCIANO DEL VECCHIO (FSI Bologna)
In una Europa unita formalmente dai vari trattati europei, ma in realtà divisa come non poche volte in passato, la disgregazione territoriale e sociale degli stati nazionali è la carta che l’Unione Europea cala nel gioco al massacro istituzionale; carta prossima a quella di tentata cancellazione delle costituzioni “socialisteggianti”. Infatti, quando queste oligarchie burocratiche e finanziare non riescono a distruggere gli stati tramite lo stravolgimento o lo svuotamento di fatto delle costituzioni democratiche, (referendum di dicembre docet) passano alla fase successiva, al loro piano B, che quasi sempre si rivela lo stesso attuato anche in altri territori sovrani non solo d’Africa e d’Asia, ma anche d’Europa (Balcani, Ucraina): la disintegrazione territoriale e istituzionale dello stato preso di mira o comunque assunto a cavia da cui partire per proseguire poi ad applicare il piano criminale su altri stati.
Le rivendicazioni autonomistiche o indipendentistiche esplodono perché il principio di concorrenza spietata a tutti i livelli, da quello individuale fino a quello interstatale, passando per quello professionale e aziendale, imposto ed elevato a valore assoluto dai trattati, sta esplodendo in tutta la sua incontrollata virulenza, non solo per distruggere gli stati sovrani ma anche per sfibrare e stremare i popoli, compresi quelli che, ingannati da propagande vittimiste, rivendicano autonomia e indipendenza dagli stati storicamente e istituzionalmente assestati.
Dietro le spinte centrifughe che tengono gli stati sotto pressione politica e istituzionale, si staglia dunque l’ombra inquietante dell’Unione Europea che, imponendo il principio della concorrenza, incoraggia, apertamente o velatamente, le regioni ricche a rivendicare autonomia e indipendenza per sottrarsi al dovere di solidarietà nazionale. La manovra, apparentemente sottotono, è volta a far dimenticare a queste ultime che il loro stesso sviluppo economico e sociale è dovuto proprio alle politiche redistributive e perequative che lo stato centrale attua tramite la leva fiscale. In tal modo l’Unione europea alimenta conflitti per cancellare storia e valori che hanno generato e diffuso il benessere del popolo all’interno di una compagine statale unitaria; occulta e censura il ruolo dirigista dello Stato a democrazia sociale, concreta e sostanziale: il modello che Bruxelles deve cancellare dal continente perché opposto a quello della democrazia liberale, astratta, formale, procedurale e sostanzialmente indifferente alle disparità sociali, propria della tradizione politica di stati convertitisi alla dottrina economica liberista.
Le istanze autonomiste e indipendentiste sono segnali preoccupanti, imbastite non solo per disgregare stati, ma anche per mutare culturalmente e antropologicamente i popoli, reclusi dai mercati dentro la gabbia di una convivenza selvaggia e competitiva, dove vige la condizione del bellum omnium contra omnes di hobbesiana memoria. Le popolazioni sono indotte a disconoscere l’identità statale e nazionale e a postulare l’appartenenza a una indefinita e almanaccata identità europea fatta di soli indicatori economici e di promesse illusorie che crescita e sviluppo siano assicurati da uno stato di guerra permanente senza solidarietà.
Il frazionamento degli stati in unità più deboli e ricattabili da piani di indebitamento pubblico più efficaci avviene all’interno di una logica compiutamente liberista. Gli indipendentisti rivendicano autonomia amministrativa e fiscale, ma non monetaria e finanziaria; si rivoltano contro la presunta oppressione dello Stato centralista, ma non contro quella finanziaria, vera, esercitata concretamente dalla cosiddetta Troika e dalle sue ramificazioni bancarie; aspirano alla gestione autonoma del prelievo fiscale, ma non denunciano i meccanismi automatici di asservimento finanziario. Inesistente nei loro proclami ogni critica al debito pubblico, al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), al fiscal compact che programma e attua un piano di deflazione nell’intera eurozona.
Da nessuno di questi sommovimenti creati a tavolino e artificiosamente fomentati, infatti, emergono ceti politici che criticano i trattati europei e men che meno la moneta unica, o che intendano sostituirsi ai ceti dominanti che hanno portato al disastro, o contrapporsi alle élites finanziarie alle quali, oggi, sono soggetti come parte dello spazio statale e nazionale, o che progettino di emancipare finanziariamente e politicamente le popolazioni che pur proclamano di voler “liberare”; o che mirino a riconquistare per il popolo e il territorio la sovranità che caratterizza una comunità autenticamente politica. Nessuno di questi esponenti politici che istigano i loro rappresentati (spesso minoranze all’interno della regione) ad atteggiarsi come oppressi dagli stati centrali, palesa chiaro concetto e cognizione della sovranità politica; in pratica rivendicano autonomia o indipendenza per consegnarsi ostaggi più docili e scioccamente entusiasti ai potentati economici stranieri. In fondo, i sedicenti indipendentisti a spinta eurounionista non si ispirano a nessun modello economico-sociale alternativo a quello neo-liberista dell’Unione europea, ma gareggiano con i governi degli stati centrali a chi è più bravo nel sottomettersi da autolesionista alla dittatura delle oligarchie burocratico-finanziarie.
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