Oltre un milione di donne italiane ha subìto molestie o ricatti sessuali sul luogo di lavoro. Di queste, solo una su cinque è riuscita a parlarne con qualcuno. Solo nello 0,5% dei casi le molestie sono state denunciate.

Il tema delle molestie sulle donne nei luoghi di lavoro non è stato mai così discusso come nelle ultime settimane. Ha coinvolto il mondo del cinema, della politica (i vertici dell’Unione europea e del partito conservatore inglese) e del giornalismo. Eppure, la reazione a questi abusi non sempre è di solidarietà per le vittime. Al contrario, molto spesso, si rivolge esattamente contro di loro, soprattutto nel caso di donne famose.

Ma basta una semplice tabella dell’Istat per rendersi conto che queste situazioni non sono diffuse soltanto nel dorato mondo di Hollywood. Situazioni insostenibili possono presentarsi a qualsiasi lavoratrice, in qualsiasi ambito professionale. Gli uomini che pretendono servizi sessuali, offrendo in cambio sicurezza lavorativa e carriera, sono direttori, dirigenti, capi, che hanno il potere di licenziare e rendere la vita della lavoratrice un inferno attraverso il ricatto economico.

In moltissimi casi la dinamica che rende possibili gli abusi è simile: il potere esercitato da un dominatore su un dominato, espresso attraverso il sesso. A scuola, all’università, durante l’alternanza scuola-lavoro, lo stage e il tirocinio, in qualsiasi ambito professionale: la subalternità, la precarietà, lo squilibrio nei rapporti di potere e di genere rendono possibili ricatti e molestie, a cui molte donne devono sottostare semplicemente per accedere ad un posto di lavoro, mantenerlo o avere una promozione. Per le lavoratrici straniere, peraltro, il prezzo da pagare è spesso il permesso di soggiorno. In altri casi, è un “pari livello” che molesta per semplice spirito di prevaricazione e violenza. E chi alla fine è costretta a cedere al ricatto, paga un prezzo molto alto: talvolta la molestia può trasformarsi in mobbing, stalking, diffamazione pubblica o addirittura femminicidio.

In un contesto economico come quello attuale, nel quale la crisi di dieci anni fa sembra essersi trasformata in un’insostenibile normalità fatta di disoccupazione reale alle stelle ed emigrazione forzata, le donne pagano due volte il prezzo dell’austerità: hanno più difficoltà a trovare e mantenere un lavoro, e vedono aumentare il potere e le opportunità di ricatto economico-sessuale dei capetti. Brit Marling ha definito questo sistema “economia del consenso, perchè “il consenso è una funzione del potere. Devi avere una modica quantità di potere per darlo. Nella maggior parte dei casi, le donne non hanno questo potere”.

Gli esiti degli episodi fanno comprendere ancora di più perché le donne scelgano, nella maggior parte dei casi, di non fare cenno alle molestie subite: il 34% ha dovuto infatti cambiare lavoro o ha rinunciato alla carriera, pagando quindi in prima persona per le colpe del proprio molestatore, mentre l’11% è stata licenziata.

È chiaro che la responsabilità delle molestie subite ricade quasi esclusivamente sulle vittime stesse; raramente sui carnefici che possono continuare a svolgere il proprio lavoro. L’Istat dimostra che le donne più vulnerabili ai ricatti sessuali sono le disoccupate, perché più bisognose di lavorare, le impiegate e le dirigenti, perché sottoposte al giudizio dei superiori per avanzamenti di carriera. Di rado, dalla denuncia scaturisce una trattativa conciliativa che si conclude con il risarcimento dei danni alla lavoratrice. Ma arrivare a un processo è estremamente difficile a causa della mancanza di testimoni, della pressione emotiva e psicologica della vittima e della paura che la denuncia possa costituire la fine del rapporto lavorativo.

Questi dati mostrano un sistema estremamente discriminatorio verso le donne. Sebbene ci siano convenzioni internazionali che promuovono una maggiore parità e rispetto, spesso le donne sono completamente abbandonate dalle istituzioni. L’Italia ha firmato nel 2011 la Convenzione di Istanbul, che all’articolo 40 fa riferimento proprio alle molestie sessuali e invita a contrastarle con misure legislative precise. Ma nel nostro paese tali misure mancano, specialmente in relazione alle molestie sul lavoro. Il presidente di Sezione del Tribunale di Milano, Fabio Roia, sottolinea come di fatto l’Italia sia inadempiente rispetto alla Convenzione perché non ha una norma specifica che riguarda i ricatti sessuali sul lavoro: «Si può utilizzare l’art. 572 del codice penale, ma solo per le piccole imprese a conduzione familiare. Altrimenti bisogna rifarsi alla legge sulla violenza sessuale del 1996. Ma ciò impedisce di punire tutta quella parte di violenza che ha a che fare con le allusioni pesanti contro la donna, quotidiane, continue, che fanno intravedere che lei è consenziente e che è di facili costumi e la isolano dagli altri colleghi».

Bisogna intervenire per modificare questo contesto sociale, lavorativo, giuridico e politico. Vogliamo che vengano attuate realmente le misure e le leggi già esistenti necessarie a contrastare il fenomeno della violenza di genere, e che ne vengano ideate di nuove per colmare le mancanze giuridiche. Chiediamo processi brevi, pene adeguate e sorveglianza per i molestatori, affinché non possano più esercitare violenza, e soprattutto per garantire il diritto ad un’esistenza dignitosa alle vittime. È necessario un sistema efficiente di tutele concrete per le donne, attraverso sportelli ad hoc ed aiuti economici per chi non può permettersi spese legali e assistenza psicologica, spesso limite materiale per cui non si denuncia. Chiediamo che le lavoratrici licenziate per avere denunciato, o non essersi piegate ai ricatti, siano reintegrate sul posto di lavoro. Vogliamo che nelle scuole sia introdotta educazione sessuale e sentimentale obbligatoria, affidata a dei professionisti e con dei percorsi strutturati, affinché i bambini e le bambine siano educati alla cultura del rispetto. Vogliamo che si educhi alla parità di genere, sia in ambito domestico che professionale. In diversi paesi del nord Europa, l’introduzione di tale insegnamento ha non soltanto fatto calare il numero di malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze indesiderate in età adolescenziale, ma soprattutto sensibilizzato gli adolescenti al rispetto del partner, al riconoscimento degli stereotipi di genere e quelli legati all’orientamento sessuale. Più in generale ciò ha comportato una diminuzione di aggressioni sulle donne, una maggiore emancipazione femminile e il riconoscimento delle molestie sessuali, perché per combatterle bisogna saperle riconoscere. Chiediamo infine che la questione di genere venga introdotta nell’agenda politica nazionale affinché il lavoro sia tutelato per tutte e tutti, uomini e donne, perché la precarizzazione, la mancanza di stabilità e di tutele portano alla vulnerabilità e alla subalternità.

Non è una questione risolvibile con una campagna a basso costo, né con slogan ad effetto, ma è un investimento necessario affinché il mondo del lavoro e della politica diventino veramente di tutti e tutte, uomini e donne.